Per i 15 anni di Winesurf a Clos Vougeot assieme a Sherazade5 min read

Nel mezzo (più o meno, eravamo nel marzo 2014) del cammin della vita di Winesurf- allora io ero una matricola essendo arrivato solo pochi mesi prima – il mio “mentore” Pasquale Porcelli, alias Virgilio, mi chiese se volessi andare con lui e il grande Kapo in Borgogna  per i Grands Jours.

Non era la prima volta che andavo da quelle parti, dalle quali  ero rimasto folgorato alcuni anni prima per poi ritornarvi  diverse altre volte, ma fui subito entusiasta dell’idea  di partire con loro per l’avventura. Poi la passione per gli sci fu fatale al nostro super-Direttore, e dovemmo trovare all’ultima ora un sostituto che naturalmente fu felicissimo di prenderne il posto.

Eccoci dunque così, in quella bella sera marzolina, nel cortile del castello del Clos de Vougeot ad attendere l’evento clou di quelle giornate, la grande degustazione (con annessa cena) dei grands crus della Côte-d’Or organizzata dalle grandi Maison. Era l’anno decisivo per la candidatura dei climats borgognoni al Patrimonio mondiale dell’Umanità dell’UNESCO e si era deciso di fare le cose davvero in grande.

Nei giorni precedenti era successo un po’ di tutto: a Chablis, mentre assaggiavamo i vini della Yonne, perdemmo Pasquale, che, da buon molfettese, era intento ad alleggerire il carro delle ostriche messo lì davanti per l’aperitivo. Ci eravamo però già tolti qualche bella soddisfazione: tra queste, la visita al Clos des Lambrays, dove Thierry Brouin, l’ artefice della rinascita del suo mito e in procinto di lasciare il campo a Boris Champy  per la sua retraite, ci guidò in una magnifica degustazione dei suoi crus .

Finalmente venimmo fatti entrare nell’antico cellier cistercense, nel quale era stato allestito un lunghissimo banco, dietro il quale un gruppo di sommeliers quadrumani riempiva a ciclo continuo i bicchieri per gli ospiti. Davanti a loro 36 bottiglie numerate, alle quale ne sarebbero seguite molte altre per soddisfare la sete dei privilegiati partecipanti, mascherate fin subito sotto l’imboccatura: 17ricoperte da un drappo giallo e 19 da uno rosso. Ciascuna di un cru diverso proveniente dalle cantine delle maggiori Maison della Borgogna, che sponsorizzavano la manifestazione. Nelle nostre mani, un lussuoso quadernetto, con un numero corrispondente di spazi numerati, ovviamente vuoti,  per gli appunti. Di quei vini si sapeva solo il numero, il colore, ed ovviamente che si trattava di un grand cru.

Neppure il tempo di ammirare ancora una volta la magnifica charpente della grande sala, che iniziarono gli assaggi: prima i 17 bianchi, che poi scoprimmo essere tutti dell’annata 2008, facendoci spazio tra gli altri partecipanti (tra di essi anche diversi proprietari , régisseur e chef de cave che avevo conosciuto nei viaggi precedenti) , mentre , in una selva di  gomiti e  orecchi, vorticavano velocemente vassoi ingombri di appetizers.

La 2008 è stata una delle poche annate di questi ultimi due decenni più favorevoli ai vini bianchi che a quelli rossi in Côte d’Or : puri e concentrati e di buon equilibrio, ma solo per alcuni di essi, sei anni dalla vendemmia  erano bastati  a farli aprire appieno, specie i grandi crus di Puligny e Chassagne, mentre gli Chablis e i Corton blancs  ( a me piacque molto lo Charlemagne di Latour) risultarono molto più accessibili. Ma eccoci finalmente ai rossi, che apprendemmo essere tutti dell’annata 2011, che, dopo la 2009 e la 2010, già iscritte nell’ élite delle vendemmie degli anni 2000, era considerata tra le più sofferte. E in effetti la precocissima vendemmia 2011, già la terza cominciata in agosto dall’inizio del nuovo millennio, seguiva un’annata pericolosamente simile a quella del  disastroso (soprattutto per i pinot) 2004. Ma questa volta i vignerons  si erano fatti trovare assai più pronti e di fatti i rossi di quell’anno , pur non trovandosi  probabilmente ai vertici delle classifiche di tutti i tempi , quando ben vinificati, sono risultati molto piacevoli e apprezzabili già presto.

Eravamo dunque arrivati al n. 34 della serie (già il precedente, il 33, mi aveva trafitto il cuore) quando scoprii che, in campo vinicolo, si può tradire subito dopo essersi innamorati: molto simile, ma anche molto diverso da quello precedente. Un Pinot che definire seduttivo sarebbe poco. Una  vera Sherazade  del vino, pronta per il racconto di mille notti. Frutti rossi , sciroppo di cassis e spezie fini al naso,  carnoso ed elegante sul palato, di incredibile finezza, come può esserlo  un Clos de Bèze in radiosa giovinezza. E difatti si trattava di un Clos de Bèze della Maison Chanson.

Scoprimmo poi anche perché somigliava tanto al n. 33: era anch’esso un Clos de Bèze, ma della Maison Bouchard Père et Fils e inoltre provenivano dalla stessa proprietà, il Domaine  Pierre Damoy. Si tratta del maggior proprietario del Clos che è solito vendere una parte delle sue uve alle due  grandi Maison, che non vi posseggono proprie parcelle. Due stili diversi: più austero, più boisé, un po’  più muscolare,  costruito per un lunghissimo invecchiamento quello di Bouchard, più immediato, seduttivo e ricco di charme, oserei dire più femminile, quello di Chanson.  Sherazade, appunto.

Ma c’è un seguito. Parlavamo con Pasquale della bellezza di questo n. 34 (non sapevamo ancora che vino fosse ) all’elegante tavolo apparecchiato nel lussuosissimo Grand  Salon (ahi ahi  Dom Loisier, abate del più austero ordine benedettino che non esitò a fare dello Château  una residenza degna del duchi di Borgogna!) con alcuni altri commensali che non conoscevamo: uno di essi era Monsieur Beau, che rappresentava la Maison Chanson. Estasiato di sentire così decantato il suo vino, ci invitò di impulso ad andare a trovarlo l’indomani in rue  Chanson, al Bastion de l’Oratoire.

Purtroppo dovevamo assolutamente ripartire all’alba  e dovemmo rinunciare all’invito. Peccato!

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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