Graukäse: formaggio grigio ma sempre giovane3 min read

C’è una Valle in Alto Adige attraversata da un torrente che ha i colori dell’oro ed è custode di un formaggio che ha i riflessi dell’argento. Questa Valle si chiama Aurina  e il formaggio Graukäse.

Il Graukäse nasce probabilmente nel Medioevo, quando ai Romani succedono gli Alemanni e poco dopo, intorno al V e VI secolo, i Baiuvari. Quest’ultimi, oltre alla produzione di burro, s’impegnano sempre più a fare caci adatti alla stagionatura e al loro utilizzo come tributo. Lo fanno servendosi del caglio estratto dall’abomaso di vitelli e agnelli e partendo dal latte di un’unica o di due mungiture.

Il latte restante molto povero di grassi  viene messo ad acidificare o in mastelli o direttamente nella caldaia in rame e successivamente, con un graduale riscaldamento, viene fatto coagulare.

In questo modo, ieri come oggi, si ottiene un coagulo che dopo una buona sgrondatura, viene impastato in un recipiente detto Kasmulter, aromatizzato con sale e pressato in una fascera chiamata Kaskar.

Tolto da lì si svela la nascita di un formaggio la cui maturazione avviene in due o tre settimane, le caratteristiche fisiche e organolettiche sono segreti di famiglia tramandati da generazione in generazione e il consumo era un tempo esclusivamente casalingo.

Oggi il Graukäse o Formaggio Grigio, così definito per i riflessi “argentei” determinati dalla colonizzazione di muffe grigio-blu, continua a essere fatto in maniera tradizionale in tutto il sud Tirolo mentre in Austria la produzione e spesso più industriale. Il numero delle forme italiane prodotte è maggiore di un tempo ma sempre modesto e in ciascuna valle presenta differenze evidenti sia nella struttura, in alcune aree più compatta e matura in altre più friabile, sia nell’aroma quando, come accade nella zona di Vipiteno, viene spesso leggermente affumicato.

Nonostante la sua reale magrezza (il grasso sul contenuto secco è al massimo del 2% mentre quello assoluto non supera l’1%),  ne faccia un alimento prezioso anche nelle diete che richiedono un basso apporto calorico e un elevato valore nutrizionale, il cacio “canuto” ha un sapore la cui intensità aumenta con la stagionatura e la cui nota leggermente acidula lo rende adatto a “insinuarsi” in molte ricette.

Le più tradizionali sono quelle con i canederli pressati o con cipolle a rondelle crude e un filo d’olio mente le più innovative lo sposano con sushi e salmone ovvero con gamberoni in tempura.

Particolarmente interessante è l’affinamento proposto da Hansi Baumgartner il quale, profondo conoscitore di questo cacio della sua terra e amante dei sapori intensi ed equilibrati, ha vestito il Graukäse di carbone vegetale, capace di mantenere tenero il cuore di un formaggio così unico. Unico non solo nell’aspetto e nel sapore ma nella sua anima “lunatica” legata all’alimentazione delle vacche o in rari casi delle capre, alla mano dell’uomo e molto spesso a quella di una donna e alle condizioni climatiche le quali, vuole la leggenda, sono ottimali quando c’è tempesta.   

Descrizione: ha grandezze e tipologie differenti, ma è per lo più privo di crosta. Il suo colore esterno può variare da giallognolo a marrone – grigio. All’interno quello più compatto può assumere un colore scuro mentre quello più friabile è normalmente bianco opaco. Con la stagionatura  la struttura diviene all’interno gelatinosa nel cacio dal cuore più “severo” mentre più granulosa in quello più “tenero”.

Produttori: circa una trentina  presenti in Val Aurina, a Predoi, Lappago, Acereto e Rio Molino

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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