Di piada e squacquerone si festeggi la buonissima unione!4 min read

Ci sono coppie indissolubili, storiche, persino iconiche oserei dire. Nessun umano penserebbe mai ai loro componenti in forma individuale. Non esiste proprio uno Stanlio senza Ollio, una Jolie priva di Pitt (lo ammetto, questa forse non è attuale) Per non parlare poi di Astaire-Roger, Burton-Taylor, Vespasiano e i w.c. e chi più ne ha più ne metta.

Per noi romagnoli però la quintessenza della coppia indissolubile è quella che si è formata tra piadina e squacquerone. Una coppia salita sull’ascensore alimentar-culinario, passando dal ruolo un po’ defilato di un anonimo chiosco, al gotha della gastronomia.

Finalmente, dopo anni di lista d’attesa, un posto nella IGP suite.

La piadina, o la piada, a seconda che siate nel ravennate, nel forlivese, nel cesenate o nel riminese (ho dimenticato qualcuno?) è il pane di noi romagnoli con una lunghissima storia alle spalle; rimarreste sopresi di fronte alla quantità di saggi, articoli, riferimenti bibliografici che esistono sulla piadina. E quanti poeti e letterati ha ispirato, da Tonino Guerra a Sergio Zavoli, solo per citare quelli che mi vengono in mente!

Come spesso accade però, per entrare nel salotto buono devi vestirti in modo appropriato, e lasciare in soffitta l’abito non più adatto al nuovo ruolo causando, a volte, la nascita di molteplici identità.

il rischio della piadina

Ed è un po’ il rischio che corre la piadina, sdoppiarsi in una sorta di Dr. Jekyll e Mr.Hide e perdere parte della sua personalità originaria.

Nata in seno al popolo, partorita in casa e nei chioschi da azdore e sfogline, vestita di materia grezza, la piadina salita al rango di IGP non è più la stessa. E’ fatta in serie, come le auto, precotta o surgelata, prodotta industrialmente, impacchettata e venduta in grandi quantità.

Dice lo storico riminese Piero Meldini “Contrariamente a quel che pensa la stragrande maggioranza dei romagnoli, che in fatto di cucina sono fieri campanilisti, la piada non è un cibo unico al mondo.” Che peccato!

Era carina l’idea di essere i soli a produrre un impasto schiacciato di farina, acqua e..omissis. Comunque, un effetto di questo processo di industrializzazione, è che un pezzo di Romagna la puoi trovare anche a Singapore e a Londra, e a noi romagnoli, anche se non lo ammetteremo mai in pubblico, un po’ torna utile. Oltre a dar lavoro alle nostre aziende, contribuisce a mitigare quel senso di nostalgia che ci prende quando siamo fuori dai confini della Romagna, vale a dire all’estero.

Ci sono vari modi di fare la piadina ma, come ricorda Tonino Guerra, la piadina della mamma è la più buona del mondo, e solo quella è degna di sposare Mr. Squacquerone DOP.

La genesi dello squacquerone

Graziano Pozzetto, giornalista, scrittore e grande gastronomo, ha dedicato a questo formaggio di origini popolari e contadine un libro di oltre 300 pagine. Scrive Pozzetto “…lo squacquerone tradizionale e identitario della Romagna contadina è stato fino a 4 o 5 decenni fa, unicamente quel formaggio vaccino fresco, di produzione rurale, casalinga, amatoriale e di autoconsumo, di coerente stagionalità invernale e d’inizio primavera, ottenuto con caglio naturale, (ancor oggi una delle discriminanti della tradizionalità) da latte a crudo di fresca mungitura. Un tempo, un latte debole per profilo organolettico, recuperato da mucche da lavoro magari con un vitellino da allattare.”

Forse non si sono del tutto estinti, come le mucche da lavoro, ma questi laboratori casalingo-stagionali sono oramai circoscritti a pochi casi, integrati ma più spesso soppiantati, da una struttura industriale o semi-industriale che lavora a pieno regime tutto l’anno. Un prodotto che a dispetto del nome, il cui suono onomatopeico suggerisce immagini inquietanti, riscuote un enorme successo quando si accoppia con Lady Piadina. Ogni boccone, un’emozione:  eppure, forse per via del suo nome che invita ad aprire molto la bocca per renderne bene il suono, non ha ispirato Poeti e Letterati come la piadina, ma solo gastronomi, gourmet, curatori di rubriche e mangiatori di varia stazza.

La versione “pregna”

Anche la versione “pregna” della piadina, il cassone, ha più proseliti tra gli abbuffet (abbuffini-gourmet) che tra i candidati all’oscar per la letteratura. Impregnare una piada è facile, basta mettergli qualcosa accanto, che subito viene fagocitata, ed in un battibaleno la piada si racchiude su se stessa come un’ostrica. La piada “incinta”, come la consorella, si accompagna bene con il vino, giammai con la birra.

L’una e l’altra, a seconda di cosa porta in grembo o sulle spalle, godranno di un vino che la faccia sentire a proprio agio. Un’albana nata sul calcare, oppure sulle argille o sulle sabbie, raccolta prima o dopo, macerata oppure no, fermentata spontaneamente o con l’aiutino da casa, andrà bene.

Ricordate il detto “Ogni badilaz al vo al su mangaz” e il gioco è fatto. Ma piada e squacquerone sono una coppia speciale, io amo mettergli un vestito su misura, un vestito allegro, spumeggiante e brioso, fatto con uve famoso. Uva generosa, profumata e fragrante.  Purtroppo un giorno, qualche famosa Wedding Planner parlerà di questa coppia, lanciandola tramite i social nel mare magnum del web, e allora avremo perso anche quel briciolo di verginità che ancora ci resta.

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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