Federico Giuntini, Selvapiana: “Nell’arco di pochi anni si son chieste alla vigna cose molto diverse.”15 min read

Per le nostre “interviste al contrario” abbiamo degustato alcuni vini di Selvapiana e poi fatto una lunga chiacchierata con Federico Giuntini su bottiglie leggere, cambiamenti in vigna e in cantina, denominazioni, ruolo del produttore, futuro della Rufina e naturalmente sui vini degustati.

“Questa intervista inizia da un numero: 380. Sai a cosa mi riferisco?”

Non ne ho la più pallida idea!”

“380 grammi è il peso della tua bottiglia per il Chianti Rufina.”

“E’ la bordolese più leggera in commercio. Da sempre noi abbiamo usato quella che viene definita “Bordolese standard” che è anche la più leggera. Onestamente in passato l’abbiamo fatto perché costava meno delle altre.”

“Anche se costa meno hai mai avuto problemi di rotture?”

“Mai!”

“Quindi quando viene detto che le bottiglie leggere non sono resistenti si dice una cosa sbagliata.”

“Posso dire che sono un po’ più brutte specie da quando, negli anni ’80, è venuta la voglia generalizzata della bottiglia pesante. Noi una un po’ più pesante l’usiamo per la Riserva Bucerchiale.”

“L’ho pesata ed è 510 grammi. Mi fa molto piacere usiate bottiglie leggere.”

“E’ una battaglia molto giusta e sta diventando sempre più sentita. Anche per i tender all’estero ormai è importante avere bottiglie leggere, specie per la Scandinavia.”

“Una curiosità: cosa rappresenta lo stemma che c’è sulla bottiglia del Bucerchiale?”

“Lo stemma della famiglia Giuntini: tre rose con una corona.”

“L’etichetta del Chianti Rufina rappresenta un paesaggio che potrei definire agreste e bucolico, mentre sulla Riserva  c’è uno stemma nobiliare. E’ per dare “un colpo al cerchio e uno alla botte2, come si dice dalle nostre parti, per dare più importanza alla riserva, o cosa?”

“La storia dell’etichetta del Bucerchiale è molto semplice. Quando nel 1979 Francesco Giuntini uscì con la prima annata, invece di fare una nuova etichetta scrisse semplicemente su quella storica (che adesso è sul Chianti Rufina) “Vigneto Bucerchiale”. Il nostro importatore americano, Armando De Ram, ci disse che con una semplice scritta in più non riusciva a giustificare un prezzo più alto. Ci vollero diversi anni perché ci convincessimo e alla fine nel 1985 fu proprio Armando De Ram che fece fare quest’etichetta nuova per cominciare a presentare seriamente il Bucerchiale negli Stati Uniti.”

Federico Giuntini con i figli

“Per il Chianti Rufina usi il Diam 5, per Bucerchiale un naturale di 5 cm. Il Diam 5 lo usi perché pensi che il tuo Chianti Rufina possa invecchiare solo per 5 anni?”

“Assolutamente no! Il Diam 10 chiude troppo  il vino e quindi uso il 5 per evitare riduzioni. Del resto il Chianti Rufina è un vino che andrebbe bevuto fresco, nei primi 5-6 anni di vita, anche se abbiamo capito che ha una durata media di almeno 15 anni, tanto che abbiamo iniziato a mettere da parte non solo Bucerchiale ma anche bottiglie del Chianti Rufina d’annata. La scelta del Diam è nata perché non potevamo permetterci un tappo naturale di alta qualità su una bottiglia che trovi sugli scaffali di un’enoteca sui 10-12 Euro. L’Ideale sarebbe poter usare lo Stelvin ma purtroppo possiamo farlo solo per il mercato Inglese.”

“Hai visto differenze sul Chianti Rufina annata tra Diam, Stelvin e tappo naturale?”

“Si: i Diam sono tutti uguali ma non sono  tappi che garantiscono la massima espressione del vino. Anche con il tappi a vite i vini sono tutti uguali ma rimangono un po’ più freschi nel tempo, mentre Il naturale ha degli alti e bassi tra bottiglia e bottiglia, specie dopo qualche anno. Se apri 12 bottiglie non dico siano 12 vini diversi ma ci sono delle diversità abbastanza nette, specie se compri sugheri economici.  Sul Bucerchiale invece riusciamo a permetterci un tappo naturale di grande qualità e il discorso è diverso.”

