InvecchiatIGP: Chianti Classico 2009 Terra di Seta3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Quella di Maria Pellegrini e Daniele Della Seta è la classica storia di un cambio di vita che approda nel mondo del vino. E che, sì, se imprime comprensibilmente una svolta netta all’esistenza dei due protagonisti rischia anche – se poi non corroborata da fatti concludenti – di tradursi in un po’ abusato argomento da mero storytelling, come in giro se ne leggono tanti.

Non mi addentrerò troppo, dunque, nella pur bella avventura di lei, vignaiola da generazioni, e di lui, romano di nascita ma con alle spalle un quarto di secolo vissuto da biologo all’Università di Siena, che nel 2000 comprano la proprietà e poi dal 2007, con la costruzione della nuova cantina, iniziano a produrre in proprio con l’etichetta Terra di Seta. Non indugerò nemmeno sul fatto che questa è l’unica cantina in Italia (e in Europa ce ne sono solo due) la cui intera produzione vinicola (circa 50mila bottiglie all’anno) dal 2008 è certificata kosher.

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Mi pare molto più importante, in questa sede, sottolineare l’adesione subitanea dell’azienda al biologico, sotto l’ala protettiva di un agronomo-faro in questo settore come Ruggero Mazzilli, e il ricorso a un enologo di spessore come Enrico Paternoster.

Siamo dunque in Chianti Classico, comune di Castelnuovo Berardenga, versante UGA “Vagliagli”: 46 ettari in tutto, accorpati, di cui 15 di vigneto, in stragrande maggioranza Sangiovese (“ne abbiamo messo 28 cloni diversi”, spiega Daniele) e un po’ di Cabernet Sauvignon, piantati su suoli di macigno, alberese e porzioni di galestro, dove  la quota elevata (500 metri slm) tende a stemperare il tipico calore di certi versanti meridionali dell’area.

E’ in occasione di una bella verticale dei Chianti Classico e dei Chianti Classico Riserva aziendali che mi sono imbattuto in questo sontuoso 2009, che include un 5% di Cabernet Sauvignon.

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Presentatosi con un bel rubino caldo e l’unghia leggermente aranciata, al naso è penetrante, quasi pungente, con un marcato residuo di frutto, freschezza e screziatura che lo rendono perfettamente pimpante, ma non senza una composta soavità.

In bocca è sapido, ricco e ampio, molto diretto, niente affatto evoluto ed evocatore invece di uno certo stile un po’ antico, familiare, riconoscibile e rassicurante, che emerge soprattutto dai tannini gentilissimi, frutto di legni azzeccati.

Quello che, in definitiva, si potrebbe chiamare i perfetto “fatto concludente” in grado di ridare senso e vigore ad una vicenda dove prevale la  story e il telling è ai minimi termini.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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