Stampa estera a portata di clic: Decanter n.11-20207 min read

Robert Parker che avvicina al naso un calice di rosso è l’immagine di copertina di questo numero. Designato per il 2020 alla “Hall of Fame”, l’arca della gloria,  di Decanter, segue a Becky Wesserman-Hone. Visto il ruolo svolto dalla Wassermann per il vino borgognone, appare del tutto naturale questo riconoscimento per  colui che ha creato la fama contemporanea di Bordeaux. A Parker è dedicato appunto l’articolo, firmato da Andrew Jefford,  che apre la rivista . “Il più influente critico di vini di ogni tempo?” si chiede Jefford. Sicuramente il personaggio più conosciuto del mondo del vino degli ultimi 40 anni: il più prolifico, informato, talvolta divisivo, ma sempre indubitabilmente onesto nei suoi giudizi. Colui che, nel bene e nel male, ha rimodellato gli stili dei vini più importanti del mondo (bordeaux prima di tutti), riferimento indiscusso di tutti i grandi collezionisti e degli investitori.

L’articolo è accompagnato dal tributo di alcuni dei più noti wine critics di Decanter, che illustrano la figura di Parker anche sotto un profilo più personale. La Hall of Fame di Decanter è il riconoscimento più importante del giornale alle personalità del vino: nei suoi 36 anni di vita (fu assegnato per la prima volta nel 1984 a Serge Hochar, l’indimenticabile patron dello Château Musar), ha premiato  anche tre italiani: Piero Antinori nel 1986, Angelo Gaja nel 1998 e Giacomo Tachis nel 2011.

In  questo numero, molto ricco e globalista-Vecchio e Nuovo Mondo vi sono ugualmente rappresentati- c’è però  molto altro. Vediamo: il profilo regionale del Roussillon, le nuove releases dei grandi rossi della Toscana, l’incendio dei  prezzi della Champagne, bianchi “atlantici” del Portogallo, gli IGP Pays d’Oc, il panel tasting dedicato ai rosé della Provenza, e, passando al Nuovo Mondo, i vini della Okanagan Valley canadese, il profilo di Hamilton Russell Vineyards in Sud Africa, l’itinerario nella regione di Margaret River nell’Australia occidentale.

Tocca però ancora  al Vecchio Mondo, a un vino borgognone, il vino-leggenda di questo mese: il Montrachet Grand Cru del Domaine Leflaive  del 1992. Poi, naturalmente,  le notizie del mese (tra queste la DOC “finalmente” riconosciuta al Prosecco rosé), le lettere dei lettori e le pagine dei columnist: prendendo spunto dalla scelta di Parker per la Hall of Fame di Decanter, Jefford si interroga sulla componente edonistica nei bevitori di vino, la Anson delinea il “nuovo modo” adottato da Bordeaux per vendere i suoi vini, mentre Walls , dalla Valle del Rodano, parla della timore  di un  collasso del prezzo dei vini, che significherebbe aggiungere una nuova crisi a quella in atto.

Di prezzi, questa volta nella Champagne, si parla anche nell’articolo di Tyson Stelzer già annunciato. I costi di produzione dello Champagne sono aumentati costantemente negli ultimi due decenni  e mezzo: oltre cinque volte quelli di 25 anni fa. Ciò nonostante la crescita dei prezzi di vendita è stata assai più moderata: solo il 13% negli ultimi dieci anni.

Ad aumentare -spaventosamente- non é stato solo il prezzo dell’uva (l’80% in 15 anni) o quello delle vigne (il costo medio di un ettaro è oggi di 1 milione e mezzo di euro,  60 volte quello di una vigna delle Côtes de Bordeaux). Le ultime annate sono state disastrose sotto il profilo climatico : nel 2016 la produzione è stata decimata per oltre un quarto dalle gelate, e il 2017 è stato ancora peggio. Nel 2017 LVMH (Mercier, Moet & Chandon, Ruinart, Veuve Clicquot, Dom Perignon e Krug) è giunta ad offrire ai growers un premio del 6-7% sul prezzo delle uve, spingendosi fino al 15% per quelle dei grands crus, determinando un’ulteriore spinta inflattiva. Si aggiunga il crollo dei grandi mercati internazionali, che quest’anno  ha toccato il 40% .

Ma a far lievitare i costi è anche la crescente ricerca, da parte dei produttori, di metodi di produzione più sostenibili: oggi oltre un quinto ha ottenuto la certificazione di sostenibilità ambientale, con l’obiettivo di raggiungere il 100% nel 2030. Anche se i prezzi al consumatore non voleranno troppo in alto nell’immediato, c’è perciò molta preoccupazione, soprattutto per i piccoli produttori.

