Il vino naturale non è mai esistito ma il produttore c’è sempre stato5 min read

Oramai a Mamoiada potremmo mettere la seconda redazione di Winesurf. Scherzi a parte siamo felici che dopo Francesco Sedilesu ci sia un altro bravissimo produttore che ha piacere di pubblicare con noi. Diamo il benvenuto a Luca Gungui!

E’ recentissima la notizia della lettera che Wolfgang Burtscher, Direttore Generale del Dipartimento Agricoltura e Sviluppo Rurale ha inviato a Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale comitato europeo delle aziende vinicole, esprimendo alcuni dubbi sulle menzioni “vino naturale e “metodo naturale” nelle etichette dei vini. La Comunità Europea, per sommi capi, si domanda se questi termini possano essere fuorvianti.

A mio avviso il vero problema non riguarda tanto le menzioni appena citate quanto i regolamenti, le leggi, i disciplinari che possano oggettivare tali menzioni e quindi tutelare il consumatore.

Va da sé che si tratta di un terreno minato: tanto per fare un esempio  chi assicura al consumatore che il produttore non abbia utilizzato lieviti selezionati in luogo degli indigeni? Chi assicura al consumatore che il produttore non abbia raffreddato o riscaldato le vasche, chi assicura al consumatore che il produttore non abbia filtrato o chiarificato i vini?

E ancora, chi assicura al consumatore che il produttore non abbia irrigato le vigne, utilizzato diserbanti, concimi, sistemici, acquistato uve non biologiche e via dicendo?

Ho letto da qualche parte che il mantra dei produttori di vini naturali sarebbe stato proprio quello di non sottostare a nessuna regola.

E ancora, ho letto da qualche parte che il vino naturale è morto. La verità alla fine  è che il vino naturale, proprio perché esente da regole oggettive che siano in grado di disciplinarlo, non è mai esistito.

Da buon barbaricino, ho sempre guardato con sospetto l’ossimoro “vini naturali” e ho sempre preferito parlare di vino di Mamoiada.

Mamoiada

Non ho mai visto di buon occhio le etichette, le distinzioni forzate, specie se calate dall’alto e poco definite, a maggior ragione se penso che ad oggi le diverse associazioni di vino naturale in Italia non hanno ancora trovato grandi punti d’intesa oggettivi su un regolamento comune.

Quando le cose non sono chiare, precise e dettagliate fino ai particolari potrebbero apparire (se non essere) ambigue. In queste situazioni i principi grotteschi della confusione e del “tutto e il contrario di tutto” trovano terreno fertile : con tutto il rispetto per chi in questi anni ha combattuto vere battaglie in buona fede.

Un’ottima istanza da portare nelle sedi competenti potrebbe essere quella di richiedere l’inserimento in etichetta dei coadiuvanti utilizzati per ottenere quel determinato vino e i fitofarmaci in vigna, naturalmente predisponendo controlli serrati e verifiche incrociate.

Insomma una roba seria, per intenderci. Una roba che realmente tuteli il consumatore e non sia stato pensato ad arte per vendere qualche bottiglia in più. Ma credo che prima di me in tanti abbiamo parlato di questo e non mi dilungo ulteriormente.

Cosa resta da fare, allora?

Il passato non recentissimo potrebbe venirci incontro. Ho un ricordo chiarissimo di mio nonno Salvatore che, nei primi anni ’90, ospitava nella sua piccola cantina in via Galileo un anziano signore, forse di Orani o Gavoi. Li ricordo mentre spillavano dalle botti piccole in castagno il vino, degustavano nelle “ridottas” e parlavano del più e del meno: ricordo l’anziano signore mentre usciva con le damigiane colme di vino rosso, di Sas de Melas o Loddasi, di vino bianco, Moscato di Marghine  fatto a oltre novecento metri sul livello del mare e di certo non poteva mancare “su vinu biancu”, il rosato fatto dal salasso del Cannonau.

All’epoca erano questi i vini di Mamoiada e venivano venduti sfusi. L’ospitalità era sacra e il vino si chiamava, guarda il caso, vino.

Il futuro, per stare con Nietzshe, è l’eterno ritorno dell’uguale  e allora facciamo quello che i produttori di vino hanno sempre fatto, con orgoglio e con passione!

Accogliamo i nostri clienti, che siano essi intermediari o consumatori finali, mostriamo la nostra azienda e il nostro territorio, spieghiamo il nostro lavoro, apriamo i cancelli dei nostri vigneti e il portone della nostra cantina. Spilliamo il vino dalle botti, visitiamo le cantine degli amici produttori e brindiamo insieme.

Dedichiamo, insomma, il nostro tempo, spieghiamo, raccontiamo, facciamo capire le differenze.

Vigne a Mamoiada

Il cliente non dev’essere più pensato come parte passiva – distante e a sé stante – ma l’esatto contrario: il nostro cliente diventa parte attiva dell’intero processo produttivo. Da questo ne discende un naturale rapporto tra il produttore e il cliente, un rapporto diretto, autentico, genuino.

Potrebbe essere questo il vero cambio di prospettiva, la vera distinzione rispetto al recente passato e un ritorno al passato più remoto, con la differenza che i nostri clienti trent’anni fa arrivavano dal circondario oggi arrivano da tutto il mondo.  I nuovi mezzi di comunicazione, i social media, accorceranno sempre di più le distanze, diminuiranno i divari tra chi produce e chi consuma.

I filtri saranno ridotti all’osso, il consumatore non si accontenterà più di una menzione in etichetta, ma vorrà sapere, conoscere, sarà sempre più curioso, vorrà essere parte del vino che beve.

E la certificazione sarà, come sempre è stato, la fiducia che il cliente riporrà nel produttore, che parte dal “faccia a faccia”, dal confronto diretto, dall’incontro degli occhi e dallo scambio degli sguardi.

E’ in quel momento esatto che si plaude alle nostre battaglie, quelle vere, combattute in silenzio:  quando a giugno piove e si entra in vigna a trattare con zolfo e rame, quando ci si impegna a fare del buon vino anche quando l’annata non è facile.

E’ in quel momento che, stando al nostro posto, facendo cosa buona e giusta, rendiamo il mondo un posto davvero migliore.

Luca Gungui
Luca Gungui
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