InvecchiatIGP. Valdobbiadene Brut Docg 2010, Col Vetoraz2 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

 

Le bollicine disperse in qualche angolo della cantina sono un classico per chiunque si diletti in cose di vino.

E ogni volta che si ritrova qualche “giacimento”, la reazione è sempre la stessa. Duplice. La prima è: “Accidenti, non mi ricordavo per niente di questa bottiglia, come è finita qui? Sennò l’avrei bevuta prima”. La seconda, invece, è più drastica: “Sarà ancora buona?”.

Domanda che implica un’ulteriore variabile dettata dalla teorica longevità del vino, nel senso che tanto più si considera lo spumante in parola nato per essere consumato presto e tanto minore è di norma la speranza (e quindi maggiore il pregiudizio) che possa essersi mantenuto bene.

Ovviamente, non resta che provare.

Quando ho rimosso la capsula e la gabbia di questo Col Vetoraz Valdobbiadene Brut Docg 2010 (fatto in autoclave, con 8% di residuo zuccherino) e ho messo mano al tappo, qualche timore in effetti l’ho avuto: diciamo che appariva piuttosto stagionato, con tutte le potenziali conseguenze.

Versato nel bicchiere, il vino si è presentato però di un bell’oro intenso, carico e brillante, con spuma cremosa e perlage lento, finissimo.

Ero curiosissimo di provare le sensazioni olfattive.

Le attese note di mela, frutti  bianchi e agrumi hanno lasciato il posto a una lenta sequenza di miele di acacia, toffees e datteri immersa in una diffusa atmosfera di incenso, di cera e – per chi ha presenti certi ambienti – di sacrestia.

In bocca la briosità è fatalmente perduta, ma emerge un’eleganza composta e saggia, lunga, piacevole nei suoi echi di frutta secca e mandorle, appena sapidi, che mi hanno fatto accompagnare il vino a tutta la cena e alla conversazione successiva.

Il che non è poco.

Quasi quasi torno in cantina a vedere se ne avessi dimenticata un’altra bottiglia.

Stefano Tesi

Stefano Tesi, giornalista professionista, scrive per vari giornali italiani di gastronomia e viaggi. Il suo giornale online è Alta Fedeltà.


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