Guida vini 2021. Pinot Nero altoatesini: buoni ma…2 min read

Quasi 50 pinot nero spalmati su  quattro annate ci hanno fatto capire che l’Alto Adige è e rimane la prima regione italiana per questo vitigno, ma hanno dimostrato anche che qualcosa sta cambiando e sta cambiando “di corsa”.

Tutto questo non si percepisce tanto dai vini, che invece mostrano una buona qualità media accompagnata forse da troppe somiglianze stilistiche, ma dal clima  altoatesino che è cambiato e sta cambiando, spingendo i produttori a cercare nuovi terreni più alti ma ugualmente vocati oppure a lavorare in condizione molto diverse rispetto al passato.

Queste sono cose che non si fanno in un giorno e quindi i pinot nero dell’Alto Adige si trovano in una specie di limbo dove i nuovi vigneti devono ancora crescere per dare risultati importanti e i vecchi hanno bisogno di essere interpretati in una maniera nuova che ancora deve essere individuata perfettamente.

Detto questo ripetiamo che  i vini assaggiati sono indubbiamente buoni ma, passateci il termine, un po’ ripetitivi: avendo quattro  annate da degustare ci aspettavamo differenze importanti e invece diverse volte l’unica differenza di rilievo è l’uso del legno, sicuramente alleggerito e migliorato rispetto anche al recente passato.

Inoltre  forse più che con altre uve nel Pinot Nero si nota la presenza “livellante” delle cantine cooperative che devono perpetuare uno stile che ha avuto successo e che la clientela predilige.

Pinot nero

Sinceramente ci sembrano un po’ troppo simili a se stessi, un po’ troppo ripetuti (ben ripetuti!) e ripetitivi: una scolaresca ben vestita e pettinata dove si sente la mancanza di qualche “Pierino”, con il vestito sporco e le scarpe slacciate ma con una vitalità innata e debordante.

In realtà qualche segnale di cambiamento c’è ma sono minimi e ancora poco incisivi: oramai l’uso del legno piccolo è stato digerito (a parte alcuni casi oramai quasi caricaturali) e quel Pinot Nero “cappuccino” è un ricordo del passato, però se l’ Alto Adige sta puntando forte sulle differenze territoriali e sta per ottenere un bel numero di Menzioni Geografiche, queste differenze si dovrebbero capire nel bicchiere.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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