La Revue du Vin de France n.660: tanta Loira col suo Cabernet e a caccia di uve rare.9 min read

Al centro di questo numero, infatti,  stavolta non sono le regioni più celebrate dei vini di Bordeaux e della Borgogna, ma la Valle della Loira, la Provenza, e quelle più umili, come il Sud-Ouest, le regioni alpine e il rinascente vigneto della Bretagna. Un’attenzione particolare è riservata alle varietà rare, spesso sconosciute, rimaste finora confinate alla cultura locale.  

Numerose sono le degustazioni seriali della sezione dedicata: i cabernet franc della Loira, appunto, i vini da varietà rare delle Alpi, dalla Vallée de l’Arve alla Vallée du Var, gli autoctoni del Sud-Ouest.  Ad esse si aggiunge una degustazione di grandi Madeira, introdotta da un’ampia intervista (che apre il fascicolo) a Ricardo Diogo, il direttore della Casa Barbeito, famosa appunto per i suoi vecchi e vecchissimi Madeira monovitigno. Gli altri servizi di questo numero sono dedicati all’”incredibile rinascita del vigneto bretone” e a un’inchiesta sul fenomeno dei Box Vin, mentre gli articoli facenti parte di serie ricorrenti, come “Vie de Château” di Casamayor  e “Una denominazione, due stili” di  Petronio, sono dedicati rispettivamente al Domaine Gavoty in Provenza, con annessa verticale della sua Cuvée Clarendon blanc, e al confronto tra le cuvées del Savigny-lès-Beaune Aux Vergelesses Premier Cru di due Domaines.

Cabernet franc

Comincerò da un accenno alle due inchieste di questo numero. La Bretagna (ne parla Julie Reux) non è sempre stata una terra senza vino. La vigna vi fu impiantata già nel V secolo dai religiosi per le esigenze del culto. Testi documentano la presenza della vigna a nord, nella Valle della Rance, vicino St. Malo, ma anche sulla penisola di Rhuys, nel Morbihan, e a est, intorno a Redon. Nel 1848 c’erano ancora 800 ettari vigna. Poi, con l’introduzione delle denominazioni di origine, negli anni ’30 del ‘900, la Bretagna ne fu esclusa, salvo il quinto Dipartimento della Bretagna storica, ormai facente parte, dal punto di vista amministrativo, della Loira Atlantica. Le superfici vitate erano quasi del tutto sparite, poi il cambiamento climatico ha favorito il loro rilancio: in sei anni sono stati piantati circa 45 ettari di vigna, ed è ripreso l’entusiasmo. I primi vini della Belle-Île, dove sono Les Vignes de Kerdonis, il più grande progetto viticolo della Bretagna al momento, saranno pronti nel 2025. Per ora non c’è ancora un po’ di confusione, anche per quanto riguarda le varietà su cui puntare (c’è un po’ di tutto), a parte l’ambizione di far riconoscere il muscadet e il gros plante della Bretagna storica come vino bretone: il Comitato dei vini bretoni ha proposto un dossier per la creazione di una IGP della Bretagna, da cui però la Federazione dei vini di Nantes ha già preso le distanze. Insomma si vedrà.

La seconda inchiesta di questo numero è dedicata al fenomeno delle Wine Boxes, ossia le cassette di vini proposte in abbonamento. E’ nato poco più di una decina di anni fa: ad aprire la strada è stata Marie-Dominique Bradford, che cominciò a scegliere piccoli produttori di qualità  guardando al mercato americano, un’ iniziativa purtroppo subito gelata dalla crisi del 2008. Da qualche anno ha però  ripreso vigore, aumentando rapidamente di popolarità. Le Petit Ballon, leader del mercato francese, rivendica 150.000 abbonati, ossia un milione e mezzo di bottiglie, per un giro d’affari di 20 milioni di euro. Ormai le società che propongono questa formula sono diverse. L’abbonamento non ha un obbligo di durata, può infatti essere sospeso in qualsiasi momento, si può scegliere tra diversi tipi di cassetta di fasce di qualità e costo diverse (ciascuna organizzazione ne propone almeno tre ma anche di più), mentre possono variare i servizi aggiunti, come la possibilità di consultare dei contenuti online, una guida alla degustazione con commenti sui vini proposti ogni mese. La RVF ha testato dieci offerte, prendendo in considerazione la cassetta di ingresso (la meno costosa) e valutando una serie di parametri, oltre al prezzo e al valore dei vini, assegnando alla fine  a ciascuna un voto in ventesimi.Vincitore con 18/20 di questa specie di concorso è Chais d’oeuvre, la cui cassetta “Audace et découverte” offre due bottiglie (un Crozes-Hermitage e un Bandol rouge) per 49 euro. La soglia dei 15 punti è stata superata dalla metà delle società sottoposte al test, mentre due di esse non vanno oltre un mediocre 13/20.