“I produttori del Verdicchio di Matelica hanno chiesto di togliere il termine “Verdicchio” dalla Doc.  Voi, che avete uno dei nomi più conosciuti ma che più identificano vini a basso prezzo, cioè Chianti, non c’avete pensato?”

“La prima volta che ho sentito parlare di togliere il nome Chianti fu durante una visita di Luigi Veronelli a Selvapiana nel 1985. Ci penso costantemente da allora, anche se in quegli anni era praticamente un tabù, una cosa di cui non si poteva parlarne in pubblico. Oggi ne possiamo parlare in pubblico ma i tempi non sono maturi, però credo che le nuove generazioni ce l’abbiano nel DNA. Non so se lo vedrò con i miei occhi ma le future generazioni lavoreranno sicuramente per questo.”

“Dopotutto siete una sottozona, a livello di disciplinare…”

“Già il termine sottozona mi fa venire l’orticaria. In realtà la Rufina è una zona con identità e dignità propria. Essere gestiti da una delle più grosse denominazioni d’Italia, che ha tutte altre dinamiche,  non ha senso. Non è la nostra partita e non dovrebbe esserlo. Ripeto, ho molta fiducia nelle nuove generazioni che si stanno affacciando nelle varie aziende del territorio.

“Una pubblicità  di qualche anno fa recitava “Rufina,il più alto dei Chianti” ma Selvapiana non è molto alta . A quanti metri sono i vigneti?”

“Siamo nella fascia mediana della denominazione, tra i 250 e i 350 metri. Abbiamo da poco 4 ettari sui 400 metri e il Vigneto Erchi che è sui 200 metri, ma la stragrande maggioranza è in questa fascia. Le vigne della Rufina non sono molto alte ma siamo la zona più a nord, anche se ci sono cantine  che hanno vigneti sopra ai 450 metri e oltre.”

“Quante bottiglie vengono fatte?

“Non si arriva nemmeno a  3 milioni. Siamo a malapena il 4% del Chianti e se poi consideri che di questi 3 milioni  ben  1.2 viene fatto da una sola cantina (Frescobaldi n.d.r.), puoi capire bene le nostre dimensioni reali.”

“E voi quante bottiglie fate?”

“A seconda dell’annata dalle 280.00 a 320.000.”

“Brevemente, quanti e come sono i tuoi vigneti.”

“Abbiamo 70 ettari di vigna ed erano 25 quando iniziai a lavorare con Francesco Giuntini nei primissimi anni ‘90. Ci sono due gruppi di impianti: i primi a 2.40 x 0.80 con 5400 piante per ettaro, poi una seconda generazione a 2.00 x 0.80. Le marze arrivano sia per selezione massale dal vigneto Bucerchiale, sia dai cloni del professor Scienza sia da cloni di Guillame derivati dalle sperimentazione del Chianti Classico 2000. Coltivazione biologica dal 1992. Per quanto riguarda le forme d’impianto noi avevamo impostato tutto a cordone speronato ma le ultime vigne  le abbiamo messe a guyot e anche alcune delle vecchie vigne degli anni Novanta le stiamo reimpostando a guyot. E’ interessante come nel giro di una carriera breve come la mia, circa 30 anni siamo passati da chiedere alle vigne concentrazione, maturazione precoce e alcol a volere rallentamento della maturazione, vini più eleganti e acidità più alte: però le vigne sono le stesse…”

“Indubbiamente dei bei cambiamenti.”

“Da stressarle per produrre meno con inerbimenti anche estivi, scarse concimazioni e diradamenti,siamo andati all’opposto: cerchiamo di avere un grappolo in più, vendemmiare non ai primi di settembre come nei primi anni 2000 ma almeno a fine settembre, con terreni quasi sempre lavorati.”

“Cosa è cambiato, dal punto di vista analitico, cioè alcol, pH e acidità,  nei tuoi vini da quando sei in azienda  ad oggi?”

