In Friuli si attende qualcosa3 min read

La presentazione dei risultati dei bianchi friulani è avvenuta in agosto, in un periodo vacanziero che magari ha fatto perdere a qualcuno le valutazioni di questa zona così importante per il vino italiano. Per questo, oltre a consigliarvi di andare a leggere qui, qui e qui i tre articoli a commento scritti un mesetto fa, vi ripresentiamo i risultati accompagnandoli con un articolo venuto dal cuore, dopo aver annusato l’aria che tira in Friuli Venezia Giulia.

Girando nel Collio, nei Colli Orientali e nell’ Isonzo si percepisce una sensazione di attesa.

Attesa di cosa? Può sembrare scontato dire del futuro.

Infatti voi direte che tutti sono in attesa del futuro, ma qui, tra i produttori friulani l’attesa è un’attesa diversa, più precisa, sentita, vissuta;  l’attesa di sapere cosa dover ASSOLUTAMENTE FARE in futuro.

I produttori, in particolare i molti che hanno intrapreso senza ripensamenti e da anni la strada del vino di qualità e che da tempo producono ottimi vini, più o meno scientemente si sentono quasi “accerchiati” e percepiscono il dovere per loro, i loro figli, il futuro del vino regionale, di fare qualcosa.

Da cosa sono accerchiati? in primo luogo dalla glera e soprattutto dal “concetto glera”, cioè dall’idea che si possano fare bei soldi lavorando meno, piantando in altre zone più pianeggiante e facili da lavorare  e cavalcando un mercato diverso.

Ma questa è solo una parte del discorso: si sentono accerchiati anche da un mondo del vino bianco italiano che è molto cresciuto mentre qui si campava un po’ di rendita del grande lavoro fatto attorno al cambio di millennio. Piano piano la forbice di prezzo (e qualitativa naturalmente)  tra i bianchi friulani e il resto dell’Italia si è ristretta  ed oggi quando si pensa ad un buon bianco vengono in mente almeno altre 5-6 zone assieme al Friuli.

Per questo il Collio sta cercando di cavalcare la tigre del “Grande bianco DOCG”, per questo i Colli Orientali stanno cercando una strada promozionale che li veda protagonisti, per questo l’Isonzo sta crescendo qualitativamente anche grazie a produttori friulani di altre zone che vengono attratti qui dal grande rapporto “qualità-prezzo” che ha piantare vigna e fare buon vino.

I produttori  percepiscono anche che non possono più aspettare, che devono rilanciare e rilanciarsi.

Non tanto qualitativamente ma svecchiando un’ immagine enoica che ha dato grandi soddisfazioni ma  oggi mostra qualche crepa, specie se confrontata con l’onda arrembante di altre zone emergenti e/o emerse, ma soprattutto con il “tifone” glera, con i molti-troppi ettari di ribolla gialla piantata in pianura, con un mercato che ha sete di vini che in collina o comunque nelle storiche zone vocate  non si possono fare ai prezzi di quel mercato.

Come tanti produttori di ottimi Prosecco DOCG “campano” grazie alle vendite del DOC, così  sempre più produttori friulani stanno facendosi tentare dall’idea di “mantenere” l’azienda di qualità grazie alla produzione-commercializzazione  di vini friulani di più basso profilo. Altri invece stanno puntando ancor più verso la qualità, trovando però sempre più competitor, anche alle porte di casa.

Per questo si percepisce una tensione  di base nei ragionamenti di tanti produttori: una tensione assolutamente logica perché nei prossimi 10 anni si giocherà il futuro del vino friulano. La grande carica dei vini a basso prezzo fagociterà l’alta qualità? Quest’ultima andrà sempre più e sempre meglio difesa e sviluppata, ma come? Come alzare l’asticella in corsa senza farla cadere?

E’ giusto porsi queste domande, è giusto farlo adesso, è giusto che oggi più che mai queste domande si dipanino all’interno dei consorzi di tutela.

E il solo fatto che questo si percepisca all’esterno è sintomo reale di volere un cambiamento “fattivo”: noi, che amiamo il vino friulano e siamo amici di tanti bravissimi produttori, seguiremo gli eventi con fiducia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE