Quando la Borgogna diventa un mulino a vento. Seconda parte.6 min read

Continua l’incontro con i Beaujolais prodotti da quel grande produttore borgognonne di Thibault Liger-Belair

Thibault-Liger-Belair

La terza cuvée parcellare è quella di Champ de Cour. Si tratta di uno dei lieux-dits più frequentemente rivendicati in etichetta (Budker lo includeva, con Les Rouchaux, tra i lieux-dits di seconda classe). Champs de Cour è un vasto plateau orientato a sud-est, caratterizzato da suoli poco profondi, ed è uno dei più vasti della denominazione. Non distante dal mulino a vento che dà nome al cru, è da esso protetto dal vento del nord dominante. La parcella di Liger-Belair ha un’estensione di circa 1 ettaro e mezzo, ed è situata nella parte meridionale del lieu-dit, ed è una di quelle nelle quali l’uva arriva meglio alla maturazione ottimale, sia per la sua esposizione a sud, sia per il suo essere riparata dai venti freddi. Anche questa è una vigna molto vecchia, di 80 anni, e poggia su un suolo di sabbie granitiche, costituite da granito rosa, quarzo e sabbie limonose.

Moulin-à-vent Champ de Cour 2018

Al naso frutti neri maturi ma non surmaturi, fresche note terrose e pepate, tipiche del cru. Ha finezza, sul palato si distingue per la sua elegante morbidezza; vellutato, ha struttura salda, profondità, buona persistenza. Un bel vino che non sfigurerebbe nel confronto con un buon pinot borgognone del sud.

L’ultima cuvée parcellare è La Roche, che Liger-Belair considera la più bella del suo Domaine: 2.25 ettari piantati tra il 1920 e il 1945, situati alla sommità della collina del Moulin-à-vent, a poche decine di metri dallo storico fabbricato. Suolo sottile (20-80 cm. nel punto più profondo) costituito di sabbie rosa e bianche di granito e quarz, col granito che giunge ad affiorare in superficie. I suoi vini hanno bella ampiezza, ma soprattutto finezza minerale. Appartiene senza dubbio al gruppo dei lieux-dits di prima classe. 30% di vendange entière, tre settimane di fermentazione, 20% in fusti di legno nuovo per 15 mesi

Moulin-à-vent La Roche 2018

Pur se meno immediato di Champ de Cour, si avverte subito l’ascesa nella gerarchia della qualità rispetto alle cuvée precedenti. Ha personalità e struttura, salda ma senza eccessi. Ricco e complesso, con note floreali e speziate al naso, sembra quasi un pinot, ha probabilmente bisogno di tempo per distendersi. Lunga e complessa la chiusura. Un Moulin di grande classe.

La collezione di Liger-Belair si chiude con un’altra cuvée di assemblaggio proveniente da parcelle e lieux-dits diversi: prodotta solo in magnum, Les Vignes Centenaires. In tutto mezzo ettaro, piantato tra il 1872 e il 1880, poco dopo la guerra franco-prussiana: prima della fillossera e quindi a piede franco.  Le vigne sono distribuite   su tre versanti della denominazione: a sud ne La Teppe, a ovest nel lieu-dit Aux Caves, in prossimità della route per Fleurie, e a nord-est ne Les Bois Marecheux.  I ceppi sono distanziati tra loro, con diversi mancanti e alcune prove di marcottage (il sistema di riproduzione adottato prima della fillossera). Il 50% delle uve è vinificato “à grappe entière”, la fermentazione dura da tre a quattro settimane con una estrazione il più possibile dolce, affina per il 30% in fusti nuovi per un anno e mezzo circa -20 mesi. Indubbiamente il gioiello più prezioso del Domaine. Di densità eccezionale, con una complessa tessitura, notevole mineralità e propensione all’invecchiamento. Una cuvée fuori categoria. Le 293 magnum prodotte nell’annata 2018 sono già introvabili, come del resto le precedenti.