“Abbiamo alcol più alti, acidità più basse e i pH sono un po’ più alti”

“Credi che un sangiovese  importante debba giocare più sulla potenza tannica, sull’acidità, oppure avere un po’  meno di tutto ma più equilibrio.”

“Come nella vita l’equilibrio è quello che conta.”

“Questo per quanto riguarda la vigna, ma in cantina cosa è cambiato?”

“Prima ti dico che ’unica cosa  mai cambiata a Selvapiana dal 1978 a oggi è Franco Bernabei! Lui è il punto fermo. Pensa che sono cambiati 4-5 cantinieri, Francesco Giuntini è in pensione io ho già fatto trent’anni in azienda e da qualche tempo è entrato anche mio figlio Niccolò, abbiamo piantato nuove vigne etc . ma l’unica costante è Franco Bernabei, che ci segue da più di quarant’anni.”

E andando oltre Franco?”

“La prima cosa, partendo dagli anni novanta, fu l’introduzione delle vasche in acciaio, poi della temperatura controllata e  iniziammo a fare macerazioni più lunghe. Più tardi abbiamo inserito il banco di cernita, poi abbiamo reinserito le nostre vasche in cemento (più di 1000 ettolitri, n.d.r.) che erano state abbandonate a fine anni Ottanta e che ora utilizziamo sia per la vinificazione che per la maturazione del Chianti Rufina. Fondamentalmente  la cantina non è più la stessa perché c’è molta più attenzione, pulizia, analisi continue. In particolare da quando è entrato Niccolò il vino è sotto controllo costante tutto l’anno.”

“Da quando raccogliete a quando il vino va in legno o in cemento per l’affinamento, cosa fate in cantina?”

“Iniziamo a fare campionamenti ai primi di agosto e poi  cerchiamo di raccogliere vigna per vigna al giusto punto di maturazione per il vino che vogliamo fare. Raccogliamo manualmente  in cassette o manualmente col carrello o anche con la vendemmiatrice. Banco di cernita e poi una diraspatrice di nuova generazione che è quasi offensivo chiamare diraspatrice perché è quasi un selettore ottico. Macerazioni lunghe, non aggiungiamo lieviti ma solo la solforosa che serve.”

“Raspi?”

“Raspi niente ma chicco intero grazie alla “diraspatrice” che dicevo prima.”

“Fermentazioni?”

“Fermentazioni lunghe con permanenza sulle bucce. Con il Chianti Rufina arriviamo a 20-25 giorni, per il  Bucerchiale a 25-30. Come temperature di fermentazione mediamente andiamo dai 25° ai 28°. Si svina, poi una parte va in legno e fa malolattica in legno, il resto la fa in acciaio o in cemento.”

“Iniziamo a parlare dei vini partendo dal Chianti Rufina 2019. Sull’etichetta c’è scritto che ci sono altre uve oltre al sangiovese, cosa ?

“Nemmeno un 5% tra canaiolo, colorino e malvasia nera.”

“Il tuo Chianti è un rubino brillante ma non certo impenetrabile o porpora iperconcentrato come se ne vedono molti. Secondo te qual è il colore del sangiovese ?”

“Per me è un rubino brillante ma leggermente scarico. Durante la vinificazione si estrae molto ma poi non “gli rimane addosso”, specie per quanto riguarda il Chianti Rufina. Per me il colore è comunque molto simile a quello di un pinot nero giovane.”

“Assaggiando il vino e trovando al naso una marea di frutta di bosco, di lampone e mirtillo, ma anche un po’  pepe, ho pensato a dei lieviti selezionati ma tu mi hai sempre detto che non ne usate. Indubbiamente  è un vino con una presenza aromatica importante. Merito vostro o dell’annata?”

“Soprattutto Madre Natura! Considera comunque che la 2019 è una grandissima vendemmia. Anche se noi produttori diciamo che sono tutte buone ce ne sono alcune che chiaramente sono superiori. Per ritrovare un’altra vendemmia come la 2019 devo tornare indietro al 1999 o al 1985.”

“Nessuna annata degli anni 2000 metti al livello della 2019?”

“Forse la 2009, forse.”

“Sempre per quanto riguarda la 2019 questa freschezza e quest’equilibrio sia tannico che generale è più merito della mano o dell’annata.”

