Riunione Winesurf in Chianti Classico: panorami e giornate da urlo7 min read

Della riunione annuale di Winesurf che si è svolta in Chianti Classico dal 11 al 13 febbraio credo vi interesserà sia cosa ci siamo detti e cosa abbiamo deciso per il futuro del giornale, sia cosa abbiamo visitato, degustato, assaggiato.

La prima parte verrà presentata con articoli dedicati  più avanti e, vi garantisco, ci saranno cambiamenti importanti nel nostro futuro, mentre la seconda parte, certo con maggiore appeal turistico, credo debba partire da una parola: panorama.

Siamo stati ospiti di quattro aziende da cui si godono panorami da urlo, abbiamo percorso strade di una bellezza assoluta  e anche  per uno che in Chianti Classico ci vive praticamente tutto l’anno è stato un po’ come fare il turista a casa sua.

Mettendomi nei panni del turista sono riuscito a capire più a fondo perché questo  territorio, dove ogni metro è diverso dall’altro, sia veramente unico e quindi giustamente visitato ogni anno da milioni di turisti, affascinati forse più dal panorami che dal vino.

Quindi, più da turista “fai da te” che da Carlo Macchi cercherò di rendervi le sensazioni provate.

Se uno parte da Poggibonsi per andare a Quercia al Poggio è come se partisse dal mare per andare in montagna. Il panorama cambia repentinamente e lasciando alle spalle  una pianura industriale  ti inerpichi verso colline dove la vigna si incunea tra boschi in cui querce e lecci la fanno da padroni. Ma in questa particolare zona, (quella appunto che da Poggibonsi porta a Monsanto e poi, salendo ancora arriva a immettersi sulla strada provinciale che, in costa, va da San Donato a Castellina in Chianti) ci sono moltissimi cipressi e l’insieme porta ad un microclima particolare, che sfrutta i venti caldi da sud  ma ha anche fresche infiltrazioni da nord. Ho sempre identificato questo crinale come “alpino” e lo si capisce guardando la vegetazione, ma soprattutto affacciandosi ad oltre 400 metri nei vigneti di Quercia al Poggio, realtà di oltre 100 ettari dal 1997 di Michela e Vittorio Rossi. Ci sono vigne con varie esposizioni che dominano un territorio di una bellezza sconcertante, (e quello della foto nella testata dell’articolo) anche e soprattutto per chi, come me, queste colline le ha frequentate sin da piccolo. I loro vini, naturalmente Chianti Classico, portano con sé le conseguenze del clima “alpino”, assieme ad una nota che deriva da  terra che prima era bosco e in qualche modo lo ricorda. Hanno aromi naturalmente balsamici e finemente terrosi, bella freschezza e austera linearità . Sono vini da aspettare e non per niente entrano in commercio almeno un anno dopo gli altri.

Querceto di Castellina, la vigna principale.

Da Quercia al Poggio, che è nel comune di Barberino Val d’Elsa,  per arrivare a Querceto di Castellina si devono  fare  almeno 20 chilometri e praticamente attraversare una bella fetta del Chianti Classico: si deve  percorrere una delle strade più panoramiche della zona, che passa da Castellina in Chianti e poi punta verso est in direzione  Panzano per poi, dopo una strada che sembra non conoscere il termine “rettilineo”, girare a destra e risalire per una strada bianca fino all’azienda. Prima dei titolari abbiamo conosciuto i caprioli: un branco di almeno una decina che solo il rumore della nostra frenata repentina per ammirarli  ha distolto dal loro pranzo fatto di bacche e di quei pochi germogli che la stagione propone. Muovendosi con nonchalance verso l’interno del bosco ci hanno adocchiato da lontano, come per ribadire che quelle terre appartengono a loro.

In effetti arrivando in azienda, che si trova a quasi 450 metri ed è  circondata da vigne e boschi che si perdono in lontananza, capiamo il punto di vista dei caprioli e probabilmente anche dei cinghiali, delle volpi, degli istrici e compagnia cantante.

