Questa è una storia monca due volte, all’inizio e alla fine e quindi non mi offenderò se adesso andrete oltre, passando a storie più chiare e comprensibili. E’ monca all’inizio perché non posso e non voglio fare nomi e cognomi, è monca alla fine perché mentre scrivo la storia non è finita. E’ una storia non solo di vino e di vini ma, come molte storie dei nostri giorni, di Eros e Thanathos , di vita e di morte, dove la vita è appunto quella di tutti i giorni e la morte, per fortuna, non riguarda esseri umani ma un vino, anzi alcuni vini.
Il protagonista di questa storia è una persona che reputo un amico, una persona di cui fidarsi, un uomo intelligente, serio ma non serioso, un uomo del vino che, l’abbiamo capito dopo, stava per affondare fuori dal vino, nella vita di tutti i giorni.
Produceva vini, più precisamente produceva alcune perle di saggezza travestite da vino.
Non lo faceva da solo ma con la sua famiglia. Questo era il tarlo e lo capii un giorno che chiedendo di lui a suo fratello, mi guardò (per un attimo, poi passò oltre) come se gli avessi parlato in aramaico.
Dava ai vini di famiglia non solo bontà, non solo un carattere ma una meravigliosa e gustosa tipicità, specie se parliamo di un vino che inizia con il nome del luogo più frequentato dagli italiani (e qualcosa vorrà dire…), il bar. Potrebbe essere Barolo, Barbaresco, Barbera, Bardolino, Barco Reale, Barletta, Barbagia… il nome non è importante, lo era la straordinaria bontà del vino, anno dopo anno sempre più eclatante e anno dopo anno sempre più incompreso, soprattutto in azienda e in famiglia.
Ho usato il passato perché purtroppo il mio amico non farà più quel vino e da qui la storia si tinge di vari colori: dal nero che forse vedeva nel futuro, al rosso della rabbia, al rosa della presenza femminile. Forse non ce l’ha fatta più, forse c’è un’altra donna, sicuramente c’è una moglie ma… chi siano noi per giudicare!
Anche perché non voglio giudicare ma solo essere triste di fronte a una sua bottiglia, acquistata a un prezzo barbaramente basso in uno di quei posti “Iper” dove divieni schiavo del Demone Risparmio, dove un pannolino ha lo stesso valore di un grande vino.
L’ho visto, l’ho preso, l’ho pagato almeno 10 volte meno del suo valore e quando l’ho stappato e gustato vi giuro che una lacrimuccia è scesa.
La lacrima era in onore di un grande vino che in futuro non ci sarà più. Poi ho pensato che forse era quello il modo con cui il mio amico da bruco diveniva farfalla e che oggi, purtroppo, le farfalle e la bellezza servono sempre meno. Così quella farfalla di vino (di cui ho comprato tutte le bottiglie in quel luogo “Iper”) non volerà più se non nella mia cantina e nella mia memoria, ma sono luoghi troppo ristretti perché il mondo possa goderne.
Ci sono perdite peggiori, è vero, ma questo era un vino che poteva farti sognare. Un signore inglese diversi anni fa scrisse che “Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” e così quando ci viene a mancare un fratello, un sogno fatto vino, io non posso che essere triste, pur dicendo grazie per i sogni che il mio amico, per anni, ci ha (praticamente) regalato e sperando che in futuro, magari in un altro posto, possa donarcene altri.
Buona vita e grandi vini, a voi e al mio amico.