L’annata 2014 di assaggi inizia con un vino che da tempo era nel nostro mirino e che solo distanza e la mia pigrizia (anche se un viaggio in zona l’ho fatto, vedi ) non ci avevano permesso di degustare.
Ma se Maometto (tanto per tenere un basso profilo con i paragoni) non va alla montagna è la montagna che arriva sino a lui. La “montagna” in realtà ha sembianze umane e al secolo si chiama Filippo Rondelli, titolare della cantina Terre Bianche e coordinatore dei produttori iscritti all’associazione Vigne Storiche del Rossese. Del resto pure il sottoscritto come Maometto non è proprio il massimo, se non altro perché non è stata ancora creata la prima facoltà di enologia islamica.
Scherzi a parte, dobbiamo ringraziare Filippo perché è riuscito a raccoglierci e spedirci un numero sufficiente di campioni per poter fare il nostro assaggio. Qualche nome importante manca ma peggio per lui; l’importante era per noi di capire se il rossese sia solo un vino declinabile in due-tre cantine o se ha una sua, pur piccola, qualità diffusa.
E dal nostro assaggio questa qualità è venuta fuori forte e chiara! Sia per quanto riguarda la marca tipologica del vino, sia per la sue belle caratteristiche.
Il Rossese di Dolceacqua è un vino a prima vista semplice, con un colore rubino scarico che parla di immediatezza e linearità di beva. Indubbiamente il vino è ANCHE questo, ma sarebbe miope fermarsi qui.
In primo luogo per la gloriosa vetustà di tante vigne storiche, che rappresentano da una parte un patrimonio e dall’altra una santa maledizione per chi deve lavorarle in condizioni spesso da arrampicata in montagna; in secondo luogo perchè questo vino che mostra nerbo e complessità anche dopo diversi anni dalla nascita.
Una decina di anni fa la qualità media del Rossese era anni luce lontana dall’attuale e la riconoscibilità tipologica veramente scarsa. Oggi la situazione è molto ma molto diversa: i (pochi ma sufficienti) vini assaggiati, sia base che Superiore provenienti da due annate calde e difficili come il 2011 e il 2012, hanno prima di tutto mostrato bella freschezza aromatica e gustativa. Solo uno o due campioni ci sono sembrati strani per colore (troppo concentrato) e struttura (grassezza strana al posto della classica eleganza), gli altri hanno superato tranquillamente la prova con voti alti o molto alti.
Ma il bello del Rossese è il suo naturale rapporto col cibo e, dopo l’assaggio professionale, l’abbiamo constatato abbinandolo a piatti molto diversi: dal riso in bianco allo coniglio in umido, sino ad un brasato di manzo e addirittura ad un caciocavallo podolico di 30 mesi. Su ogni piatto i vini hanno mostrato adattabilità quando serviva e nerbo e fresco vigore quando la situazione lo richiedeva. Il classico vino da tuttopasto nella migliore accezione del termine, la bottiglia che finisce senza neanche accorgertene.
Insomma, l’annata degustativa è iniziata molto bene!