Mamoiada: viaggio in un territorio fatto di persone, storie, vigne e ideali7 min read

Ho conosciuto una straordinaria comunità del vino, costituita da donne e uomini appassionati e innamorati del loro territorio.

Sono stato a Mamoiada, al centro della Sardegna, a pochi chilometri da Nuoro, in Barbagia. Un paese di circa 2500 anime, dove il vino è diventato la leva del rilancio socio-economico e del riscatto da un passato di violenza e di faide che hanno imperversato nella zona fino agli inizi degli anni ’90.

Il borgo ha cominciato a rialzare la testa grazie ad alcune associazioni che hanno promosso l’inimitabile Carnevale locale, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, dove Mamuthones e Issohadores trasmettono un affascinante mistero con le loro maschere dalla bellezza ancestrale, che sembrano uscite da un film di Miyazaki.  All’inizio del nuovo millennio il decollo con i primi imbottigliamenti di vino: da un’unica cantina imbottigliatrice oggi ne contiamo 30 per un totale di circa 400.000 bottiglie, ma il numero è destinato ad aumentare ad ogni vendemmia poiché le cantine familiari sono circa 200 e molte altre si stanno attrezzando per il grande passo.

Vigna vecchia di cannonau a Mamojada

La chiave di questo successo sta nell’altissima qualità diffusa dei vini che nascono a Mamoiada, un territorio molto vocato, dove le vigne, prevalentemente ad alberello basso, caratterizzano un paesaggio incantato che le alterna al bosco in un susseguirsi di colline che si alzano dai 400 ai 1000 metri assicurando forti escursioni termiche anche nei giorni più caldi.

Fondamentale il  terreno dalla struttura molto sciolta, frutto di disfacimento granitico e leggermente acido e ingrediente non secondario del cocktail vincente, il cannonau, un vitigno che buona parte dei territori affacciati sul mediterraneo occidentale considerano, a giusta ragione, autoctono.

Completa il quadro lo straordinario fattore umano, che vede l’associazione Mamojà, circa 70 produttori, di cui solo una parte imbottigliatori, fare da volano per il territorio. Diverse generazioni unite nello sforzo di produrre qualità, hanno scelto la strada dell’agricoltura biologica: recentissimo l’accordo con l’agronomo Ruggero Mazzilli, iconico portabandiera della produzione organic in Italia, per una consulenza ai soci, il quale ha dichiarato di ritenere più probabile che nel consuntivo finale del rapporto con i Mamoiadini sarà più quello che lui avrà appreso da loro che quello che lui riuscirà a trasmettere.

Qui la vite è sempre stata coltivata mettendo in pratica i saperi antichi dei contadini, usufruendo di un clima asciutto e ventilato, senza dubbio il migliore antiparassitario che si conosca.

Particolare e bellissima l’atmosfera all’interno dell’associazione Mamojà: i genitori, che hanno da sempre coltivato le vigne dei padri e dei nonni per il consumo personale, o poco più, hanno accolto con entusiasmo la scelta dei propri figli di “rimanere” ed hanno investito soldi ed energie comprando vigne e costruendo cantine.  I ragazzi, di ritorno dopo studi ed esperienze in Italia o all’estero, non solo hanno portato competenze in agronomia ed enologia, ma hanno imparato anche a comunicare il vino.

L’organigramma dell’associazione è fortemente rappresentativo dell’armonia e del clima che si sta vivendo: Giovanni il giovane presidente, empatico ed entusiasta, sprizza energia da tutti i pori e la trasmette ai suoi sodali, Gianfranco che ancora non imbottiglia, ma vi assicuro che il suo sfuso, alla cieca, metterebbe in riga buona parte delle bottiglie presenti in una qualsiasi enoteca e Giampiero al primo anno di imbottigliamento, innamorato delle sue vigne che cura con passione maniacale. Sarebbero tutte da raccontare le storie dei soci che ho conosciuto, Pietro, originario di Oliena, bancario in pensione, coltiva le vigne che sono appartenute ai genitori di Maria Antonietta, sua moglie: ora sono i loro ragazzi ad aver preso le redini dell’azienda e la loro è storia comune.

