InvecchatIGP. Brut Rosé Rosa Bruna 2010, Cecchetto: l’impensabile e affascinante faccia nascosta del Raboso3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Raboso. Una bella fetta di enonauti avrà nominato questo vitigno forse 3-4 volte nella sua vita, ad altri sentendo il nome verrà magari in mente una forma particolare di allevamento come la bellussera. Altri l’avranno assaggiato e porteranno il ricordo di un vino di grande acidità e potenza tannica, che ha bisogno di qualche anno per esprimersi al meglio.

Il effetti il Raboso (pare che il nome derivi da “rabbioso”) anche nella zona del Piave è considerato duro e aspro, ma Giorgio Cecchetto non si è mai fatto impaurire dalla sua fama. Così negli anni ’90 ne metteva una parte ad appassire per conferirgli un po’ di rotondità e creandone varie versioni, anche affinandolo in legni particolari come acacia, gelso, ciliegio e castagno.

Giorgio Cecchetto e i suoi figli

Ma sempre di Raboso si tratta ed è molto difficile imbrigliare la corsa di un purosangue. Meglio allora proporlo in varie declinazioni: con una parte di appassimento per il vino forse più famoso dell’azienda, il Gelsaia, oppure “nature” per il Raboso Piave DOC, con 150 grammi di zucchero residuo per il Raboso Passito e, scusate se è poco, nella versione spumante metodo classico rosé: qui nasce il Rosa Bruna.

“Ora caro Giorgio, ho capito, anche girando per la tua cantina piena di strane barriques che sei un sognatore, uno sperimentatore, ma proporre un metodo classico da raboso in purezza mi sembra veramente un pugno al cielo.”

Questo pensavo guardando la bottiglia e ho continuato a pensarlo quando ci ha detto “Vi farei assaggiare il 2010: ce lo hanno rimandato anche indietro dei ristoranti perché per loro era troppo acido, dicendoci che forse era anche difettato. Adesso è un po’ freddo: fatelo scaldare un po’ e vedrete che profumi e che grande freschezza”.

E io l’ho fatto scaldare ma intanto un piccolo sorso l’ho messo in bocca ed ho capito immediatamente che quell’austerità, quel nerbo acido che pareva avesse voglia di scardinarmi qualche dente era non tanto figlio del vitigno ma un combinato/composto tra temperatura bassa e raboso. Allora l’ho fatto scaldare di più e il puledro imbizzarrito di prima è diventato un meraviglioso purosangue che non aspettava altro che essere cavalcato.

Partiamo dal colore, un rosa brillante che a me piace tantissimo e arriviamo ai profumi: vi garantisco che sono stato almeno 40 minuti con il naso nel bicchiere e (in un vino del 2010!!!)e  ho trovato ogni tipo di frutta di bosco, la ciliegia matura, la rosa canina, il tutto affiancato da lievi sensazioni di lieviti.

Un naso intenso e complesso, giovanissimo, di cui non riuscivo a capacitarmi. Ad un certo punto, verso la fine della bottiglia mi sono ritrovato a fare confronti con gli aromi del pinot nero.

In bocca però non c’è pinot nero che tenga: l’acidità è viva, vibrante ma non amara o scomposta. Traccia una direzione  ma è affiancata da una bella ampiezza e la sua profondità è inaspettata, grazie anche ad una bollicina nitida e ben fusa.

Chi se lo sarebbe aspettato dal  raboso. Il consiglio è provarlo, provarlo, provarlo!

Per la cronaca  mi sono bevuto quasi tutta la bottiglia e una l’ho portata a casa.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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