Appartenente ad una delle più prestigiose dinastie del vino borgognone (il cugino, Louis-Michel Liger-Belair, è il titolare del Domaine Comte Liger-Belair, proprietario, tra l’altro,  del prezioso monopole La Romanée), Thibault , prima del suo ritorno in Borgogna, ha sempre vissuto a Parigi, dove il padre si era trasferito per lavorare nel mondo della finanza: negli anni ’70 i vini della Borgogna si vendevano con difficoltà e a bassissimo prezzo e le vigne di proprietà erano affidate a tre affittuari. Spesso però trascorreva i suoi week-end nella proprietà familiare a Nuits-Saint-Georges, finendo per innamorarsi della vigna, sicché, a 16 anni, disse al padre che avrebbe voluto lavorare in quel campo. Dopo aver studiato a Beaune, giovanissimo, ha per qualche tempo- alla fine degli anni ’90- lavorato per la società FICOFI. Poi, insieme con un amico, ha creato una società per vendere vino su Internet, Wineandco, ceduta successivamente a LVMH per tentare, nel 2001, l’impresa di recuperare le vigne di famiglia e cominciare a produrre vino in proprio.

Le vigne erano in pessimo stato e sono stati necessari alcuni anni per rigenerarle. Le sue prime cuvées sono state, nel 2002, il Nuits-Saint-Georges, il Nuits-Saint-Georges La Charmotte e il Vosne-Romanée Aux Réas.  L’anno dopo sono venuti il Richebourg, la sua vigna più preziosa, il Clos de Vougeot e il Vosne-Romanée 1er cru Petits Monts, poi tutte le altre, tra le quali il magnifico Les Saint-Georges, della cui promozione a grand cru Liger-Belair è convinto sostenitore. Ora sono 23 le appellations prodotte dalle vigne di proprietà e da uve acquistate per il négoce, seguendo il principio che “si comprano uve solo dove si può lavorare”. Nel 2008 l’acquisizione della proprietà nel Beaujolais: i vini di quel territorio sono stati finora vinificati a Nuits-Saint-Georges, ma Liger-Belair conta di utilizzare, appena possibile, la struttura posseduta a Chénas, dove è la sede del Domaine des Pierres Roses.

Nel 2004, Thibault, da sempre verde convinto, aveva realizzato la conversione alla coltura biologica, ottenendo la relativa certificazione, e cominciando anche ad applicare il metodo biodinamico. Nel 2013 fu protagonista di un altro caso come quello di Giboulot, il vigneron processato per essersi rifiutato di effettuare i trattamenti prescritti per contrastare la diffusione della flavescenza dorata. Liger-Belair fa propria la visione della biodinamica, ma ne rifiuta gli esiti dogmatici ed esoterici. E’ indubbiamente uno degli innovatori del Beaujolais, tra i pochi a praticare la biodinamica, che i vignerons locali non amano per la difficoltà di applicarla sul gore. Contro la pratica del “rognage” corto delle vigne, lascia sviluppare il feuillage, nella convinzione che permetta un migliore sviluppo radicale. Vinifica alla borgognona, senza macerazione semi-carbonica, in cuves di cemento, realizzando delle infusioni, con poco pigeage e rimontaggi. L’affinamento è generalmente lungo, in fusti di diversi vini, con un dosaggio molto attento del legno per la cui scelta collabora con la Tonnellerie Mercurey. A Thibault piacciono la rotondità, la morbidezza e la finezza, nei vini, ma per ottenerli non ci sono regole fisse, valide al 100%.

Nel 2017 è entrata in funzione l’avveniristica nuova cantina supergreen, presso la quale abbiamo compiuto la nostra degustazione del 2018: una struttura modernissima progettata in ogni dettaglio dal punto di vista della sostenibilità ambientale. A partire dal grande fiore solare che si ammira immediatamente innanzi all’edificio. Sembra avere una funzione puramente decorativa, ma, seguendo il movimento del sole, assicura da solo tutta l’elettricità che occorre alla cantina. Sei pozzi geotermici, unitamente ad uno scambiatore d’acqua, forniscono acqua a 12°.  Quasi l’intero fabbricato (il 95%) è costituito da materiale riciclato. Nessun dettaglio è lasciato al caso: dai vasi vinari con i bordi arrotondati alle botti progettate con la tonnellerie di Mercurey, da legni selezionati da alberi cresciuti su suoli calcarei, con protocolli di tostatura accuratamente definiti, allo zolfo di miniera ungherese per la produzione dei solfiti necessari.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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