Federica, giovane enologa che ha studiato prima ad Oristano, poi nella Loira per fare apprendistato, visto che c’era si è specializzata a Digione, ma il colpo di scena è il suo gran rifiuto, di Celestiniana memoria,  alla Romanée  Conti, che a fine stage le aveva proposto un contratto a tempo indeterminato. Questo non per paura delle responsabilità, come il Sant’uomo molisano, al contrario perché le responsabilità se le era assunte con la sua famiglia e il suo territorio. Il tocco borgognone di Federica già timbra alcuni vini delle cantine con cui collabora, la percentuale di uve in macerazione a grappolo intero, non diraspato, regala ai vini complessità e freschezza.

Che dire poi di Piergraziano, che ho visto stappare, con disinvoltura, i suoi vini con la pattada, vini che trasmettono tutta l’esuberanza di chi li ha creati: estremi, potenti ed eleganti al contempo che integrano e armonizzano gradi alcolici importanti: e non dimentichiamoci di Marcella e Gian Luigi innamorati della loro terra, vivono con orgoglio l’azienda che hanno creato e i vini che producono.

Chiudo questa carrellata di volti con Francesco, saggio e pacato, uno dei grandi pater familias di questa comunità, un riferimento autorevole e illuminato, ma ce ne sono ancora tanti che ho portato nel cuore a casa e la cui conoscenza è stata la vera ricchezza di questo viaggio.

La degustazione organizzata in occasione di Mamojada Vives 2022, la manifestazione che l’associazione organizza alla terza edizione, ha regalato emozioni importanti, a cominciare dai rosati, finalmente non allineati alle tendenze provenzali che ormai imperano sulla produzione globale di questa tipologia: freschi e sapidi, suadenti di fiori e melograno.

I rossi sontuosi di complessità e struttura, domano gradazioni che spaziano dai 14° ai 16,5°, il frutto al centro e sfumature floreali di eleganza e complessità. Ed i bianchi, che come in Borgogna, sia in degustazione (c’erano solo due macerati) che nelle cantine, li abbiamo sempre assaggiati dopo i rossi.

Novità, anzi riscoperta degli ultimi anni la granazza, un vitigno quasi perduto che molti stanno reimpiantando: non mi sono dispiaciute né le interpretazioni più convenzionali, sapide ed eleganti, che i macerati, misurati e piacevoli.

Argomento molto dibattuto all’interno dell’associazione riguarda la possibile istituzione di una doc ad hoc. In effetti ritengo non adeguato che i vini di Mamoiada non portino la menzione del loro territorio, loro che il territorio lo gridano forte ad ogni sorso e profumo, sono costretti a riportare la troppo generica doc Cannonau di Sardegna o Barbagia igt, paradossalmente più rappresentativa. Ma ritengo che una doc e con il tempo una docg sia doverosa per una maggiore riconoscibilità di questo territorio  e un’adeguata attestazione sui mercati internazionali, per non parlare della ulteriore credibilità che la creazione delle Mga porterebbe a tutti, tanto più che di fatto esistono da decenni, definite dalla saggezza contadina che ha selezionato le ghirade (vigne) più vocate.

Nell’attesa godrò delle grandi bottiglie di Mamoiada assaporando la storia e la cultura che raccontano, rivivendo le emozioni che le donne e gli uomini di questo territorio mi hanno donato.

Paolo Costantini

Per dimenticare la grama vita del bancario ho cominciato a dedicarmi al vino quando ancora non faceva figo, attraversando longitudinalmente buona parte del mondo associativo ad esso vocato. Fatale mi è stata la lunga esperienza in Slow food a causa delle cattive amicizie acquisite (Macchi e la banda di winesurf). Trascorro il raro tempo sottratto al lavoro e alla famiglia formando assaggiatori-mostri che metteranno a dura prova la pazienza di sommelier e produttori per futili motivi, nonché collaborando con riviste di settore online dalla dubbia reputazione. 


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