Manzoni l’avrebbe definita “denominazione di coccio tra denominazioni di ferro” e avrebbe avuto ragione. L’Orcia DOC e il suo meraviglioso territorio si trova infatti incuneata tra Montalcino e Montepulciano e, giusto per non farsi mancare niente, intravede a nord i monti del Chianti Classico.
Riuscire ad emergere in una situazione del genere non è facile ed è ancor meno facile se in un territorio (guardate la piantina) che praticamente è quattro volte quello di Montalcino ci sono “ben” 153 ettari vitati e qualche decina di cantine che imbottigliano nemmeno 300.000 bottiglie.
Naturalmente coltivano e imbottigliano principalmente sangiovese, lo stesso che spopola a pochi chilometri di distanza e in questo territorio si esprime in maniera leggermente più ruvida quando è giovane, ammorbidendosi, con tutta la calma del mondo, negli anni. Si ammorbidisce con calma perché il territorio dell’Orcia spesso ha vigneti che si trovano a più di 500 metri d’altezza. A proposito, i terreni vanno dall’argilla al galestro e i vigneti sono piantati con ogni esposizione e densità possibile.
I (pochi) produttori e il consorzio, che ci hanno accolto a San Giovanni d’Asso per una mattinata di assaggi e confronti, puntano sul concetto di unità, di terroir, di riconoscibilità del vino e secondo me sbagliano perché l’Orcia DOC, per la sua estensione, differenze pedologiche, climatiche, altimetriche, agronomiche è la diversità in persona.
Se poi ci aggiungiamo che, come in tutta Italia, i produttori non rinunciano a dare il loro timbro di fabbrica, magari piantando anche vitigni “molto alloctoni” come marsanne e roussanne (naturalmente per vini fuori disciplinare), allora ci mettiamo il cuore in pace e definiamo l’Orcia “DOC” come nel titolo dell’articolo.
Ma come sono i vini? Nelle loro diversità stilistiche e strutturali (chi punta più sulla potenza, chi sulla freschezza, chi addirittura sul lungo invecchiamento anche dei vini base) hanno una qualità media piuttosto alta e soprattutto un buon rapporto qualità/prezzo. Qualcuno in gioventù assomiglia al Rosso di Montalcino, quelli più potenti forse tendono verso Il Vino Nobile di Montepulciano Riserva, ma fondamentalmente hanno delle chiare diversità che per me sono un pregio.
Confermando che i vini abbisognano di tempo, mi ha colpito per la beva l’Orcia 2016 di Sassodisole, per la concreta potenza Le Frasi di Marco Capitoni e per la notevole giovinezza in bocca dopo 6 anni di maturazione il Tribolo 2012 del Podere Albiano. Ma anche gli altri hanno caratteristiche positive che il tempo premierà.
Tanto per tornare al concetto iniziale del vaso di coccio, durante la degustazione mi domandavo quale potesse essere la frase ad effetto per far emergere i vini di questo territorio: da abborracciato esperto di marketing gli proporrei come logo “Orcia DOC, l’altro Sangiovese” o addirittura , visto che ci sono cantine che mettono in commercio ora il 2012 “Orcia DOC, il Sangiovese che invecchia più del Brunello”. Invece loro sono molto più bravi di me e dichiarano che “L’Orcia è il vino nel più bello del mondo”: guardando le foto e dato che il loro territorio è anche Patrimonio Unesco, come dargli torto?