La verticale parallela di Montespertoli4 min read

In vari decenni di assaggi non mi era mai toccata: una degustazione verticale gestita “in parallelo”.  Due etichette di due aziende amiche, indietro nel tempo.

Vero è che nel mondo enologico non mancano i termini rubati al gergo geometrico-spaziale: il vino viene descritto come sottile, leggero, ampio, profondo, rotondo, lungo, corto, piatto, spigoloso, equilibrato…In ogni caso a Montespertoli il pensiero del grande Euclide è stato rispettato e le parallele non si sono incontrate: tutte annate diverse.

I due produttori

Per giunta la tipologia era il Vin Santo, quindi il saliscendi gustativo è stato prevedibilmente movimentato. Ha ospitato l’evento il Castello di Sonnino, nel cuore della Toscana giusto alle porte della cittadina, anche a dimostrazione della nuova aria che tira in zona per merito della locale Associazione dei Viticoltori, nata nel maggio dell’anno scorso. Sono una quindicina di Récoltant manipulant determinati a far valere un territorio dall’immagine finora un po’ appannata, nonostante il riconoscimento della sottozona Montespertoli all’interno della docg Chianti risalente al 1997. L’azienda ospitata, La Leccia, si trova in Val di Botte (omen nomen) nella parte settentrionale del comune.

Vento giovanile, quindi, e pertanto mi ha incuriosito la scelta di calare questo biglietto da visita con un vino così “antico”: più o meno dolce e a impronta più o meno ossidativa, due caratteristiche da mercato di nicchia che tuttavia molte realtà toscane e non solo si ostinano a produrre, quasi come icona identitaria. Altra nota interessante è che le due aziende imbottigliano anche del Trebbiano secco, vinificando quell’uva che, in versione appassita, è alla base proprio del Vinsanto (interamente per Sonnino, con un saldo di Malvasia per La Leccia).

La degustazione si è svolta lei cinquecenteschi locali di appassimento del castello, che in realtà è anche una bella villa abitata dalla famiglia dei Baroni Sonnino, proprietari da un paio di secoli: una dimora storica, come  si dice da queste parti. Vivace anche il racconto a due voci, espressioni dell’ultima generazione vitivinicola: Leone De Renzis Sonnino come produttore ospitante e Lorenzo Bagnoli come titolare de La Leccia insieme alla cugina Paola. Siamo partiti col ’99 dei padroni di casa, in forma smagliante: densità luminosa e grande bouquet tra gli agrumi l’albiccocca e il fieno greco, decisamente dolce ma con acidità adeguata e persistenza da campione. Il La Leccia 2005 si è rivelato più snello e quasi asciutto, ricordando il caramello anche per via cromatica. Lorenzo ha raccontato che a quei tempi in azienda si provò a maturare il Vin Santo in caratelli che avevano ospitato whisky: un percorso che di solito si svolge al contrario, partendo magari dai cugini di Jerez.    

Di nuovo Sonnino per il 2008, carico alla vista e di nuovo ampio sotto il naso ma con sentori diversi, dal sottobosco al sedano alla frutta a guscio. Sempre del Castello il 2015, anch’esso scuro ma con profumi più sottili tra agrumi, fiori secchi e un richiamo di fruttato tropicale. Finale col 2016 di La Leccia, chiamato Sua Santità in etichetta: si avverte una mano diversa rispetto al 2005, più densità e aromi “di asciuttezza” tra il fieno e la frutta secca, contrastati da bella freschezza acida.

Prevedibilmente si sono animate le chiacchiere fra i partecipanti, a conferma che il genere sarà marginale ma appassiona. Qualcuno si è spinto a umanizzare la personalità dei vini assaggiati, trovando quelli del Castello di Sonnino più “maschili”, viceversa più “femminili” quelli de La Leccia. Inevitabile poi la diatriba sugli abbinamenti possibili, messa a tacere in modo perentorio dalla comparsa di un cioccolatino ripieno di paté di fegato: la quadratura del cerchio.  

A tavola la cucina del Cibreo di Firenze ci ha accompagnato nell’apprezzamento dei rossi delle due aziende e delle ultime uscite dei loro Vin Santo. Per le quali, dice il padrone di casa Leone, la tendenza sembra che sia un certo abbreviamento dei tempi in caratello. Assaggeremo.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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