Grands Jours de Bourgogne: programma ricchissimo e un contenuto ottimismo per il futuro7 min read

I Grands Jours de Bourgogne sono ormai alle spalle: con ancora negli occhi le vigne,   in quel periodo nude dopo la taille, e sul palato la memoria delle centinaia di assaggi effettuati nel corso della settimana del suo svolgimento (18-22 marzo), non è facile fare un bilancio .  La generosa vendemmia 2022, protagonista della manifestazione , segue ad un 2021 povero di quantità , anche se non di qualità nelle vigne meno danneggiate dalla gelata di aprile, ed a sua volta precede un 2023 assai ricco (+ 29% rispetto alla media quinquennale).

Il livello dei vini, anche se ancora un po’acerbi e in parte non  ancora in bottiglia, è nel complesso più che buono, anche se il calore (fortunatamente non estremo e non troppo prolungato) e la siccità fanno sentire  i loro effetti. Specie i rossi  (il discorso sui bianchi è più complesso e leggermente meno omogeneo) sono gourmand , molto seduttivi ma equilibrati, nonostante il calo delle acidità, in continuità con il trend proprio delle ultime annate (con la sola eccezione del 2021) solari, ricche e concentrate: delle vere bombe di frutto.

L’atmosfera che si è respirata in quei giorni è stata di contenuto ottimismo, nonostante il modesto calo delle esportazioni del 2023, seguito a una crescita costante dal 2009 in poi nonostante la breve interruzione del periodo covid. Una netta differenza dall’edizione precedente, nella quale , a causa del forte calo della produzione della sfortunata annata 2021,  a prevalere era la frustrazione di disporre di  volumi insufficienti per la forte domanda internazionale.  

Il pubblico, costituito esclusivamente da professionnels (ben 2600 gli iscritti, di cui 130  giornalisti provenienti da 27 Paesi diversi) ha risposto con entusiasmo , con una partecipazione ampia dall’estero (59%): la rappresentanza italiana superiore a quella di tutti gli altri (in effetti non ho mai visto tanti italiani qui in Borgogna), poi Belgio, Stati Uniti, Germania, Cina e Regno Unito.

Come sempre, gli organizzatori del  BIVB hanno allestito  un programma ricchissimo, incernierato nella struttura ormai tradizionale della manifestazione di tipo  itinerante, distribuita tra le diverse aree del vignoble borgognone. Cominciamo da nord , dalla tendopoli allestita nell’area dei grand cru del Domaine William Fèvre a Chablis, proseguendo poi nella Côte de Beaune  il giorno successivo nel moderno Palace des Congrès di Beaune, con diramazioni  ad Aloxe-Corton , nella cuverie della Maison  Latour e Meursault, nella Tonnellerie Damy.  Poi ancora in Côte Chalonnaise, a Mercurey, per chiudere in bellezza con la Côte de Nuits, in tre diversi poli (Gevrey-Chambertin,  Nuits-St. Georges e il gioiello dello Château du Clos de Vougeot).

Questa volta, a differenza di altre edizioni, modificando la tradizionale sequenza geografica da nord a sud, che dovrebbe  chiudere la rassegna con il Mâconnais, a conclusione della manifestazione è stata spostata la Côte de Nuits, certamente quella di maggior richiamo,  con l’evidente scopo di prolungare le presenze fino all’ultimo giorno. Certo l’articolazione nelle tre diverse sedi nella stessa giornata  ha contribuito ad evitare un eccessivo sovraffollamento, ma ha anche rappresentato  qualche difficoltà per chi desiderasse partecipare a tutte.

In conclusione, si è trattato di tredici grandi degustazioni distribuite in dieci locations differenti, a cui si sono aggiunte ben dieci ulteriori degustazioni nel tardo pomeriggio, insieme con quella, come sempre sontuosa con cena finale, organizzata dalle Grandi Maisons  del négoce borgognone a Santenay presso lo Château Philippe le Hardi, nella quale,  gustando grands crus a profusione, è stato possibile incontrare e scambiare informazioni  e valutazioni con molti grandi protagonisti del mondo vitivinicolo borgognone intervenuti . In questa occasione François Labet, proprietario del prestigioso Château de la Tour e Presidente uscente del BIVB, mi ha parlato a lungo dell’ottimo avvio delle Cité des Climats e del loro impatto, superiore alle previsioni più ottimistiche.

