Napoli e Campi Flegrei, la rinascita di Falanghina e Piedirosso2 min read

Resilienza contadina nel cuore della città più urbanizzata d’Europa. Già, perché se è vero che tra le grandi città italiane Roma può vantare il maggior numero di superfice vitata, Napoli è sicuramente la metropoli con il maggior numero di vigneti dentro il suo perimetro urbano.

Il vigneto di Raffaele Moccia, premiato come Produttore dell’anno dalla Guida Mangia&Bevi 2018, è un esempio classico di resistenza contadina che difende la bellezza contro la bruttura delle nuove costruzioni in cemento che hanno invaso il cratere spento di Agnano.

Lì dove iniziano i Campi Flegrei, Gestendo il vigneto del padre e poi quello adiacente alle mura Borbonica, Raffaele ha contribuito ha salvare parte del paesaggio Antico, quando questi territori erano la dispensa nord di Napoli e producevano frutta, verdure, legumi e uva in abbondanza.

Discorso simile, proprio ai bordi del cratere degli Astroni, è quello di Gerardo Vernazzaro che, dopo aver studiato enologia a Udine, ha di fatto riconvertito la storica azienda Varchetta trasformandole il dna produttivo, da vinificatori a viticoltutori.

Le bandiere enologiche di queste produzioni dentro la città, a cui si aggiunge quella di Rosiello a Posillipo e la Tenuta Amato Lamberti dove si coltiva un terreno confiscato alla camorra, sono il piedirosso e la falanghina, le due uve simbolo della città da cui si producono gli omonimi vini da sempre ritenuti freschi e beverini.

Ma proprio il lavoro dei produttori napoletani e dei Campi Flegrei ha invece dimostrato le grandi potenzialità di queste uve, ritenute secondarie rispetto a aglianico, greco e fiano, proponendo vini moderni, di spessore e sicuramente molto affascinanti grazie anche al rapporto con il suolo vulcanico. Ma c’è di più: queste uve da sempre abituate a suoli caldi anche se carezzati dalla brezza marina, hanno dimostrato di rendere ancora meglio con i mutamenti climatici.

La Falanghina ha dimostrato di essere  un vino beverino ma anche complesso, capace di regalare belle sensazioni con il passare del tempo. Ma la vera sorpresa è costituita dal Piedirosso, da sempre bestia nera di contadini e trasformatori per le difficoltà di gestione sia in vigna che in cantina.

Le moderne conoscenze e l’attenta applicazione di una agricoltura di precisione in campagna hanno consentito di bere negli ultimi anni degli splendidi rossi: non eccessivamente alcolici, abbastanza morbidi, sapidi, freschi al palato e capaci di abbinarsi a gran parte della cucina tradizionale e d’autore.

Portabandiera di questo cambiamento, oltre le due aziende citate, sicuramente la Sibilla della famiglia Di Meo a Bacoli e Contrada Salandra di Peppino Fortunato a Pozzuoli. Sono loro i quattro moschettieri che hanno dato quella spinta necessaria a questi due vitigni, ripresi all’inizio degli anni ‘90 dall’azienda Grotta del Sole della famiglia Martusciello. Adesso ovviamente non co sono più solo loro: ci sono per esempio Salvatore Martusciello, che continua l’attività di famiglia insieme alla moglie Gilda Guida, Carputo a via Viticella e Cantine del Mare.

Insomma una vera e propria rinascita vitivinicola dei vini tradizionali di Napoli che è l’unica capace di fermare l’avanzata del cemento.

 

Luciano Pignataro

Luciano Pignataro è caporedattore al Mattino di Napoli, il suo giornale online è Luciano Pignataro Wineblog.


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