Mamoiada e cannonau: grande materia prima e tanta voglia di fare4 min read

In questi giorni ci è sembrato di essere tornati  a Mamoiada! Tra la degustazione dei vini che i produttori ci hanno inviato, filmati di presentazione, dirette  Zoom e mail scambiate con diversi amici sardi noi di Winesurf ci siamo sentiti un po’ proiettati indietro di due anni, quando scoprimmo , in un bellissimo viaggio, quel territorio.

Un territorio dove circa 400 ettari di vigneto, praticamente tutti a cannonau, danno il senso di cosa voglia dire “terroir”, termine spesso usato a sproposito. Il grande Paul Pontallier  sosteneva che questo concetto era una specie di triangolo, dove agli estremi si trovavano il terreno, la cultura locale e l’uomo.

Questi tre dati a Mamoiada sono ben identificabili. Da una parte un territorio posto tra i 600 e i 700 metri, quasi nel centro della Sardegna, con terreni talmente sciolti che sembrano spiagge . Su questa base si fonda una cultura viticola che da sempre ha avuto la vite come un punto fermo e che solo una serie di grossi problemi attorno agli anni ’70 del secolo scorso ha fatto ripiegare su se stessa, portando anche all’espianto di tanti vigneti che oggi sarebbero ultracentenari. Per fortuna molti sono rimasti e grazie ad un bel gruppo di giovani produttori, rincominciano a dare dei Cannonau di altissimo profilo.

Sono pochi anni che l’associazione Mamoja, formata da una trentina di giovani produttori, (oggi una bella fetta di questi ha iniziato a imbottigliare, magari da pochissimo) sta cercando di farsi conoscere e di entrare nel mondo del vino di qualità. Con alcuni produttori Mamoiada c’è da tempo ma l’associazione vuol far capire che non importa il nome sull’etichetta ma il mondo che gli sta dietro e gli permette di produrre vini particolarissimi.

Questo mondo, dove convivono viti ad alberello centenarie e impianti giovani,  da una parte permette di fare pochissimi trattamenti (1 o 2 all’anno), dall’altro porta a rese bassissime, spesso nell’ordine dei 25-30 q.li ad ettaro. Basse rese e uve sanissime garantiscono da sole il risultato. Infatti alcune delle giovani leve  che da uno-due anni stanno affacciandosi nel mondo dell’imbottigliato non hanno certamente una preparazione enologica approfondita ma a Mamoiada, dove da sempre ogni famiglia ha avuto vigna e fatto vino, basta e avanza. Del resto la zona è famosa perché ci saranno almeno 20 luoghi dove si può comprare vino sfuso a 3 euro al litro e vi garantisco che questo vino vale molto di più di quanto viene pagato.

Gli amici produttori di Mamoiada.

Ma veniamo all’imbottigliato, in particolare a quello che ci è arrivato in sede, che abbiamo degustato e di cui abbiamo parlato in filmati e in dirette ZOOM.

La prima cosa è stata la sorpresa, infatti almeno il 60% dei vini erano campioni da botte della vendemmia 2019: spedirli dopo un imbottigliamento “casual” poteva essere segno di follia enoica o segnale di grande fiducia nel proprio prodotto. Durante la degustazione abbiamo capito che si trattava della seconda ipotesi, perché i vini non avevano assolutamente  nessun problema legato al trasporto.

Le caratteristiche dei cannonau prodotti a Mamoiada sono riassumibili in poche parole: rotondità del tannino anche in vini di grande concentrazione, alcolicità importante ma quasi mai percepita come “un unicum” (tipica di diversi Cannonau sardi old style) e complesse gamme aromatiche che vanno dalla frutta rossa e nera a sentori speziati, anche in gioventù, il tutto condito da una elegante dinamicità che non rende eretica la frase che lo vede come li “pinot nero della Sardegna”.

Caratteristiche di alto profilo in qualche campione  sciupate dalla voglia di sperimentare nuove vie enologiche: infatti due vini (su 21 degustati)  avevano marche di legno molto importanti ma la stragrande maggioranza si “affidava” alla semplice grandezza del cannonau locale, uscendone vincitrice.

Quindi il nostro assaggio è stato positivo e da qui si può partire per capire cosa “vorranno fare da grandi”: infatti c’è da interpretare la longevità di questi cannonau.

Anche se ci sono esempi positivi di chi è sul mercato da anni c’è da capire come questa nouvelle vague interpreti il vino: se come un prodotto corposo ma da bersi giovane o con prospettive di invecchiamento. Per adesso ci sembra che molti stiano puntando su vini da bersi nell’arco di 2-5 anni  e forse questa è la strada giusta, specie se la longevità si va a ricercarla utilizzando legni che in alcuni casi non si sa utilizzare.

C’è anche da considerare con attenzione il numero di bottiglie prodotte, che spesso non supera (per produttore) le poche centinaia di bottiglie. Per questo credo sia importante non tanto puntare immediatamente su una sottozona,  ma su un marchio che indentifichi i produttori locali e faccia capire da subito che non si sta parlando di un cannonau qualunque ma di un vino  che nasce da rese bassissime e in situazioni molto particolari.

Insomma, cari amici di Mamoiada, la strada è aperta ma non credo la troverete tutta  in discesa!

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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