Il Pratello contro tutti, ovvero quando la Romagna perse la più grande occasione9 min read

Capitolo I (Overture). Parole-Piuttosto-Forti.

Walter Speller provoca. Lo so per certo perché ho avuto il piacere di essere il sommelier del critico dei vini italiani di Jancis Robinson più di una volta. Ero con lui quando attaccò Tancredi Biondi Santi per essere contrario ad una zonazione di Montalcino, quando descrisse il Riesling di Vajra in un paragone con l’australiana Valle dell’Eden, quando mise insieme i cru di Barolo a quelli della Borgogna.Nella sua critica Walter Speller ha dato una visione all’Italia che ancora non c’era in quanto è stato il primo a discutere e criticare i nostri vini alla prova del mondo e delle sue innovazioni all’estero.

Ma la sua più grande provocazione doveva ancora essere rivelata. E’ così che il 27 maggio 2020, sulle pagine di Decanter “Il Mantignano” de Il Pratello supera Biondi-Santi, Baricci, Sesti, Il Marroneto e tutto il resto della compagnia, aggiudicandosi il punteggio più alto tra i Sangiovese italiani.

Io Walter lo capisco. Modigliana è un posto affascinante dal punto di vista della critica del vino. Territorio estratto dalla Toscana, vallate e cru presenti e identificati non solo nelle parole dei produttori ma anche nei vini (so che sembra un discorso di base ma in Italia è spesso pura fantascienza), la presenza e la spinta giornalistica di Giorgio Melandri e l’associazione “Stella dell’Appennino” che hanno aperto un mondo per quanto riguarda la comunicazione del vino in Romagna. Forse molti di voi hanno conosciuto me e Walter all’ultima manifestazione da loro organizzata dove, come a nostro solito, ci siamo amorevolmente scannati per un paio d’ore.

Capisco anche l’aver scelto il Pratello. I vini di Emilio raccontano pienamente la controversia tra la qualità del prodotto stesso e la pazzia della sua produzione iper-naturale, che viaggia in una linea sottile dove a volte aprirne una bottiglia è più una speranza che una certezza. E anche io come Walter ho usato i vini de Il Pratello con questi fini provocatori, arrivando a nasconderli in una verticale di Vieux Chateau Certan tra la sorpresa di tutti i presenti che al termine hanno saccheggiato le rimanenti bottiglie che avevo.

L’articolo di Speller ha portato molte critiche. ma tutte sotto banco. Nessuno lo ha postato sui social per congratularsi con Emilio (ne ho visti giusto un paio durante l’ultima rilettura di questo articolo), nessuno dei produttori citati è stato contento dei risultati da parlarne pubblicamente, nessuno si è lamentato con l’autore o discusso i suoi punteggi. I punti da toccare sono tanti, troppi. Iniziamo dunque.

Capitolo II. Che-La-Critica-Parli.

Dopo la morte del padre nel 1991 Emilio si guarda attorno e ispirato dal sogno di Castelluccio e del suo Sangiovese decide, qualche anno dopo, di iniziare a produrre vino avendo già il titolo di enologo. La particolarità del Pratello non sta tanto nella sua produzione, basata su fermentazioni e invecchiamento in vecchie barrique in una delle “chai” più’ affascinanti che abbia mai visto, o sull’approccio legato al vino naturale prima ancora che esplodesse la bomba Nossiter in Italia, ma sul fatto che Emilio, come un Socrate romagnolo, non ha mai scritto nulla dei suoi vini. Ci ha pensato la critica a farlo protagonista più di una volta. E a raccontarli sono stati finora personaggi di grande destrezza con la penna, come Melandri o Francesco Falcone proprio sulle pagine di Winesurf.

Il Pratello è una sorta di culla dove i fans del Sangiovese hanno trovato un qualcosa da tramandare. E’ una storia non detta di cui tutti devono interessarsi prima o poi. Anzi, potrei dire che tramite il Pratello si possono delineare gli interessi della critica, dove con Giorgio Melandri si parla di qualità, con Francesco Falcone di naturalità e con Walter Speller di territorio.

