Il Vulture, luogo dell’anima e di grandi vini6 min read

Tra i miei luoghi  dell’anima al Vulture è riservato un posto  privilegiato, sento  l’energia del vulcano  assopito, subisco il fascino totemico del suo profilo, così diverso e sorprendente per noi pugliesi, abituati alle larghe distese pianeggianti,  talvolta appena mosse da “dolci declivi”.

 

L’invito della famiglia Piccin, titolari delle aziende Grifalco a Venosa e San Martino a Forenza è stato quindi accolto con grande entusiasmo. Da circa un anno, utilizzando parzialmente fondi comunitari e con la collaborazione del Gal Sviluppo Vulture Alto Bradano, i Piccin stanno promovendo il brand Vulture con iniziative incrociate: da una parte la partecipazione in giro per l’Europa a fiere e manifestazioni enogastronomiche,  facendo conoscere vini e prodotti del territorio e dall’altra invitando in Vulture gruppi di giornalisti,  “opinion leader ” e buyer.  

 

L’idea è quella di portare alla ribalta le aziende medio-piccole del Vulture, che negli ultimi anni hanno consolidato un  livello qualitativo sempre più elevato,  troppo spesso trascurate da mass-media e mercato, fino ad oggi concentrati  sulle tre o quattro realtà più conosciute, ignorando il vasto e interessantissimo mondo che in questi anni è maturato.

 

Questo gruppo di aziende si è identificato sotto il marchio “Altro Vulture” facendo venire non pochi mal di pancia a chi questa operazione non ha capito o non ha voluto capire. Molti hanno letto una volontà di dividere creando una frattura tra le aziende vitivinicole, mentre la ratio dell’iniziativa è quella di accendere i riflettori su questo mondo che vede piccoli produttori “naturali”, tradizionali o con ispirazione più modernista (senza distinzione di razza e di sesso quindi, ma solo di qualità), uniti nella promozione del territorio, ben consapevoli che le dimensioni delle loro aziende e della  denominazione (parliamo di appena 2.500.000 di bottiglie)non consentirebbe di emergere dalla mischia e cercando di ovviare ad una delle endemiche lacune del nostro sud, l’incapacità di fare gruppo.

 

La visita è cominciata sotto le austere mura del castello federiciano di Venosa, dove lo sparuto ma agguerrito manipolo  è stato  accolto e raccolto dai loro anfitrioni.  Breve tour della Cantina Grifalco, moderna e razionale, costruita nel rispetto del contesto paesaggistico e sopralluogo delle splendide vigne aziendali, non prima di aver goduto di quanto meglio il territorio produca dal punto di vista di prodotti da forno, lattiero-caseario e norcineria, con buona pace dell’OMS.

 

Difficile descrivere e trasmettere la bellezza della grande vigna di Serra del Prete a Maschito al tramonto, o la commovente vigna in podere San Martino a Forenza dove a breve sarà completata la nuova cantina di fermentazione aziendale e la ristrutturazione di un antico casale la cui destinazione non è ancora definita. Per la cena siamo stati affidati alle cure del giovane e talentuoso chef Gianfranco Bruno, presso le Masserie del Falco a Forenza,  già doviziosamente descritta su queste stesse pagine virtuali.

 

Nei trasferimenti tra Venosa e Forenza i visitatori hanno potuto godere di paesaggi incantevoli, vallate e calanchi dai colori netti che tagliano a fette le colline, terre che sfumano  dal nero al giallo con il bosco a rompere, saltuariamente, la geometria dei seminativi e gli inserti delle vigne che sembrano dare armonia al tutto, insieme ai più radi uliveti. In alcuni punti il panorama si è aperto fino al mare, consentendo, grazie alla nitidezza della giornata di seguire il profilo del Gargano che si tuffa dolcemente nell’acqua.

 

La mattina rapido e appagante tour turistico di Acerenza e degustazione nella splendida sede del centro della Civiltà dell’Aglianico a Venosa,  vetrina di tutto il mondo enogastronomico del Vulture. Sui taccuini una quarantina di vini di una quindicina di aziende, che hanno confermato quanto detto nella degustazione di Winesurf fatta ad ottobre 2014 (vedi)

Una crescita qualitativa media straordinaria che ha portato la denominazione su livelli elevatissimi. Ormai alle spalle la fase  delle imprecisioni enologiche, sembra di poter guardare con distacco anche il momento dell’ipertecnicismo e delle camicie di forza dei legni che hanno soffocato  i vini tra le loro spire per qualche periodo. Finalmente gli Aglianico del Vulture si esprimono con compiutezza, frutto e territorio possono gridare la loro specificità, facendo emergere quella mineralità che i terreni di origine vulcanica donano alle uve.

 

La straordinaria varietà di questi vini, dovuta alla eterogeneità della morfologia dei terreni e ambientale fa di questo territorio un candidato ideale ad una zonazione capillare di stampo quasi borgognone, in cui evidenziare cru e climat, magari classificandoli in ordine di qualità, ma questo si sa in Italia è un sogno irrealizzabile.

So di rischiare l’accusa di eresia e il supplizio dell’Autodafé ma stiamo parlando di una denominazione estesa su circa 2200 ettari con un’altimetria che varia tra gli 800 e i 200 metri, con terreni che si distinguono per altitudine, pendenza ed esposizione dei versanti, con microclimi distinguibili quasi da filare a filare, che consentono ai vini connotazioni e caratteristiche organolettiche molto riconoscibili per ciascuna delle diverse zone di produzione. A questo si aggiunga il vulcano che ha sparso qualche centinaia di migliaia di anni fa il suo seme in maniera casuale arricchendo i terreni di preziosissimi elementi minerali.

 

 

Ricordo ancora con piacere l’illuminante laboratorio-degustazione condotto dalla brillante enologa dell’azienda Basilisco Viviana Malafarina, organizzato dall’Onav Bari, che armata di cassette di terreno e campioni di serbatoio vinificati da uve distinte per vigna illustrò con lineare semplicità le straordinarie potenzialità dell’Aglianico e del territorio del Vulture, evidenziando le caratteristiche dei vini distinguibili a seconda dei terreni su cui erano coltivati le uve.

 

Di ben altro dovrebbero preoccuparsi coloro che non hanno visto di buon occhio questa iniziativa promozionale, ad esempio lo sbarco nel cuore della denominazione di alcuni “vinifici”, vere e proprie industrie del vino che hanno allestito immense linee di imbottigliamento, capaci di mettere sul mercato ben più del totale delle bottiglie che produce l’intera denominazione a prezzi da GDO, senza disporre di vigneti di proprietà.

 

In chiusura ancora  grazie alla famiglia Piccin, che mi ha permesso di tornare in un territorio a cui sono particolarmente legato, anche se la loro attività di divulgazione mi costringerà a condividerlo con tutti quelli che qui sono stati per la prima volta, perché visitare questi luoghi, conoscerne gli straordinari prodotti  e non innamorarsene è davvero impossibile, ma in fondo la gelosia è un sentimento che non mi appartiene.

 

 

 

 

 

 

Paolo Costantini

Per dimenticare la grama vita del bancario ho cominciato a dedicarmi al vino quando ancora non faceva figo, attraversando longitudinalmente buona parte del mondo associativo ad esso vocato. Fatale mi è stata la lunga esperienza in Slow food a causa delle cattive amicizie acquisite (Macchi e la banda di winesurf). Trascorro il raro tempo sottratto al lavoro e alla famiglia formando assaggiatori-mostri che metteranno a dura prova la pazienza di sommelier e produttori per futili motivi, nonché collaborando con riviste di settore online dalla dubbia reputazione. 


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