Rossese di Dolceacqua: pochi ma buoni3 min read

L’annata 2014 di assaggi inizia con un vino che da tempo era nel nostro mirino e che solo distanza e la mia pigrizia (anche se un viaggio in zona l’ho fatto, vedi ) non ci avevano permesso di degustare.

 

Ma se Maometto (tanto per tenere un basso profilo con i paragoni) non va alla montagna è la montagna che arriva sino a lui. La “montagna” in realtà ha sembianze umane e al secolo si chiama Filippo Rondelli, titolare della cantina Terre Bianche e coordinatore dei produttori iscritti all’associazione Vigne Storiche del Rossese. Del resto pure il sottoscritto come Maometto non è proprio il massimo,  se non altro perché non è stata ancora creata la prima facoltà di enologia islamica.

 

Scherzi a parte, dobbiamo ringraziare Filippo perché è riuscito a raccoglierci e spedirci un numero sufficiente di campioni per poter fare il nostro assaggio. Qualche nome importante manca ma peggio per lui; l’importante era per noi di capire se il rossese sia solo un vino declinabile in due-tre cantine o se ha una sua, pur piccola, qualità diffusa.

 

E dal nostro assaggio questa qualità è venuta fuori forte e chiara! Sia per quanto riguarda la marca tipologica del vino, sia per la sue belle caratteristiche.

 

Il Rossese di Dolceacqua è un vino a prima vista semplice, con un colore rubino scarico che parla di immediatezza e linearità di beva. Indubbiamente il vino è ANCHE questo, ma sarebbe miope fermarsi qui.

In primo luogo per la gloriosa vetustà di tante vigne storiche, che rappresentano da una parte un patrimonio e dall’altra una santa maledizione per chi deve lavorarle in condizioni spesso da arrampicata in montagna; in secondo luogo perchè questo vino che mostra nerbo e complessità anche dopo diversi anni dalla nascita.

 

 Una decina di anni fa la qualità media del Rossese era anni luce lontana dall’attuale e la riconoscibilità tipologica veramente scarsa. Oggi la situazione è molto ma molto diversa: i  (pochi ma sufficienti) vini assaggiati, sia base che Superiore provenienti da due annate calde e difficili come il 2011 e il 2012, hanno prima di tutto mostrato bella freschezza aromatica e gustativa. Solo uno o due campioni ci sono sembrati strani per colore (troppo concentrato) e struttura (grassezza strana al posto della classica eleganza), gli altri hanno superato tranquillamente la prova con voti alti o molto alti.

 

Ma il bello del Rossese è il suo naturale rapporto col cibo e, dopo l’assaggio professionale, l’abbiamo constatato abbinandolo a piatti molto diversi:  dal riso in bianco allo coniglio in umido, sino ad un brasato di manzo e addirittura ad un caciocavallo podolico di 30 mesi. Su ogni piatto i  vini hanno mostrato adattabilità quando serviva e nerbo e fresco vigore quando la situazione lo richiedeva. Il classico vino da tuttopasto nella migliore accezione del termine, la bottiglia che finisce senza neanche accorgertene.

 

Insomma, l’annata degustativa è iniziata molto bene!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE