Romagna Sangiovese, Superiore, Riserva e MGA: parliamone!4 min read

Più di 170 vini degustati permettono di farti un’idea abbastanza chiara di una denominazione, anche complessa e ramificata come il Romagna Sangiovese (e Menzione Geografica Aggiuntiva e Superiore e Riserva e Riserva MGA), pur se l’assaggio copre come almeno 5 annate. Tutto questo anche se le cantine che ci hanno presentato i campioni erano circa 70 su un totale che supera abbondantemente le 200.

Prima di parlare dei vini bisogna ringraziare il consorzio di tutela per la perfetta organizzazione dell’assaggio: non capita spesso di essere seguiti con così certosina attenzione e per questo non possiamo che dire grazie.

Adesso veniamo alla prima tipologia degustata, il Romagna Sangiovese

Spiace dirlo ma la prima sensazione è stata di grande confusione stilistica: si passa da vini giovanissimi (che costano pochissimo) con nette e accentuate note di legno (invero piuttosto sospette, visto il basso costo dei vini) a vini di quattro anni che sembrano vinificati da tre mesi. A questa confusione stilistica si aggiunge in diversi casi una mancanza di corpo e di freschezza notevole.

La cosa migliora un po’ con le MGA, dalle quali però non traspare una connotazione territoriale ben precisa, solo forse una maggiore attenzione nella vinificazione. Per questo ci domandiamo se sia una mossa azzeccata quella di inserire le MGA, quindi un qualcosa che richiama la Langa, le selezioni accurate di vigna, in altre parole l’idea di un vino di punta in una categoria che di certo e di fatto è di base. Non si rischia di creare confusione e di svilire il significato delle MGA?

Per quanto riguarda le annate degustate, torniamo a quanto detto prima: il calderone è così ampio che è difficilissimo tracciare una linea ben precisa.

La situazione migliora tra i Romagna Sangiovese Superiore dove si iniziano a capire da una parte le differenze di annata e dall’altra la voglia dei produttori di puntare a qualcosa di più importante.

Scusate se faccio ancora una volta il bastian contrario ma se si vuole fare un vino di maggior pregio, perché metterlo in commercio solo quattro mesi dopo il Romagna Sangiovese e a addirittura 5 mesi prima del Romagna Sangiovese MGA. Se questo non è creare confusione…

Veniamo alla qualità media, sicuramente in netta ascesa. L’annata più centrata ci è sembrata la più recente, la 2019, con vini che mostrano gamme aromatiche molto definite e corpo di buon livello. Purtroppo andando indietro negli anni (abbiamo degustato anche qualche 2017 e 2016) qualche Superiore comincia a mostrare quella che io chiamo “Sindrome di Seguin Moreau” cioè la voglia di utilizzare del legno (più o meno giovane) per cercare di rendere i vini più importanti e, al contrario renderli forse più internazionali ma sicuramente meno riconoscibili e molto più pesanti sia al naso che al palato.

Questa “brutta malattia” si manifesta in tutta la sua virulenza tra i Romagna Sangiovese Riserva (non MGA) e porta a sommatorie di alcol e tannini che, specie se si parla di un’annata iperconcentrata e difficile come la 2017, si traduce in vini difficilmente comprensibili e anche, scusatemi, difficilmente  bevibili.

La cosa cambia e non poco con le Riserva MGA: qui veramente si vede la voglia di andare oltre  un utilizzo della cantina come luogo salvifico. Nelle MGA entrano in campo, anche nei 2017, due concetti fino ad ora rimasti ai margini del discorso: il rispetto del vigneto e l’equilibrio. I migliori risultati li abbiamo avuti proprio dai 2017, anche se personalmente ho apprezzato molto la maggiore profondità generale e la minore spinta alcolica (percepita) dei 2016.

In definitiva non siamo rimasti molto soddisfatti dai nostri assaggi anche se abbiamo trovato diversi vini di ottimo livello, non per niente  siamo arrivati a nove Vini Top. Quello che ci ha veramente fatto riflettere è una mancanza di chiarezza nella proposta generale, con i produttori che sembrano seguire strade spesso completamente diverse  per non dire opposte.

E questo ci porta a riflettere su altro paio di argomenti. Il primo riguarda la necessità di uno sforzo collettivo da parte dei produttori per acquisire più consapevolezza sia agronomica che di cantina. Forse una parte dei vigneti andrebbe ripensata alla luce dei cambiamenti climatici, sia in termini di posizionamento che in termini di cloni e porta innesti. E’ qui che servirebbe una “regia” perché oggi sembra che ci siano più “lampeggi individuali” che una “illuminazione” collettiva, e questo non favorisce di certo la crescita di una comunità di produttori. La seconda riguarda la comunicazione.

Se, come ci è sembrato dagli assaggi, le punte di diamante dei sangiovese sono le MGA, allora sarebbe bene investire più risorse nel definirne le identità e nell’aumentare il numero delle rivendicazioni, ancora troppo basso a distanza di quasi 10 anni dallo loro introduzione. Inoltre la connessione tra le caratteristiche delle varie MGA ed i vini che ne scaturiscono sono ancora ben lontane dall’essere comprese; anche qui servirebbe un impegno maggiore in considerazione del semplice fatto che ci sono alcune buone premesse per dare al Romagna Sangiovese l’identità che merita.

Ci sembra ben augurante allora chiudere con una frase molto calzante di Mao Tse-Tung  “Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente.”

 

Tutte le foto dell’articolo sono state tratte dal sito del Consorzio Vini di Romagna, che ringraziamo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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