Io la mia prima volta con “Il Pratello” la ricordo ancora, assaggiando “Il Mantignano” al Magnolia di Alberto Faccani. Andrea Fiorini, per me vero e autentico maestro della sommellerie italiana, colpì ancora una volta il segno con un abbinamento da fuoriclasse, accostandolo con una lavorazione della carne di piccione. Eccezionale!

Capitolo III: Una verticale de “Il Mantignano”

Siamo a Modigliana, un piccolo paese della Romagna, sempre a cavallo tra questa e la Toscana. Emilio si trova nella valle che reputo più’ importante del paese, chiamata Ibbola. Qui grandi altitudini e un ecosistema accerchiato dai boschi creano sangiovese che richiamano a una fortissima intensità di profumi e a una innata freschezza.

Durante un viaggio di lavoro insieme a Federico Moccia, assistente capo di 67 Pall Mall, abbiamo provato quasi tutti i sangiovese prodotti da Emilio. Qui segue un racconto della verticale de “Il Mantignano” fatta insieme a Giorgio Melandri, Francesco Bordini, Luca Monduzzi e Emilio Placci.

Parte I: Il Passato (2008-2000)

2008 – Mirtillo appassito con un legno ancora non integrato. Scorza d’arancia amara, liquirizia, cuoio, caffé. Acidità media con un tannino forte ma che si distende troppo in largo sulle gengive. La nota verde del Sangiovese acquista note speziate sul finale che non sembrano però avere congruenza col resto del vino.

2007 – Colore intenso persino sul granato ai lati del bicchiere. Ossidazione muove la grafite, sentore di animale che si avvicina alla carcassa (bevetevi un Crozes-Hermitage di Jaboulet degli anni 80 e capirete di cosa sto parlando), catrame da vecchio Monfortino (Federico ha fatto una verticale di Conterno fino agli anni 20 e ha ricordato sentori simili). Il palato rimane fresco, frutta rossa e grande acidità che sembra distrarci dal tannino ancora ben presente. Come Michelangelo, rompiamo metaforicamente il bicchiere a terra urlando: “Perché non parli?”

2006 – La pesca non esce protagonista ma accompagna erbe fresche, genziana e salvia medicinale. L’acidità supporta un corpo debole.

2004 – Estremamente denso. Fragola di bosco. Nonostante il tannino aggressivo il vino scende acquoso e stanco.

2003 – Potentissima amarena liquorosa sotto spirito. Forte alcolicità supportata da varie note medicinali al palato.

2000 – Il colore si scarica verso il Pinot Noir. Oliva nera che ricorda la valle del Rodano nord in certe note di Cornas di Auguste Clape. L’ossidazione accompagna le note più vicine al fungo, sottobosco, cuoio e cannella. Una bocca sempre più diluita lascia un leggero sapore di agrume.

Parte II: Il Presente (2009 – 2012)

2009 – La concentrazione più alta si rispecchia in un colore più’ bordolese. Sale e menta. Richiama al passatello e trova nella grafite la chiave per un ottimo finale. Buonissimo.

2010 – (Prodotto come “Morana”) Denso e opulento. Spezie ed agrumi. Ossidazione in sottofondo. Si sente una surmaturazione che abbassa l’acidità.

2011 – Oliva nera, catrame fresco, amarena densa. Si aggiungono note fresche di rose e viole, pesche e noce moscata. Un tannino meno forte richiama a una maggiore bevibilità.

2012 – Bilanciatissimo. Pesco, rose ed erbe. Risulta essere però più generico degli altri, sia nel palato che nella definizione dei profumi. Chiude con una leggera vaniglia.

Capitolo IV: Responsabilità e amarezza

A degustazione finita viene chiesto a me e a Federico un parere e noi dobbiamo essere sinceri. Tutta la trascendentalità che i 20 anni di critica enoica hanno raccontato non l’abbiamo trovata. Abbiamo trovato dei vini buoni, a volte buonissimi, rappresentativi del territorio ma a parte qualche esempio niente ci ha fatto urlare alla rivoluzione di cui tutti parlano. Anzi l’esatto contrario. Noi in quel 2007 Mantignano non ci vediamo l’apice del Pratello ma il suo inizio.

