GUIDA VINI. Verdicchio 2017: quando il vitigno è un paracadute3 min read

Per l’ennesima volta iniziamo il commento ai nostri assaggi dicendo che la vendemmia 2017 (gelate primaverili, grandinate varie, siccità estrema in estate con coda di belle piogge a settembre) non è certo stata delle migliori. Naturalmente ogni zona, ogni vitigno, ogni produttore ha reagito in maniera diversa e nella zona del Verdicchio i produttori marchigiani sicuramente sono tra quelli che hanno reagito meglio.

Bravi loro ma sicuramente bravo il verdicchio, un vitigno che difficilmente delude: da anni lo definisco un’uva rossa travestita da bianca perché basa le sue caratteristiche e la sua longevità su parametri più rossisti che bianchisti. Per esempio avere un’acidità alta non è certo basilare per un verdicchio, che riesce a mantenere una sapida freschezza anche in annate calde e difficili. Aromaticità spinte non servono a quest’uva, e quindi nelle vendemmie calde non si rischia di perder per strada profumi basilari. Inoltre il verdicchio gioca le sue carte più sulla naturale grassezza e su una buona potenza che non sulla “verticalità” tanto di moda.

Insomma non siamo certo davanti alla vendemmia del secolo però i Verdicchio 2017 hanno dato dei buoni risultati, anche se…

Ma andiamo con calma: le migliori performances le hanno fornite i “vini base”,  i Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico. Vini pronti, rotondi, giustamente freschi, dotati comunque di un nerbo tangibile e in qualche caso di una complessità invidiabile, se si parte dal concetto che costano tra i 6 e i 10 euro in enoteca. Forse non esiste denominazione in Italia con un così alto rapporto qualità-prezzo, dove vini attorno ai 90 centesimi costano 5-6 euro. Insomma i Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico (e non) 2017 sono vini immediati, piacevoli, di buon corpo, mai piatti, spesso sapidi, gradevoli e costano poco. Magari non dureranno 10 anni ma… per i miracoli si stanno organizzando.

CI hanno convinto meno i Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore 2017 e non soltanto perché hanno bisogno di più tempo per aprirsi e armonizzarsi. Sono buoni ma ci sembra manchino di quella profondità a cui ci hanno abituato. Quelli buoni non sono pochi e l’anno prossimo ne arriveranno altri, però la vendemmia 2017 non è sui livelli di equilibrio, profondità e grassa complessità della 2016. I molti campioni di quest’ultima, degustati dopo i 2017 ce l’hanno confermato.

Che l’annata 2016 sia stata di livello ce lo hanno confermato anche le poche riserve dello stesso anno. Inoltre andando indietro negli anni (2015-2014-2013) ci aspettavamo i soliti vini molto marcati da legno ma abbiamo dovuto ricrederci e fare tanto di cappello a questa tipologia.

Come detto, in passato, a causa spesso di un legno imperante e mal gestito, I Castelli di Jesi Verdicchio Riserva erano monolitici, spesso imbevibili e perdevano molto l’impronta del vitigno. Quest’anno invece pochissimi vini avevano note esagerate di legno e quasi tutti giocavano su un’eclettica potenza fiancheggiata da complessa sapidità e note aromatiche ben dentro alle linee guida del vitigno. Insomma ci siamo divertiti ad assaggiarle e ve le consigliamo.

Sul Verdicchio di Matelica 2017 invece non possiamo fare lo stesso, solo a causa dei pochissimi campioni presentati, alcuni tra l’altro con caratteristiche molto strane e, per noi, difficilmente riconducibili al vitigno. Quelli buoni ci sono, ma una volta tanto ci piacerebbe un panorama più esaustivo di questo territorio che ci ha presentato in passato sempre vini di altissimo livello.

Sul  livello dei vini spumanti fatti col verdicchio invece abbiamo qualcosina da dire. Anche se non ne abbiamo degustati molti ci sembra che quest’ uva possa dare ottimi spumanti solo in tempi lunghi. In altre parole fino a che si parla di metodo classico con almeno 48 mesi sui lieviti non ci sono problemi, mentre per metodi charmat più o meno lunghi crediamo ci siano altre uve più adatte. Lo dimostrano, anno dopo anno, sia una fetta di spumanti piuttosto ruvidi e scomposti, sia riassaggi di metodo classico molto più fini mano a mano che invecchiano.

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE