I grandi bianchi campani “dell’anno dopo”4 min read

E’ ufficiale: la Campania, per quanto riguarda i vini bianchi, verrà chiamata “la terra dell’anno dopo”.

Praticamente ho partecipato a Campania Stories sin dalla prima edizione, sono molti  anni che giro per queste terre e la regola è sempre più la stessa: se vuoi provare a capire le reali potenzialità di un bianco devi aspettare almeno un anno.

Questa è una regola aurea da cui non si scappa e che anche quest’anno, assaggiandoli, si è confermata.

Volete comunque sapere come è stata la vendemmia campana  “in bianco”  del 2017? Adesso può sembrare abbastanza calda e non molto profonda, ma state sicuri che tra un anno i vini che  assaggeremo a Campania Stories 2019 presenteranno la 2017 ad un livello molto più alto.

Questo non solo per quanto riguarda i pluriblasonati Fiano di Avellino e Greco di Tufo ma il discorso coinvolge i bianchi campani a 360°, praticamente senza eccezioni. Il bello è che, con poche esclusioni,  possiamo dire che continuano a migliorare anche dopo 2-3-4  anni. Dopo quattro anni si incomincia a diradare il gruppo ma tantissimi Fiano di Avellino e Greco di Tufo nonché un buon numero di bianchi sparsi per la regione (dai Campi Flegrei alla Penisola Sorrentina, dal beneventano al Vesuvio) hanno possibilità di invecchiamento assolutamente insospettabili.

I nostri assaggi a Campania Stories e soprattutto i vini degustati in occasione di varie visite, hanno confermato ampiamente che bere un vino campano bianco di annata è il modo migliore per non goderselo.

Se dio vuole incominciano a capirlo anche i produttori e lo si percepisce dal fatto che a Campania Stories (e quindi a quella che a tutti gli effetti è un’anteprima)  diversi anni fa quasi tutti presentavano il vino dell’ultima  annata, mentre oggi sono più i vini di  2-3 anni che quelli nati da pochi mesi.

A questo proposito ho ancora in mente le meravigliose sensazioni dei Fiano di Avellino 2016-2015-2014 e dei Greco 2016 degustati a Palazzo Caracciolo. Intendiamoci, anche i 2017 di entrambe le denominazioni non erano per niente male, ma quasi sempre rappresentavano un’incompiuta che solo il tempo può portare a compimento. Mentre molti  Fiano di Avellino 2016 avevano un naso espresso, fine ed un palato di grande freschezza sapida e clamorosa potenza: vini quasi infiniti in bocca . I Greco invece avevano la loro classica croccantezza, che unita a nasi forse più complessi del normale, con le  fini note sulfuree  che accompagnavano senza prevaricare, ti invogliavano proprio alla beva.

Passando ad altri vitigni e considerando sia l’ultima annata sia le precedenti voglio sottolineare l’ incredibile sapidità delle Falanghina del Sannio 2017, mentre quelle dei Campi Flegrei si dipanano con una maggiore grassezza e complessità. Dei Pallagrello Bianco ho già scritto qui e così mi rimangono da citare la fine complessità di alcuni vini vesuviani, il corpo vibrante dei pochi prodotti degustati della zona amalfitana e la leggera delusione dei vini cilentani.

Anche se le nostre degustazioni ufficiali non saranno pubblicate  prima di qualche mese mi sembra giusto citare qualche nome che, dal punto di vista puramente personale, mi ha colpito. Ma qui non posso fare solo tre nomi, devo giocoforza dare spazio alle tante eccellenze degustate, anche se  in una veloce carrellata.

Allora parto dai Fiano di Avellino  (del 2016-2015-2014) e  dal mio caro amico Pasqualino Di Prisco, per poi passare a I Favati, Tenuta Sarno, Pietracupa, Vigne Guadagno, Ciro Picariello, senza scordarsi di Feudi di San Gregorio. Passando ai Greco del 2016 torna Di Prisco e poi Di marzo, Pietracupa, Sertura e  Cantina dell’Angelo.

Tra i Fiano d’Avellino dell’ultima annata segnalo invece  Cantina del Barone  e Colli di Lapio, Petilia e Tenuta del Meriggio tra i Greco di Tufo.

Come vedete grandi nomi accanto a giovani realtà per un’ irpina che non può più nascondersi dietro incomprensioni e antipatie, ma deve lavorare unita per comunicare al mondo una semplice realtà : quella di essere tra le tre zone ( il podio decidetelo voi)  bianchiste più importanti d’Italia, anche e soprattutto per il rapporto qualità/prezzo.

Ma oltre ai bianchi Irpini occorre citare la grande sicurezza qualitativa dei vini vesuviani di Sorrentino,  la spregiudicata, sapida freschezza della Falanghina di Capolino Perlingieri e la conferma di nomi come Astroni e La Sibilla.

In attesa di parlarvi dei rossi bisogna intanto dire grazie a Campania Stories, una manifestazione indispensabile per toccare con mano la realtà enologica campana.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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