Vino camaleonte,il cabernet della Loira, con  il Saumur-Champigny a rappresentare la risposta del Samurois a quelli della vicina Touraine: eccellente sul frutto, può esprimersi altrettanto bene in versioni più robuste, con le spalle larghe. Gli ultimi quindici anni mostrano appieno il cambiamento prodigioso del cabernet franc di questa zona. In primo luogo grazie al cambiamento climatico, che ha consentito di raggiungere maturità più complete, senza però che si perdesse la leggendaria freschezza dei vini della Loira. Questo è un territorio in cui la conduzione biologica o biodinamica hanno fatto strada, e di fatti ben 84 delle 111 cuvées presentate nel servizio (382 quelle assaggiate alla cieca) sono certificate bio o biodinamiche. I risultati della degustazione sono molto lusinghieri Le star di sono a Saumur-Champigny, con Les Poyeux del Clos Rougeard   (100/100 le annata 1900, 1923 e 1933, 97/100 quello del 2016) e Les Mémoires del Domaine des Roches Neuves (96/100 la versione del 2019). A Chinon il vertice è rappresentato dalla Cuvée Varennes du Grand Clos Franc de Pied 1989 del Domaine Charles Joguet (99/100), seguito dalla versione del 1986 dello stesso vino con 96/100.Su livelli altissimi anche Il Domaine Philippe Alliet (il suo Coteau de Noiré 2019 spunta 95/100),  il Domaine Bernard Baudry (95/100 al Franc de Pied 2009 e a La Croix Boissée 2003) e il Domaine Les Roches . Negli altri terroirs, in evidenza il  Domaine Yannick Amirault a Saint Nicolas de Bourgueuil (Les Malgagnes 2019 93/100)  e a Bourgueuil, con il Domaine du Bel Air e il Domaine de la Chevalerie. Belle espressioni non mancano anche nelle altre denominazioni: Anjou, Saumur e quelle satellite.

Le altre due degustazioni sistematiche riguardano vini meno conosciuti da varietà indigene rare dell’area alpina e del Sud-Ouest francese. Per entrambi questi territori e i loro vitigni c’è un rinnovato interesse, sia per la loro diversità gustativa (molti di essi non si trovano altrove), sia per il loro costo ancora relativamente contenuto rispetto a quello dei vini delle aree vitivinicole più conosciute. Nelle denominazioni della Savoia e delle sue regioni, soprattutto, si trovano varietà rare, molte delle quali sconosciute ai più al di fuori del contesto locale, ma non prive d’interesse. La RVF ne esplora otto rosse: il mècle de Bourgoin, il persan, il corbeau o douce noire, proibito nel 1958 e riabilitato mezzo secolo dopo, l’effrontée, il servanin, il mollard,i l’espanenc , il grassen. Più le bianche: il   gringet, la molette, la mondeuse blanche, la verdesse. Più di una cuvée hanno riservato sorprese molto positive all’assaggio, a partire dal persan , di cui il Domaine Saint-Germain, che l’ha piantato nel 2002, ha proposto una interessante verticale, dalla quale emerge il forte carattere di questa varietà (93/100 per il persan 2008). Sullo stesso valore le cuvée a base dello stesso vitigno di Loudovic Archer (un IGP Vin des Allobroges 2020) e del Domaine Adrien Berlioz (Vin de Savoie Cuvée Octavie 2020). Diverse cuvée a base di douce noire raggiungono lo stesso alto punteggio (Pont de Brion e  Maxime Poulat), 92/100 ancora  Ludovic Archer e il Domaine Giachino. Tra i bianchi sorprendente il gringet Le Feu 2019 del Domaine Belluard, che spunta il punteggio più alto della degustazione (95/100), raggiungendo i 92/100 con altre due sue cuvées. Spettacolari anche i bianchi della sconosciuta verdesse, proposte in IGP Isère: 94/100 quella del Domaine Les Alpins 2020, 93/100 la versione macerata di Finot Frères 2019, 92/100 un’altra cuvée di quest’ultimo Domaine e quella del Domaine Pont de Brion. In bianco e in rosso è comunque possibile ritrovare diverse pepite che hanno raggiunto o superato i 90 punti, proposte a prezzi che superano assai di rado i 20 euro. Da scoprire.

Malbec

Il Sud-Ouest, si sa, è un vero vivaio di varietà autoctone, dimenticate e poi riscoperte. A parte  i ben conosciuti rossi di Malbec e Tannat (protagonisti di Cahors e Madiran)  e i bianchi da uve Petit e Gros Manseng del Jurançon, proposti anche in eleganti versioni “moelleux”, su cui non mi soffermerò, non vanno dimenticati il Fer Servadou o Braucol , diffuso nel territorio di Marcillac (92/100  la Cuvée Lauris 2019 del Domaine Matha), la négrette di Fronton, rinata dopo il flagello della fillossera (91/100 il Pure Negrette 2019 dello Château Clos Mignon e l’Alabets 2019 di Plaisance Penavayre), l’Abouriou  del Marmandais e delle Côtes du Brulhois (spuntano 91/100 due cuvée del Domaine Eliane Da Ros e di Sandrine Farrugia).

Che altro? La “légende” di questo mese è il Montrachet Grand cru Marquis de Laguiche di Joseph Drouhin 1998;  la bottiglia su cui si svolge il dibattito tra Citerne e Saverot è lo Château Olivier 1990 Pessac-Léognan rouge fuori dalle mode;  i “grandi vignerons del futuro” sono Samuel Durand e Pierre Halley del Clos Constantin nelle Terrasses du Larzac; nelle pagine  degli interventi  segnalo la “Tribuna” sulla mineralità di Romain Iltis. Infine , tra le notizie  in evidenza: l’ascesa dei Prosecco rosé, la crisi per la guerra in Ucraina degli investitori russi in Francia, la marcia a tappe forzate dei crus classés di Bordeaux verso il bio, il nuovo interesse per le vigne “ensauvagées” (inselvatichite).

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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