Quando alcune vecchie bottiglie di Montevertine ti fanno godere e riflettere4 min read

Il Montevertine 2002, il Cannaio 1988 e il Pergole Torte 1978 assaggiati pochi giorni fa a pranzo da Martino e Liviana  Manetti in quel di Montevertine appartengono alla categoria dei vini che, oltre ad essere eccezionali, ti fanno riflettere su alcuni temi sempre più importanti.

Il Montevertine 2002, di assoluta finezza, con un tannino setoso ma ancora vivo, dotato di profumi per niente evoluti, rappresenta un momento della storia chiantigiana che porta con se grandi insegnamenti. Tra l’altro (ne parlerò tra qualche tempo) la stessa annata mi è stata proposta ad Ama da Marco Pallanti e posso dire che per fare una prova bastano, in questo caso, abbondantemente due soli indizi.

La prova è che in annate piovose e tragiche devi convincerti che “lavorare in forte perdita è un certezza per un  futuro migliore” e cioè che passare più volte in vigna, scartare lo scartabile (e anche più) in vendemmia, selezionare con rigorosa attenzione il vino da utilizzare, lasciandone buona parte in secondo piano, è una grande rimessa finanziaria per il produttore ma (al contrario chi cerca di “metterci una pezza” scendendo a compromessi qualitativi) alla fine si trasforma in una fidelizzazione del cliente e in una chiarezza di vedute che, per cantine importanti, rappresenta il cemento con cui affrontare clienti, mercato e futuro.

La 2002, lo sanno anche i sassi, in Toscana (e non solo) è stata una vendemmia tragica: pioggia, freddo  e non solo  in vendemmia ma partire da agosto. Mi ricordo che il 10 agosto di mattina il termometro fuori dalla mia finestra segnava (mentre stava piovendo a dirotto) 10 gradi.

La situazione non è migliorata a settembre e questo ha portato ad una delle peggiori vendemmie toscane degli ultimi 40 anni assieme alla 1984, alla 1989 e alla 1992.

 

Se vogliamo la 2002 è stata anche peggio perché le tre precedenti non avevano “gli occhi del mondo addosso”, cioè il mondo del giornalismo enoico non si era ancora sviluppato (in Italia e all’estero), e le vendemmie non erano sotto i raggi x di critica e pubblico. Quindi una vendemmia molto difficile come la 2002 rischiava di andare molto più facilmente  invenduta o comunque venduta a prezzi da realizzo.

Questo Montevertine 2002 presenta la freschezza dei sangiovese di Radda in Chianti assieme a una finezza tannica leggiadra e a una complessità aromatica che non mostra  minimamente la corda. Insomma, chi comprò a suo tempo il vino ha fatto un grande affare.

Ma sinceramente questo non è un articolo nato per celebrare una vendemmia tragica ma per evidenziare soprattutto alcune idee nate durante l’assaggio degli altri due GRANDI sangiovese presentati in alto.

Per chi non lo sapesse il Cannaio era il vino fatto da Sergio Manetti per l’Enoteca Pinchiorri: era praticamente un Pergole Torte vestito diversamente e la produzione era di pochissime bottiglie. Il Pergole Torte 1978 è figlio di un decennio enoico sicuramente tra i più difficili del Chianti Classico, dove quelle cose che oggi definiamo “tecniche agronomiche e di cantina” erano lontane da venire.

Ma cosa unisce, oggi, questi due vini oltre a dei nasi di profondità incredibile, (menta e macchia mediterranea in entrambi: ancora frutta rossa nel Cannaio, terra bagnata e fungo nel Pergole Torte, tanto per dire i primi profumi percepiti) ad una mirabile freschezza e eleganza assoluta, con ancora i tannini del 1978 che scalpitano? Li unisce Il fatto di trovarsi di fronte a qualcosa di irripetibile per tutta una serie di ragioni che potrebbero essere riassunte nel concetto “variazione storica del terroir” e a cui stiamo assistendo, volenti o nolenti.

Cerco di spiegarmi: La vigna del Pergole Torte è sempre lì, anche se viene piano piano ripiantata, la famiglia che possiede la cantina è sempre la stessa, i metodi in vigna e in cantina sono quelli che Sergio e Giulio Gambelli avevano sancito, e Paolo Salvi adesso svolge l’intelligente ruolo di “enologo controllore” non certamente di rivoluzionario (altrimenti Martino l’avrebbe da tempo accompagnato alla porta).

Insomma molte cose sono uguali o simili ma una cosa è completamente cambiata ed è il clima. Le due annate in oggetto, anche se “calde” per il periodo avevano andamenti che oggi ci sogniamo. Si Vendemmiava ad ottobre inoltrato, si arrivava a malapena (forse per fortuna) a 12.5 gradi alcolici, si avevano acidità e pH diversi. Le uve maturavano più lentamente e anche i vini facevano lo stesso. Il mercato (molto più piccolo allora) “sopportava” tannicità più spigolose e acidità marcate ma nello stesso tempo iniziava a pensare a vini più rotondi e stilisticamente diversi, chiamati poi, in gran parte,  Supertuscan.

Oggi il cambiamento climatico ha reso quasi obbligatorio questo arrotondamento, passato però tramite un cambiamento stilistico che ha modificato (non in peggio o in meglio, ma ha modificato) il profilo dei vini, rendendoli più pronti subito ma con importanti ma giocoforza inesplorate possibilità di invecchiamento.

Quindi assaggiando queste due perle del passato l’unico commento oggettivo possibile, aldilà di sensazioni aromatiche e gustative personali, è stato “Vini così non li assaggeremo più!”…  sempre se (e qui Martino docet) non ne avete altre bottiglie in cantina.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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