L’azienda, che oggi ha anche un importante agriturismo, appartiene dal 1945 alla famiglia Masini, diventata Di Battista quando Laura Masini (grande cuoca, provato con mano!) sposa Giorgio di Battista e comincia a trasformare l’azienda, aiutata successivamente dai figli Jacopo e Filippo. Gli ettari vitati sono circa 12 ma qui non troviamo solo sangiovese e Chianti Classico: importante per loro è un merlot in purezza e anche un bianco da viognier e roussane veramente particolare. Come sono particolari i vigneti, specie il più grande, a oltre 500 metri sulla sommità e esposto a nord: una vera e propria scommessa che oggi, con il cambiamento climatico,  è stata vinta. Anche qui si tocca con mano che l’altitudine porta con sé vini freschi, austeri, che si dipanano col tempo ma mantengono sempre la schiena dritta.

La schiena sarà pure dritta ma le strade chiantigiane, anche quelle del versante ovest di Castellina in Chianti che portano verso il Castello La Leccia dritte non sono per niente e solo negli ultimi 300 metri sterrati, tra due ali di lecci secolari, si può rifiatare. Quello che  ti toglie il respiro è invece il panorama che si gode dal Castello La Leccia.

Terza azienda del nostro tour e anche qui, come si diceva un tempo delle donne alte “Altezza mezza bellezza”. Siamo infatti attorno ai 450 metri e i vigneti arrivano anche oltre i 500. Dalla terrazza del castello  davanti al fortunato visitatore si apre un mondo: lo sguardo spazia quasi fino alla Lucchesia e sembra di toccare San Gimignano e  Monteriggioni. Guido Orzalesi responsabile di questa azienda con 170 ettari di terreno e 17 a vigneto, che da pochi anni è stata acquistata dall’imprenditore svizzero Rolf Sonderegger, ci ha tenuti quasi un’oretta ad ammirare questo panorama mentre ci presentava l’azienda e i suoi vini, che mostrano una maggiore rotondità rispetto a quelli delle due cantine precedenti. Anche qui il Sangiovese la fa praticamente da padrone e anche qui, come nella altre cantine, la viticoltura è biologica da molti anni.

Qui lo dico e qui non lo nego: i vini sono tutti indubbiamente buoni ma la mia personale preferenza è andata al “ragazzo di bottega”, al vino base, il Vivaio del Cavaliere: un piacevolissimo rosso IGT dove piccole dosi di syrah, malvasia nera e ciliegiolo assistono la stragrande maggioranza di sangiovese nel creare un blend profumato, piacevole, armonico, che si fa bere senza accorgersene. Che vi devo dire… non si vive di solo sangiovese.

L’ ultima tappa del nostro tour chiantigiano (tranquilli, l’abbiamo fatto in tre giorni) ci porta a superare Radda in Chianti e arrivare sopra a Gaiole in Chianti, a Riecine. Negli ultimi due anni, avendo scritto un libro sui suoi 50 anni di storia, sono stato quasi più a Riecine che a casa mia, ma il panorama che si ha dalla cantina colpisce sempre, come sicuramente ha colpito tutta  la redazione  la degustazione di un vino per ogni decennio di vita della cantina, nata nel 1971 grazie agli indimenticabili John Dunkley e Palmina Abbagnano: siamo partiti (tenendo come riserva di lusso una Gioia 1999) dal Chianti classico 1979 e siamo arrivati, passando dalla Gioia 1985, dalla Riserva 1996 e dalla Gioia 2006, al Riecine di Riecine  2014. In tutti i vini abbiamo trovato una grande personalità che ha detta dei più si è sublimata nel Riecine di Riecine 2014, sangiovese in purezza che ha visto solo cemento. Figlio di un’annata difficilissim ha mostrato finezza, profondità, complessità e grande giovinezza.

Se qualcuno è arrivato a leggere fino qui credo si stia domandando se con tutte queste degustazioni si sia riusciti anche a mangiare qualcosa. Tranquilli! Cena all’Albergaccio a Castellina in Chianti, pranzo alla Locanda di Pietracupa, senza contare i pranzi e le cene nelle aziende.

Non ci siamo fatti mancare niente ma soprattutto abbiamo vissuto per tre giorni le luci particolari, le ombre invernali,  i rumori, i silenzi, i profumi del Chianti Classico.

Due cose finali: un ringraziamento a Riccardo Gabriele, nostro appassionato anfitrione, e a tutte le ragazze e i ragazzi di PR Vino: senza di loro niente sarebbe stato possibile.

La foto della redazione con le nuove sciarpe di Winesurf  serve per ricordare a tutti che anche in un momento godurioso come questo siamo “sul pezzo”.

E adesso pronti per le novità decise in riunione? Tenetevi forte!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE