La tremenda asticella dei 7 euro3 min read

Nel giorno in cui Campari compra il 49% di Tannico e  il mondo del vino scopre che le vendite online sono diventate maggiorenni mi è cascato l’occhio su un tipo di vendita che rischia di mantenere sempre minorenne (e minorato) il vino di qualità.

Nel periodo del lockdown chi più chi meno ha detto grazie alla GDO, unico settore assieme all’online che poteva (anche con un certo successo) vendere del vino.

Però, tra tanti plausi e “meno male” mi vengono ancora in mente le parole che Francesco Monchiero, presidente del Consorzio Roero, mi disse durante l’intervista che gli feci il 26 aprile “Le aziende piccole che sono nella GDO hanno avuto comunicazione che i loro vini posizionati sopra ai 7 euro vengono venduti  molto meno di prima. Il consumatore ha abbassato l’asticella!”

Per questo quando stamani mi sono capitati in mano dei depliant pubblicitari di grosse catene di supermercati (ne avevo altri da farvi vedere ma, fidatevi, il succo è lo stesso) mi è venuto voglia di andare a vedere quanto in basso  si è posizionata quella benedetta asticella.

Purtroppo, come potrete vedere voi stessi dalle foto in questo articolo, molto, ma molto in basso.

Oramai non mi stupisco più se un Chianti viene venduto a 2,49€, però se accanto vedo che un Pinot Grigio  viene proposto ad 1.50€ in più (3,99€) qualche domanda me la faccio.

Come me la faccio se vedo Franciacorta Brut, Saten e Trento Doc a 6,99€ (dico 6.99!!) affiancati da un Prosecco DOCG che costa 5,99€.

In questa guerra al ribasso non si posiziona male il Morellino di Scansano, che non scende sotto i 4,99€ a bottiglia, mentre il Bardolino, che sta facendo sforzi enormi (anche finanziari) per risalire la china eccolo “proposto” a 2,99€.

Rimango sempre nel campo della corvina e del mondo veronese con un Ripasso venduto alla “folle cifra” di 5.99€.

Al livello più basso, nel girone più disgraziato di questo inferno dantesco della vendita, si piazza un  Cerasuolo d’Abruzzo, che sullo scaffale costa 1,99€: e qui mi fermo con i prezzi.

L’asticella di cui mi parlava a suo tempo Francesco Monchiero è proprio piazzata a 7 Euro e, guarda caso, gli unici che riescono a valicarla sono prodotti che non si basano tanto sul nome della denominazione ma sul marchio aziendale.

Ma aldilà di chi riesca a superarla il vero problema è l’appiattimento verso il basso delle denominazioni. Si sbandiera a destra e a sinistra che queste sono la spina dorsale del nostro sistema e poi si ritrovano, quasi l ‘una per l’altra, a cifre da elemosina. Come può, faccio un esempio, un prodotture di Bardolino investire nel suo vino DOC se al supermercato trova quello imbottigliato dal presidente di una DOC confinante proposto a prezzi da fame?

Adesso voi mi direte che non si può valutare il mondo del vino solo da questi parametri. Certo, ma quando per mesi questi parametri sono stati gli unici a poter essere utilizzati e, in un qualche modo, sono stati “fidelizzati” dal consumatore finale, la strada per tornare a far pagare un giusto prezzo per un vino di qualità è sempre più tremendamente in salita.

 

Foto di copertina di Tania Dimas da Pixabay 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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