Una giornata con il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro4 min read

Da lontano vedo  il castello della Disney: naturalmente non è lui ma il centro storico di Castelvetro gli assomiglia in maniera incredibile. Questa è stata la prima sorpresa di una giornata immerso nel Lambrusco Grasparossa di Castelvetro.

Essendo  in zona  Castelvetro per partecipare ad un dibattito sul Lambrusco ho pensato bene di farmi un giro  tra alcuni produttori di grasparossa , per cercare di capire qualcosa su quest’ uva e su questo vino.

Partiamo dall’ abc:  si chiama grasparossa a causa del raspo, che diventa rosso a maturazione (non sempre, come potrete vedere nel filmato qua sotto).

Ma anche le foglie, in ottobre assumono lo stesso colore; un rosso vivo che marca in maniera meravigliosa le colline. Perché siamo in collina e i produttori che ho visitato hanno le vigne sui primi timidi crinali che portano verso l’Appenino Emiliano.

Ma il mondo del Grasparossa è diviso in due, da una parte quello piantato in pianura e dall’altra quello  di collina. La differenza è sostanziale ed è uno dei problemi veri di questa denominazione: se in collina si raccolgono, ad esagerare (quindi non in annate come il 2017) 90 quintali ad ettaro, in pianura di può arrivare tranquillamente a 200 e passa (il disciplinare prevede 180 q.li ma c’è sempre il 20%  “nelle annate migliori” da sommare ai 180, arrivando così a quasi 220).

Non c’è bisogno nemmeno di fare due calcoli per capire che i prezzi di produzione (e quindi di vendita) in pianura sono nettamente inferiori a quelli collinari e marcano fortemente il mercato, rendendo molto difficile far capire che un buon grasparossa di collina non può costare quanto uno di pianura. Purtroppo su tutti e due è scritto Grasparossa di Castelvetro DOC  e quindi i produttori di collina devono fare i conti tutti i giorni con questo peso.

Ognuno reagisce a modo suo ma fondamentalmente  tutti puntano sulla qualità per sopperire alla mancanza di quantità . Le tre cantine che ho visitato, Fattoria Moretto,  La Piana e Tenuta Pederzana hanno scelto strade diverse per produrre qualità ,ma ognuna, secondo me, ha centrato l’obiettivo.

Fabio  e Fausto Altariva, che gestiscono l’azienda di famiglia da diversi anni, hanno deciso che Fattoria Moretto deve produrre solo Lambrusco Grasparossa, con metodo charmat più o meno lungo, e puntano moltissimo sui vari terreni e vitigni che compongono l’azienda. Il risultato  sono dei Grasparossa di Castelvetro di grandissimo carattere: potenti ma anche freschi, profumatissimi, delle vere fuoriserie dal coloro porpora brillante e dai profumi che vanno dalla fragola a tutto il bosco che la circonda. Non per niente anche quest’anno hanno ottenuto il punteggio più alto nei nostri assaggi.

Del resto il Grasparossa di Castelvetro è un lambrusco che, in campo lirico, potrebbe essere paragonato al “quasi concittadino” Pavarotti per ampiezza, peso in bocca e struttura “tenorile”, mentre invece un Sorbara è più una Callas, finissimo, quasi magro, ma con timbri da sogno.

Ma, potenza tenorile a parte, il Grasparossa è anche un vitigno molto duttile: me ne sono accorto con le altre due cantine. Assaggiando i vini di Mirco Gianaroli che alla Fattoria La Piana ha scelto di vinificare, oltre al classico lambrusco, il grasparossa sia in rosato, sia con rifermentazione  in bottiglia più o meno secco, ho scoperto che nascono declinazioni che del Grasparossa originale hanno solo un sanguigno ricordo ma che niente hanno da invidiare a tanti spumanti italiani. Provate il “Noi due” e ve ne renderete conto.

Ma se il Grasparossa va bene per fare ottimi spumanti va bene anche per fare un “simil amarone”: l’ho toccato con mano da Tenuta Pederzana, Dove Francesco GIbellini, di chiare origini venete ,oltre a del lambrusco grasparossa di solare maturità produce un vino fermo da uve grasparossa appassite che  ricorda il vino veronese, ma se ne differenzia per  maggiore rotondità e bonaria concentrazione. Sempre di un vino strutturatissimo si tratta, ma l’approccio  alcolico è meno marcato, la potenza tannica più omogenea e filante, l’equilibrio (dato che viene prodotto solo in poche annate) sempre sotto controllo.

Insomma, se il mondo del lambrusco è sicuramente una realtà fatta da tanti lambruschi, anche nel territorio del Grasparossa di Castelvetro si può parlare di diversi lambruschi che, pur avendo comun denominatore, viaggiano su spartiti diversi, senza però stonare.

Se devo dichiararmi io sono per la concreta, fresca grassezza del “modello classico”, ma ammetto con piacere che non esiste solo la musica classica.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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