Ma questo non perché quelli che erano passati prima di noi ci hanno visto male. E’ semplicemente cambiato il punto chiave di lettura del vino.

Emilio Placci ha dovuto rappresentare la qualità della regione ai tempi dei 3 bicchieri di Giorgio Melandri, poi ha dovuto difendere la naturalità del vino e del territorio ai tempi di Francesco Falcone e Sandro Sangiorgi e ancora una volta senza volerlo, dopo 20 anni di attività, deve mostrare il Sangiovese al mondo come uva rappresentativa del terroir nei tempi miei (si, mi ci metto dentro anch’io) e di Walter Speller.

Quello che penso è che Emilio sia stanco. Del peso di chi scrive dei suoi vini, delle leggende del Guccini del vino che si raccontano tra quegli appassionati che hanno bevuto e non hanno più’ dimenticato, delle memorie storiche dei suoi fans che sono sempre state tramandate oralmente e poche volte scritte come in questo caso.

Forse Emilio voleva una vita semplice basata sull’agricoltura e il rispetto del territorio. E invece è diventato in più periodi una star sempre più importante (credo sia un esempio unico in Italia) su cui ricade il peso della responsabilità della guida e dell’esempio.

Forse Emilio non vorrebbe queste pressioni ma io scrivo proprio per dire che il bello viene ora.

E’ da adesso in poi che dobbiamo interessarci a lui ancora di più’, a comprare e a conservare le sue bottiglie per aprirle in momenti veramente importanti. E per gioire nel vederle nelle liste vini dei nostri ristoranti preferiti.

E veniamo al caro Walter. Volete sapere la mia versione dei fatti? Non sono convinto che preferisca il Pratello a Biondi-Santi, Sesti, Il Marroneto e tutti coloro che vengono dopo Emilio in questo tasting provocatorio. E posso capire la vostra critica nel dire che magari a voi i paragoni tra le regioni non interessano. Ma il punto del suo articolo non è questo.

Io credo che Speller sia rimasto colpito dalla Romagna e si sia commosso ascoltando le nostre storie, i nostri personaggi e i nostri vini. E mettendoci la faccia (e ancora di più le palle) ci ha dato una possibilità, una speranza. Con un cross spettacolare ha regalato alla Romagna una palla perfetta davanti ad una porta vuota. E sappiamo benissimo che quel gol non è mai arrivato e mai arriverà.

Per questo non biasimo Emilio. Mentre sulla sua testa ricadono queste responsabilità cosa accade intorno a lui? Un consorzio troppo impegnato nel coinvolgere l’influencer alla moda del momento. Colleghi invidiosi che non possono permettersi di condividere un risultato che non li riguarda (e che invece li riguarda eccome). Critici troppo presi dal fatto che quell’articolo non l’abbiano scritto loro.

Allora lasciate che ci pensi io a dire un grazie al posto vostro. Grazie a Walter per averci considerato specialmente in questi tempi difficilissimi e grazie ad Emilio per questi vini che esulano dalla critica e non ci lasciano indifferenti, a discapito della parte del mondo in cui possiamo trovarci.

In questa storia non vedo premesse ed ottimismo ma solo grande amarezza ed è in questo mare di delusione che, in solitudine, vi dico ancora una volta:

“Evviva la Romagna, evviva il Sangiovese!”

 

Nelson Pari

Classe 1989, nato nella felliniana Rimini, da 10 anni residente nell’isola di Albione (Londra, UK). Dopo un Master in chitarra Jazz conseguito al Trinity Laban di Greenwich, si lancia nel mondo del vino. Supervisore eventi a 67 Pall Mall di Londra, il club privato di “fine wine” piú prestigioso al mondo, e Certified Sommelier per la Corte dei Master Sommelier. Il suo vino preferito e’ Mouton Rothschild 1989 in abbinamento a Kind of Blue di Miles Davis.


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