Il Roero nel calice4 min read

La storia geologica d’Italia è anche un po’ la storia del vino e delle sue regioni d’elezione.

Nello specifico del Roero, l’enclave più settentrionale di quello che si potrebbe chiamare (con Barolo e Barbaresco) il trittico piemontese del Nebbiolo, la “colpa” della sua nascita – se non tutta, buona parte – fu di quando, sei milioni di anni fa, il Po arrivava fino in Calabria e si gettava nello Ionio. E poi del Tanaro che, 250mila anni fa, invece di svoltare a est subito oltre l’odierna Alba, puntava dritto verso dove sarebbe sorta Torino.

E’ da quest’intreccio di fiumi che deviano, nonché di mari che si alzano e si ritraggono, lasciandosi alle spalle sedimenti, rocce e affioramenti, che prese vita il suolo su cui oggi fioriscono le colline, le rocche e i vigneti che connotano questo territorio, elevato a docg nel 2004. E dal 2013 tutelato da un consorzio, presieduto da Francesco Monchiero, che raccoglie 236 soci, dei quali 155 produttori.

La denominazione (circa 7 milioni di bottiglie, delle quali oltre il 60% destinato all’esportazione) contava nel 2020 un totale di 1.180 ha, di cui 907 ad Arneis e 273 a Nebbiolo.

Il marcato squilibrio di ettaraggio tra i due vitigni-pilastro della docg non è sfuggito a noi occhiuti IGP, invitati la settimana scorsa ad un interessante seminario on line organizzato specificamente per noi da Gheusis, l’ufficio stampa consortile. La domanda è sorta allora spontanea: il rapporto tra le superfici di Nebbiolo e Arneis è di 1:4, non è che del secondo se ne produce un po’ troppo?

Francesco Monchiero non ci ha girato intorno: “Si tratta della coda dell’effetto emulativo conseguente alla riscoperta dell’Arneis”, ha detto. ”Il vitigno era attestato dalle nostre parti già dai documenti della fine del ‘400, ma negli anni ’70 del Novecento era a un passo dalla scomparsa. La sua rinascita, che ha anche coinciso con l’avvio della produzione secca, ha spinto i viticoltori a piantarne parecchio ed un po’ ovunque, spesso in zone meno vocate visto che le aree migliori erano riservate al Nebbiolo. Da qui una certa proliferazione che tuttavia, fin dalla sua nascita, il consorzio sta cercando di governare”.

Mappa del Roero e dei suoi cru

Un percorso evolutivo che è anche alla radice dei molti stili dei Roero Bianco (cioè Arneis), dimostrata dai sei campioni propostici in degustazione: “L’identità del nostro vino sta cambiando ed aprendosi a ventaglio per tutta una serie di ragioni: già il disciplinare ne prevede tre tipologie (Bianco, Bianco con Menzioni Geografiche Aggiuntive e Bianco Riserva), comincia poi a pesare anche l’età delle vigne, visto che ormai ne abbiamo alcune di oltre trent’anni – spiega Monchiero – e il fatto che stanno mutando pure le tecniche di vinificazione. Difficile quindi codificare una fisionomia precisa per questo vino”. Per non parlare del quid pluris dato dalle ben 135 MGA riconosciute dal disciplinare: “Solo il 25% del nostro territorio fa parte di una di esse e solo il 50% della superficie vitata è all’interno di una MGA”, chiarisce il presidente, “mentre nel 2017 il 10% del Roero Bianco e il 40% del Roero Rosso risultavano rivendicati con MGA”.

Conquistati nel panorama vinicolo nazionale un’identità commerciale e uno spazio proprio tra le pur ingombranti docg vicine, la scommessa per la denominazione è ora duplice: da un lato assecondare anche sotto il profilo agronomico un filone “green” che sembra sempre più ineludibile (“abbiamo approvato l’idea di una progressiva abolizione dei diserbi chimici”, dice Monchiero” e stiamo cominciando ad applicarla”) e dall’altro sviluppare il territorio in chiave di più marcata destinazione enoturistica.

Nasce in quest’ottica il progetto dei Wine Tour tra i CRU del Roero, in collaborazione con l’Ecomuseo delle Rocche del Roero: escursioni a piedi o in bici, disegnati a margherita, alla scoperta dei  vigneti di maggior pregio attraverso quattro itinerari che toccano anche i punti di maggiore interesse paesaggistico e naturalistico, centri storici, botteghe artigiane, gastronomie, ristoranti e strutture ricettive. Il tutto con una guida interattiva: un’app gratuita con una voce che accompagna i visitatori sul percorso, raccontando curiosità e aneddoti.

Oltre a parlarne, ovviamente, durante il seminario il vino lo si è anche bevuto, grazie alla selezione di sei Roero Bianco e sei di Roero Rosso, che da un lato hanno confermato la varietà di stili e di inclinazioni all’interno della docg, dall’altro hanno ribadito la tendenziale eleganza che il territorio conferisce ai prodotti.

 

Ecco l’elenco dei vini assaggiati, sul dettaglio dei quali scenderanno i colleghi Igp:

Ridaroca, Roero Bianco 2020

De Stefanis, Roero Bianco 2020 “Radius”

Casetta, Roero Bianco 2020 “Raiz”

Montaribaldi, Roero Bianco 2020 “Capural”

Cauda, Roero Bianco 2019

Paitin, Roero Bianco 2019 “Elisa”

Careglio, Roero Rosso 2011

Cascina Chicco, Roero Rosso Riserva 2012 “Valmaggiore”

Antica Cascina dei Conti di Roero, Roero Rosso Riserva 2015

Almondo, Roero Rosso 2016 “Bric Valdiana”

Ca’ Rossa, Roero Rosso Riserva 2017 “Mompissano”

Battaglino, Roero Bianco 2018 “Colla”.

Stefano Tesi

Stefano Tesi, giornalista professionista, scrive per vari giornali italiani di gastronomia e viaggi. Il suo giornale online è Alta Fedeltà.


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