Il sogno americano e l ‘uomo che l’ha realizzato attraverso il vino Italiano5 min read

Mi è sembrato strano che “Il sogno americano”, libro in cui Dominic Nocerino si racconta, iniziasse con una tragedia americana, anzi mondiale: il Covid 19. Poi ho capito il perché, ma ve lo dirò più avanti.

Intanto chi è Dominic Nocerino? Forse se dico Vinifera Imports qualcuno lo inquadra meglio: Dominic è uno storico importatore di vino italiano negli Stati Uniti, uno dei più importanti  e in questo libro ha voluto raccontare la sua vita.

Mentre  leggo la sua storia mi sembra di vivere in uno dei mille film che hanno reso famosa l’Italia nel mondo. Il sud caldo per il clima e le parentele indissolubili, il padre tifoso del Napoli, la mamma che fa miracoli alimentari con il basso stipendio del marito, la zia burbera (zoccolomunita all’occasione) ma in  fin dei conti giusta regolatrice dei guai domestici e infantili, il gioco del calcio come condimento di ogni giornata.

In questo classico magma iconografico cresce Dominic. Fino a qui ricalca la storia di tanti ragazzi, di tante famiglie. Da qui parte la sua storia e qui, negli anni, regolarmente ritornerà.

Attraverso una prosa leggermente e forse volutamente naif cerchiamo di seguirlo nella sua esplosiva voglia di fare e poi di saper fare, che lo porta in Inghilterra, poi a rinunciare al posto fisso da operaio tanto sognato da sua madre, quindi  in Francia e alla fine negli Stati Uniti, dove non sapendo all’inizio niente di vino è piano piano diventato uno dei maggiori importatori.

Ho detto “piano piano” ma forse sarebbe stato meglio dire “veloce, veloce” perché quello che colpisce in questo libro, in questa carrellata di storie, uomini, azioni e pensieri è l’instancabile energia che lo porta sempre avanti, che gli fa lasciare buoni posti di lavoro ma dove non vedeva abbastanza possibilità di crescere, che gli permette di incontrare la mattina un produttore in Toscana e il pomeriggio uno in Piemonte, e in tutta questa spesso frenetica voglia di fare, colpisce il  riuscire a ritagliarsi spazi per amicizie vere, basati su rapporti di fiducia granitica. Del resto Dominic lo dice “L’unica cosa che ti chiede l’America è il rigore, il rispetto delle regole da ambo le parti.”

E questo rispetto, questo rigore, unito a tanta energia lo ha portato ad essere importatore di nomi storici del vino italiano: Giacosa, Gaja, Rinaldi, Fontodi, Felsina, Canalicchio di Sopra, Brigaldara e potrei continuare per molti minuti.

Da un Bruno Giacosa incontrato la prima volta nel suo piccolo ufficio, con un tragico ritardo di due ore per la neve , alla prima volta con  Beppe “Citrico” Rinaldi definito (cosa che lascerà di stucco tanti che l’hanno incontrato meno di 25/30 anni fa) un giovane bellissimo,  a un Bartolo Mascarello affranto mentre si chiede perché ce l’avessero con lui i cosiddetti “modernisti”, i ricordi e le immagini si susseguono, inframmezzate dalla sua crescita professionale che me lo fa immaginare prima instancabile consumatore di suole per le vie di Chicago e poi di New Tork e successivamente granitico motivatore  e  affiancatore di un numero infinito di dipendenti.

Nomi storici del vino ma anche nati da poco, cantine affermate e da far affermare: il tutto con un modo di proporre vino italiano che, per fortuna, in qualche caso mostra la sua età. Mi riferisco alla maniera garbata di utilizzare i verbi: “Il pubblico di Chicago apprezza  i vini di Aldo Conterno- tanti clienti gradiscono i vini di Fontodi”. Queste forme verbali eleganti sono lontane anni luce dai superlativi sparati a raffica, dalle scale in 110-100, dalle frase vuote e roboanti di tanta moderna proposta enoica. Anche il verbo vendere, parlando di un grande venditore, è centellinato, quasi non fosse quello il suo compito, ma quello di “proporre, avvicinare, far conoscere” il vino italiano di alta qualità agli americani.

Dominic Nocerino (al centro) con Giuseppe Mazzocolin (a sinistra) e Giovanni Manetti.

Per questo nel libro autobiografico di Dominic si respira il passato e il presente, vissuti con gli insegnamenti di una vita e il pragmatismo di chi guarda sempre al futuro.

Anche quando l’età ha portato con sé un compagno indesiderato lui l’ha affrontato come se fosse un budget da raggiungere. Identificazione del malanno, attimo di respiro per metabolizzarlo e poi tutta una serie di appuntamenti con medici, cure programmate per superarlo. Probabilmente quella malattia ha capito da sola che doveva sloggiare in fretta di fronte a tanto attiva organizzazione e a tanta ferma determinazione.

Per quanto riguarda il mio mestiere, è stato bello  leggere del grande aiuto che all’inizio gli hanno dato le opere di Veronelli e di come è entrato nel suo mondo, verso la fine degli anni ottanta, il giornalismo enologico.

Ma adesso, alla fine, parliamo dell’inizio, del perché la tragedia del Covid 19 sia l’Incipit del libro. Col senno di poi è facile capirlo: Dominic ha sempre vissuto, lavorato, sognato e fatto, a stretto contatto con le persone e quindi il momento in cui un morbo lo stava privando del suo mondo quotidiano di incontri e confronti, proprio come un pesce a cui viene sottratta l’acqua, lo ha spaesato e impaurito, proprio perché gli levava un bel po’ di terra conosciuta sotto i piedi.

Ma quei piedi hanno continuato a muoversi e lo continueranno a fare. Intanto il Covid è servito a far nascere questo libro, che parla di come, sgobbando con intelligenza, si possa realizzare il sogno americano.

 

Dominic Nocerino, Il Sogno Americano, stampato in proprio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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