“Mi viene da dire tutte e due!”

“E allora ti faccio un’altra domanda: quanto conta la mano del produttore per fare un vino?”

“Conta tantissimo, altrimenti noi che stiamo li a fare, i passacarte? Conta avere delle belle vigne ma conta tanto anche essere bravi in cantina e avere l’idea di dove si vuole arrivare. Almeno un 40% minimo la mano in cantina conta. Nelle annate difficili poi è veramente fondamentale.”

“Per  ogni vino degustato ho fatto un giochetto. Visto che Selvapiana è famosa per la longevità dei suoi vini mi sono divertito a quantificare per ogni vino il periodo in cui, per me,  rimarrà al top: non quanto dura ma il periodo in cui sarà più godibile. Tu per il Chianti Rufina 2019 quanto prevedi?”

“6-7 anni.”

“Io sono stato più ottimista perché ho messo 7-10 anni. Andiamo avanti e passiamo ai Bucerchiale. 2012, 2013, il 2014 non l’hai fatto, 2015, 2016 e 2017.Prima di vederli annata per annata ti volevo comunicare una sensazione e capire se c’ho azzeccato o meno. Col 2015 è cambiato qualcosa, forse  in cantina, perché mi sembra che il 2012 e il 2013 siano vini figli di un’idea diversa di Chianti Rufina. Se fossero montagne ci sarebbero grandi picchi tannici o alcolici “isolati”, mentre dal 2015 si trovano meno picchi ma una catena montuosa più importante tutta attorno, insomma vini con tannini più fitti ma meno spigolosi.”

“Dal 2015 abbiamo vini più equilibrati. Un cambio importante è stato abbandonare l’affinamento solo in barrique e dal 2015 siamo passati ad un 60/70% di botte grande e il resto barrique. Inoltre in vigna si cerca di puntare in maniera più decisa all’equilibrio.”

“A proposito, voi sfogliate?”

“L’ultima volta che abbiamo sfogliato è stato nel 2014.”

“Quindi prima lo facevi?”

“Lo facevamo solo nelle annate piovose. Oggi lo facciamo in prevendemmia per facilitar la ma normalmente non si sfoglia più.”

“Te lo chiedo perché oramai ci sono tante cantine che sfogliano a giugno.”

“A meno che non ci siano problemi sanitari noi cerchiamo di tenere l’uva abbastanza nascosta.”

“Il Bucerchiale 2012 non aveva un grande tappo. Era un’annata calda e nel vino si sente, con una bella maturità. C’ è una cosa interessante però: all’inizio ti dava queste sensazioni calde e un po’ ruvide, con un tannino importante,  ma mano a mano che rimaneva nel bicchiere il vino si distendeva e cambiava in meglio. Tu come la vedi?”

“E’ la stessa sensazione che ho avuto in due-tre degustazioni che ho fatto nel 2012.”

“Durata del vino ai massimi livelli?”

“5-8 anni.”

“Giochi sempre in difesa. Io ho messo 7-10. Una domanda difficile prima di parlare del Bucerchiale 2013. Quale ti piace di più tra i Bucerchiale che mi hai mandato?”

“La 2013.”

“Anche a me! E veniamo a parlare di quest’annata. Nel  taccuino mi sono annotato tante belle cose: naso fresco, balsamico con erbe officinali, lieve frutto, buon legno e comincia ad uscire un bel profumo di  terra bagnata, fungo e tartufo. Bella complessità aromatica. In bocca pieno, fresco, dinamico, ampio, persistente con bella chiusura dove alcol non si sente: vino adesso molto buono ma con margini di miglioramento. Però mi ha dato l’idea di essere l’ultimo della sua stirpe, cioè essere un vino fatto con concetti e filosofie  diverse rispetto ad oggi.”

“Sono poche le annate dove concentrazione ed eleganza sono andate di pari passo, la 2013 è una di queste. Inoltre ha una grande freschezza.”

“Durata?”

“15-20 anni. Una delle poche annate su cui mi sbilancio senza problemi. Per fortuna ne abbiamo messe da parte quasi 2000 bottiglie.”