Effettivamente, anche i più stakanovisti di noi hanno avuto qualche difficoltà di fronte a un programma così intenso. Tra le degustazioni aggiuntive  a cui ho potuto partecipare, la più interessante è stata senza dubbio quella  organizzata dall’Association Femmes & Vins de Bourgogne, che raccoglie una quarantina delle più note e talentuose vigneronnes della Borgogna.

Ospitata dalla nuova Cuverie degli Hospices de Beaune, era naturalmente presente con alcune sue cuvée emblematiche anche  la bravissima Ludivine Griveau.  Con lei, nelle postazioni ricavate tra i fusti della cuverie, erano rappresentate tutte le cantine aderenti all’Associazione, poco più della  metà delle quali situate nella Côte d’Or.   

Ebbene, pur se, nel corso dei Grands Jours abbiamo avuto modo di assaggiare numerosi grandissimi vini, due dei tre vini di cui azzardo  qualche provengono proprio da quella degustazione.

Comincerò dal  Maranges rouge La rue des Pierres della talentuosa Elodie Roy, che, dopo 11 anni spesi nel Domaine Anne Gros, ha fatto ritorno a casa per occuparsi di una decina di ettari di  vigna della sua famiglia. Raramente mi è capitato di assaggiare un Maranges Villages così fresco e succoso, golosamente carnoso, tale da poter essere confuso con altri di appellations più conosciute della Côte de Beaune, provenendo peraltro da un terroir dell’estremità sud in un’annata calda e secca come la 2022.

Al vertice opposto della gerarchia della nobiltà borgognona spicca lo Chapelle-Chambertin di Cécile Tremblay: proveniente dalla sua parcella di En Gémeaux, il più piccolo dei due lieux-dits  che lo costituiscono, situato più a nord, verso Mazis. Ancora leggermente austero di gioventù,  esibisce un aroma di frutti rossi, violette e delicate note speziate, una mineralità finissima, grandi profondità e lunghezza e notevole eleganza . Raggiungerà il suo vertice tra una quindicina d’anni.

L’ultimo vino che voglio menzionare proviene dalla generalmente trascurata Côte Chalonnaise,  lo  Champs Martins rouge del Domaine Bruno  Lorenzon, Premier cru di Mercurey  (molto valido anche  il bianco proveniente  dallo stesso climat):  un  Mercurey davvero  lussuoso, per densità, intensità e profondità, buonissimo già  oggi, bandiera del Domaine di Lorenzon, un vero perfezionista entusiasta del suo lavoro.

In definitiva, pur se in un quadro più incerto  per il  calo dei consumi interni, la frenata dei mercati internazionali specie quelli asiatici, le incertezze derivanti dai cambiamenti climatici e l’impennata  dei prezzi (forse provvidenzialmente un po’  rallentata nel corso dell’ultimo anno) si è trattato di una bellissima festa, magnificamente organizzata , anche se con alcuni dettagli minori forse migliorabili. Comunque, oltre a un ventaglio molto esteso (6000 circa) di vini dell’annata 2022 è stato possibile assaggiare anche alcune cuvée ultra-decennali che hanno mostrato l’alto livello di qualità e la longevità dei vini borgognoni. Cito a braccio un St. Aubin Premier Cru En Remilly 2014 dello specialista Hubert Lamy e un impressionante Pouilly-Fuissé Vers Cras 2005 in doppia magnum dello Château de Beauregard.

Proprio non so come, nonostante i ritmi serratissimi, siamo riusciti anche a visitare alcuni nuovi Domaines  emergenti a Chablis e in Côte de Beaune.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


LEGGI ANCHE