Rossi siciliani: vini buoni ma prevedibili, forse troppo2 min read

La domanda ricorrente durante gli assaggi dei rossi siciliani è stata “Ma la freschezza?”

Sapevamo perfettamente di essere in Sicilia, terra calda per definizione (Etna a parte)e non certo in Valle Isarco,  ma dopo aver ripetutamente incontrato rossi con alcolicità magari equilibrate ma sostenuti solo da tannini più o meno grossi e ruvidi, senza che il palato venisse titillato da sensazioni legate all’acidità del vino, la domanda ci è sorta spontanea.

Eppure una bella fetta di vini, in particolare quelle che hanno raggiunto almeno 3.5 stelle, dimostrano che è possibile produrre rossi freschi, complessi, strutturati ma equilibrati, in qualche caso dotati addirittura di una silente sapidità. Tra i migliori, quasi tutti legati a vitigni autoctoni, abbiamo trovato anche una bella movimentazione al palato ed in alcuni casi una complessità aromatica di altissimo livello.

Il resto però, un vitigno per l’altro, era composto da vinoni più o meno rotondi, con più o meno legno, dove l’equazione “Sicilia = vini potenti” si declinava dal prodotto da tre euro fino a quello da 30.

A proposito di prezzi, anche se la stragrande maggioranza del vino siciliano se ne parte in cisterna a prezzi stracciati molti di quelli che “rimangono” e vengono imbottigliati non costano certo poco, tanto che abbiamo dato pochissimi “buon rapporto qualità-prezzo”.

Ma veniamo a qualche dato più approfondito

I Nero d’avola, specie i base delle ultime due annate (2016-2015) si sono mostrati in gran parte ben fatti e rotondi, però senza grandi guizzi.

Guizzi che nei vini più importanti, anche per quanto riguarda uve come syrah, merlot e cabernet, si declinavano spesso con un uso più marcato e assolutamente fuori moda del legno. Li abbiamo definiti “SuperSicil”, pronti per il mercato americano, bevibili forse tra 7-8 anni, quando il legno avrà fatto posto (almeno si spera) ai pronipoti della frutta che si percepisce, ben nascosta, sotto.

Ad un certo punto l’acidità l’abbiamo anche trovata in vari vini del 2015 e del 2013, sia di fascia alta che bassa, invece non siamo riusciti a trovare gli aromi e le caratteristiche principali di un vitigno particolare come il syrah: non che cabernet e merlot avessero una marcata riconoscibilità, ma almeno qualcosa di varietale si sentiva.

I pochi Etna degustati hanno confermato quanto di buono si dice sulla zona, sia sul nerello mascalese che sul nerello cappuccio. Come anche alcuni nero d’avola prodotti a quote tra i 500 e i 600 metri hanno fatto vedere che questo vitigno, se lavorato nella giusta maniera, porta a vini eleganti e fini, dai tannini dolci e godibili.

Se andiamo a vedere i punteggi la media è piuttosto alta e quasi il 70% dei vini è assolutamente ben fatta e piacevole: sono quindi vini buoni, ma nella stragrande maggioranza dei casi, prevedibili e previsti.

Dalla Sicilia, siamo convinti, si può avere di più , molto di più

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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