Il prosciutto di troia6 min read

Sapendo che la mia famiglia ammazzava ogni anno il maiale, un certo Pinotti si presentò nella nostra ferramenta per proporci il suo. Ci disse che aveva un podere tra le colline di Buriano e Vetulonia dove allevava suini, ma anche bovini di razza maremmana e una serie di animali da cortile: dalle galline ai paperi, alle nane senza dimenticare ovviamente i conigli. Nonostante conoscessi abbastanza bene il territorio questo podere non lo ricordavo. Poi quando ci andammo con mio fratello Raffaello scoprimmo il perché. Era situato a mezza costa e contornato com’era dalla macchia mediterranea e dal bosco era praticamente invisibile dalla strada che corre tra i due paesi.

La molla che fece scattare la nostra curiosità fu quando ci disse che ci avrebbe dato volentieri una scrofa di oltre 300 chilogrammi! Io gli chiesi se scherzava e lui tranquillo:“Venite a vederla! Esce anche lei per andare alla macchia ogni giorno, corre come un treno, quindi è carne ottima.”

Noi sapevamo che per macellare una femmina bisogna stare attenti che non fosse in calore, perché altrimenti la carne non avrebbe potuto prendere il sale. D’altra parte si sentiva dire che il prosciutto di troia (così è chiamata la scrofa in Maremma, n.d.r.) era di una bontà tutta particolare. Pur non essendo una famiglia di contadini, ogni anno si era sempre ammazzato un maiale, però mai una troia: un prosciutto del genere non l’avevo mai visto e tantomeno assaggiato. Normalmente prendevamo dei “magroni” dai 130 a 170 kg al massimo.

Per valorizzare il suo allevamento ci disse che gli animali vivevano allo stato brado: Nnon solo gli animali da cortile, ma anche i maiali e le mucche venivano liberati alla mattina per andare a pascolare nella macchia circostante, e poi la sera ritornavano. Gli chiesi se fossero ammaestrati o cos’altro. “No – ci disse – c’è il mio cane che all’ora giusta li va a riprendere tutti e le rimette nei loro posti”.

Ci credevo un po’ poco, ma per sfida andai una sera a vedere questo spettacolo. E spettacolo fu! Un cagnetto, di non grande taglia, correva come un ossesso guidando a memoria questa moltitudine di animali alle proprie rimesse: i volatili nel grande pollaio, i maiali nei castri e le mucche nella stalla. Quest’ultima operazione era quella più spettacolare perché vedere queste bestione essere guidate da quella saetta di cane che ogni tanto per farsi capire meglio mordeva loro gli stinchi,  era uno spettacolo che faceva un certo effetto, specie nell’ultima fase quando metteva ogni bestia al suo esatto posto.

Gli feci i complimenti e gli chiesi come avesse fatto ad istruirlo in quella maniera. mi disse che bisogna prenderli da piccolini, di pochi mesi, e poi addestrarli. Non vi accenno nemmeno lontanamente cosa faceva per addestrarli: una cosa inimmaginabile e da vera bestia. Lui, non il cane.

Nel tempo abbiamo avuto diversi norcini a servizio e in quel periodo avevamo Armando, un ometto piccolo e di poche parole. Armando era famoso nel paese perché si diceva che conoscesse dei posti speciali per trovare i porcini: da giovane abitava alle Caldanelle, sul limitare della macchia, e li  aveva imparato e era diventato un fenomeno a trovare i funghi.

Sentimmo la sua opinione e lui ci disse che sì, si poteva fare; lui l’aveva rifatto ed era vero che i prosciutti di troia erano tutta un’altra cosa. Quando gli dicemmo che l’animale era molto pesante (risultò poi essere di 375 chilogrammi) fece una piccola smorfia ma non si scrollò poi più di tanto.

Insomma combinammo e con una certa difficoltà si riuscì ad ucciderlo, senza farsi del male… Si fece tutte le operazioni del primo giorno (pelatura, lavaggio, apertura della pancia, sistemazione delle interiora) e si mise ad asciugare appesa ad una scala  di ferro che la reggeva a mala pena. Ovviamente si lasciò ad asciugare al podere fino alla domenica perché solo allora si poté dividere in quattro parti e in qualche maniera caricarla in auto per portarla via.

I famigerati prosciutti vennero colossali: appena rifilati e messi sotto sale pesavano 35 kg, ma una volta stagionati persero quasi il 50% del loro peso.

Per la stagionatura si portarono a Montepescali, dove c’è un clima più adatto a questo scopo, nella cantina del suocero di mio fratello, Arturo Vannini. Facendo i dovuti controlli si stagionarono per più 36 mesi. Quando si aprirono fu uno spettacolo: fette che arrivavano a quasi mezzo metro ed un colore tipo vinaccia. D’altra parte un amico contadino mi ha raccontato che riusciva a fare con questo tipo di prosciutto fette fino ad un metro di lunghezza! Gli chiesi come fosse possibile, e lui mi spiegò che tagliava le fette ad esse, cioè arrivato ad un lato del prosciutto non finiva la fetta, ma tornava in dietro all’altro lato del prosciutto, e poi ancora una volta: una specie di S che raggiungeva alla fine circa un metro di lunghezza!

Interpellata Beppina del Lollo, memoria storica della Fattoria degli Acquisti, ha confermato che si, capitava di macellare anche le scrofe (per la serie non si buttava via niente…) e che certi contadini facevano a gara a fare le fette di prosciutto di circa un metro. Per esempio dai Buselli e dai Ciolfi, un po’ per tradizione, un po’ per far meravigliare i ragazzi di casa che, come ricorda bene Beppina, spesso non ce la facevano nemmeno a finirla!

Il profumo e il sapore del nostro prosciutto risultarono qualcosa di incredibile e mai provato. Una dolcezza che dalle nostre parti non si provava mai nei prosciutti “normali”.

Oggi queste cose non si possono più fare: leggi sanitarie sempre più severe e discutibili impediscono di fatto la macellazione domestica. Prima bastava portare il fegato alla sede del Servizio Veterinari: oggi in aggiunta ci vogliono un paio di chili di prosciutto (in euro) come diritti al S.V. Come se allora ci si ammalasse o si morisse ad ammazzare il maiale in casa, cosa fatta tranquillamente per secoli. Quando arrivava il giorno per “spezzare il maiale” era festa grande per tutta la famiglia. Mi auguro che da qualche parte, senza farsi tanta pubblicità, qualcuno continui con queste tradizioni. Magari facendo i prosciutti di scrofa.

Ad un amico grande allevatore di cinta allo stato brado ho chiesto conferma delle mie conoscenze in fatto di prosciutti di scrofa e lui mi ha confermato tutto. Quando gli ho chiesto come mai lui non li facesse mi ha risposto che per avere un buon prodotto ci vorrebbero almeno 4 anni di stagionatura, veramente troppi con il rischio di avere poi un prezzo proibitivo. “E allora che ci fai con le scrofe?” “Vista la bontà delle carni, queste finiscono tutte nei salami, prosciutti compresi.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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