“Io sono arrivato addirittura a 25-30 anni. Arriviamo al 2015, un’annata che a me piace molto perché la trovo più abbordabile ma con la sua bella importanza.  Al naso  ho sentito tante spezie e tanta frutta. Il tannino è dolce e fitto: magari non è di spalla larga ma è comunque di buona ampiezza. Tu come lo vedi?”

“E’ stata un’annata non facile tra caldo e piogge. In campagna ci ha fatto tribolare. E’ una delle annate in cui siamo riusciti a fargli fare tanta bottiglia prima di metterlo in commercio e lui ne aveva bisogno. Comunque è un vino che ha sia tannini che dolcezza. Se gli vuoi trovare un difettino gli manca forse un po’ di freschezza rispetto alla 2013 e alla 2016.”

“Durata?”

“15 anni senza problemi.”

“Siamo vicini:  ho scritto 15-20. Arriviamo alla 2016 che all’inizio era un po’ chiuso, un po’ ombroso. si apriva  con parsimonia, ma si apriva:  frutto di bosco, anche alcol, buon legno. In bocca sapido, pieno, tannini fitti  e belli dolci, potente e lunghissimo.  Rispetto al 2015 ha una larghezza e una profondità maggiore  un tannino vivo, austero “che aggrappa”.

“Indubbiamente il 2016 ha un tannino di qualità, molto vivo e che si percepisce bene.”

“Durata?”

“Indubbiamente 20-25 anni.”

“Io addirittura ho messo 30-35 anni, pensa un po’… Il 2017 ti confesso che non mi ha convinto molto.”

“Delle annate che hai assaggiato è la meno felice.”

“All’inizio era molto chiuso  e c’è voluto del tempo per farlo aprire su note prima di sottobosco e poi di frutta rossa. Tannino fittissimo e adesso asciugante ma non ci trovo quella dinamicità del 2016 e neanche la “piaciosità”  della 2015”

“Annata complessa e difficile. Intanto abbiamo prodotto la metà del normale e comunque è stata un’annata calda e forse il bello di questo vino è che tutto questo caldo non lo senti. Io attribuisco il merito alla nuova diraspatrice, mentre mio figlio Niccolò  si prende il merito dicendo che in cantina sono stati molto bravi. Ripeto che la bellezza di questa vendemmia rispetto ad altre annate calde come il 2000 e il 2012 è che non senti le conseguenze di un’annata dove si sono avute temperature mai viste in zona.”

“Durata?”

“15 anni senza problemi, perché il bello di questo vino è che ha 15.15 di alcol, 5.55 di acidità e 3.48di pH, quindi non ha l’acidità bassa delle vendemmie calde.”

“Anche io la penso come te e ho scritto  15-18 anni. Arriviamo al Vigneto Erchi 2017, che mi ha fatto una sensazione particolare, quella di mettere in bocca un vino fatto come qualche Bucerchiale di 10-15 anni fa, cioè un vino più compresso, dove il legno svolge un ruolo più importante, con una ruvidità tannica quasi cercata.”

“Non abbiamo ancora le idee chiare su Erchi. La vigna ci piace molto, ha un terreno con tanto ferro e calcare e non è molto alta. Dal punto di vista enologico si inizia a capire ora e abbiamo bisogno di altre due-tre vendemmie per metterlo a punto. Sicuramente la 2018, per esempio, sarà diversa. Per noi dovrebbe essere comunque un vino diverso dal Bucerchiale .”

“Se tu dovessi vendermi li vino che differenze marcheresti rispetto al Bucerchiale.”

“Erchi è un sangiovese tipo Castelnuovo Berardenga, più caldo e più ricco anche se è stato vinificato praticamente allo stesso modo dell’altro. Il vino stenta un po’ ad aprirsi: il 2016 infatti ha cominciato a concedersi dopo più di un anno di bottiglia e credo che il 2017 farà lo stesso. Ne facciamo per adesso nemmeno 4000 bottiglie.”

“Siamo arrivati alla fine, hai qualcosa da dire?”

“Non saprei, magari mi piacerebbe, prima di morire,  vedere sulle etichette dei nostri vini scritto “ Rufina” e non Chianti Rufina.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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