Frammenti di gioia3 min read

“In Puglia d’estate tutti i mattini sembrano essere i primi del mondo e tutti i crepuscoli sembrano essere gli ultimi

 

A Volte mi manchi così tanto che credo di non farcela. Poi ce la faccio, però mi manchi lo stesso. [Charles Bukowski]

 

Nei tempi dilatati delle mie estati pugliesi, il parco giochi era l’antica fattoria di Ciccio Falcone, mio nonno, classe 1922, un uomo dal fascino ombroso, con gli occhi di Paul Newman, il portamento di un giovane Marlon Brando e le mani gigantesche di George Foreman. Ci veniva facile rispettarlo.

Masseria Romano era di classico stile baronale, bianca, bassa e squadrata, con un’immensa corte su cui si affacciavano le case, le stalle, il pollaio e i locali da lavoro, ben protetta da un  muro di tufi gialli e porosi. Da qualche anno è stata trasformata in un maneggio.

Stava sulla malconcia provinciale – quasi una mulattiera – che collega Gioia del Colle a Matera passando per il vecchio e ormai disabitato lebbrosario, in fondo a un’arida carraia pietrosa, in un lacerto di Murgia carsica ignoto ai forestieri e poco battuto perfino dai locali.

A quei tempi le frisone pascolavano lentamente su terre sconnesse, pietrose e sinistre: ne avvertivi la presenza solo per il battacchio che scuoteva il bronzino, soprattutto quando il toro le montava.  La musica era di grilli e campanacci, e l’odore dell’aria mischiava letame bovino al fieno imballato nei campi mietuti.

Di giorno giocavamo a pallone e a nascondino, in tre quattro mai di più, tutti cugini pacifici tranne me, farabutto e attaccabrighe. La nostra siesta si consumava all’ombra di ulivi tozzi e nodosi, ingurgitando fioroni scuri e dolcissimi contesi agli uccelli, e per compensare grappoli di aleatico ancora crudi raccolti con la grazia di un cinghiale da viti basse e spettinate.

Intorno alle sei del pomeriggio si alzava la tramontanata che asciugava il sangue delle nostra ginocchia scorticate sull’aia rocciosa: era l’ora della seconda mungitura. L’ingresso nella stalla, che puzzava di ammoniaca, era certamente traumatico ma presto l’assuefazione ci lasciava godere della maestria con cui i nonni strizzavano i capezzoli di Giada, Carolina, Camilla e delle altre vigorosissime vicine di mangiatoia. Un rito imperdibile.

Altrettanto divertente era allattare i vitellini, che abitavano la porzione di stalla più prossima al fienile. Affamati, succhiavano il miscuglio di latte in polvere e acqua attraverso un ciuccio gigante immerso in un grande secchio di acciaio: il loro musello chino nel liquido bianco e i loro occhi grandi e vivaci li ricordo perfettamente, come pure il fastidio che provavo (e chissà le povere bestie!) per tutte quelle mosche giganti e rumorose che ne coprivano il mantello, oppure per l’agitata combriccola di topolini che ogni volta spuntava dal letto di paglia sporco di merda.

Al tramonto il nostro aperitivo erano gli enormi pomodori – gravidi di una polpa succosissima – rubati nell’orto ben custodito dalla nonna: un gusto d’inarrivabile solarità mediterranea per cui valeva la pena pungersi con le spine dei fichidindia posti a guardia di quel recinto d’insalate e legumi, il primo “Clos” della mia vita, ma più blindato di tanti celebri Cru di Borgogna e Champagne.

A cena la pietanza principale era a base di carne (il coniglio in umido, le polpette al sugo, il pollo allo spiedo), qualche volta si festeggiava con una panzerottata e di tanto in tanto ci scappava pure un goccio di vino, primitivo in tutti i sensi, nerastro e grossolano, per noi mocciosi un vero e proprio sedativo.

Crollavamo esausti entro le dieci di sera, con le stelle basse, la bava alla bocca e la felicità nei quattro angoli del cuore.

 

 

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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