Solo due parole sul panel tasting dedicato ai  rosé provenzali del 2019: nonostante tutto, molto buoni, visto che quelli highly recommended, ossia con un punteggio di almeno 90/100 (fino a 94) sono stati ben 32, quattro sono risultati outstanding (95-97), mentre spicca l’unico exceptional, con il punteggio monstre, per un rosé,  di 98/100. Si tratta della Cuvée Marius del 2017 del Clos Cibonne, una proprietà di 15 ettari nei pressi di Toulon, della famiglia Roux da 230 anni, specializzatasi in rosé a base tibouren (il nostro rossese) da ceppi molto vecchi: dei rosé di terroir a quanto pare anche molto adatti a una conservazione prolungata. Su questa azienda, che ha piazzato anche una seconda cuvée  (la Cuvée Tradition Tibouren 2018) nei primissimi posti con 95/100, è ormai un plebiscito da parte della stampa specializzata , francese e non soltanto.

Ci soffermiamo invece un po’ di più sui rossi toscani delle ultime annate (2015-2018), presentati da Micaela Morris.  Tra le ultime annate in assaggio spiccano 2015 e soprattutto 2016, di notevole precisione aromatica: eccezionale nel Chianti classico (5/5 nella valutazione di Decanter) e il Brunello di  Montalcino (eccellente quello del 2015) promette altrettanto. Appare invece  leggermente meno brillante la vendemmia 2018, funestata, anche se non in modo omogeneo, da un tempo più freddo e piovoso (Chianti classico freschi ma di minor struttura, da bere più giovani) mentre è stata di qualità  soltanto media (3.5/5) quella del 2017, danneggiata anche da qualche gelata, che però ha dato qualche buona sorpresa pur se in un quadro di maggiore austerità.

I preferiti dalla Morris: nel 2018 il Chianti classico Monteraponi (91/100),  nel 2017 il Chianti classico Gran Selezione  San Lorenzo di Ama (94/100), nel 2016 il Vigna del Sorbo Gran Selezione di Fontodi (96/100), nel 2015 Il Poggio Gran Selezione del Castello di Monsanto (96).

Brunello: un frutto magnifico,  tannini eleganti, una trama fine-grained,  già accessibile da bere adesso. Su tutti quelli dell’annata 2015,  il Brunello dei Conti Costanti (98/100), molto edonistico ed equilibrato e il Madonna delle Grazie di Marroneto (stesso punteggio), anche se  al momento  un po’ chiuso. Quanto ai Nobile di Montepulciano, una spanna più su rispetto agli altri, la Riserva 2016 di Boscarelli (94/100).

Eccoci ai vini della IGP Pays d’Oc : copre  quattro dipartimenti (Aude, Gard, Hérault e Pirenei Orientali), una regione molto vasta , con un’area pari a quella del Sud Africa (125.000 ettari), che produce un quinto dei volumi di vino dell’intera Francia, molto differenziata geologicamente e climaticamente, nella quale è impossibile individuare uno stile riconoscibile. Ma ricco di sorprese. Ne parla Andy Howard in un ampio articolo. Prevalgono ancora i vini varietali, con ben 58  uve ammesse, a partire da quelle internazionali (cabernet sauvignon, syrah e chardonnay su tutte). Ottimi vini vengono da Rolle (Vermentino), Viognier e Cabernet Franc, mentre non sono da trascurare alcune uve più rare , come il Terret blanc, il Marselan (un incrocio di alta classe di Cabernet Sauvignon e Grenache) , il Caladoc (Malbec x Grenache) e la Negrette. Prevalgono ancora i vini sfusi, ma vi sono produttori di qualità che imbottigliano cuvées interessanti. Tra le proprietà più grandi sono  i Domaines Paul Mas, Foncalieu e Gérard Bertrand, mentre sono entrati  in scena anche nomi nuovi come Gayda, La Negly, Les Jamelles , Les Yeuses e Sainte Rose.

Tra i rossi high-score segnalo il Cigalus di Bertrand 2018 e lo Chemin de Moscou 2017 del Domaine Gayda (entrambi a 93 punti per Decanter), un notevole rosé 80% grenache e il resto Cinsault, stile Bandol,  la Cuvée du Poirier des Rougettes 2019 del Domaine d’Aigues Belles (91/100) e , tra i bianchi, il Viognier Grande Réserve 2017 del Domaine Saint Ferréol e l’Albariño, varietà in grande crescita nel territorio, Les Extraordinaires 2019  di Foncalieu (92 entrambi).

Infine solo un accenno al Montrachet di Leflaive del 1992, vino-leggenda  di questo mese: si tratta  della seconda annata di produzione di questo vino, effettuata subito dopo il pensionamento di Vincent Leflaive, nel 1990, quando l’azienda era affidata alla  coppia costituita dalla figlia  Anne-Claude e dal cugino Olivier (proprietario del Domaine Olivier Leflaive). La grande avventura biodinamica del Domaine era appena  iniziata (solo un ettaro, poi la conversione fucompletata nel 1997). Al momento del rilascio una bottiglia costava 300 dollari (l’equivalente di 264 euro), oggi  occorrono quasi 14.000 euro per procurarsene una.

 

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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