Quella volta in cui hai consolato un’amica con un Barolo Chinato…
“Era uno di quei rari momenti in cui riesco a dedicare del tempo alla vita privata. Ero appena rientrata da un viaggio in Asia, stanchissima, ma la mia migliore amica era tornata ad Alba per una delusione d’amore. Non potevo non esserci. Ci siamo ritrovate nel nostro salotto di sempre e, sapendo che serviva qualcosa di forte ma anche simbolico, ho preso una bottiglia di Barolo Chinato dal frigo: un rimedio miracoloso per i malanni, ma anche per i cuori spezzati. È servito a ribadire che certi ‘cretini’ restano tali, mentre le vere amicizie restano una certezza.”
Inizia così la chiacchierata con Federica Boffa, oggi front woman di Pio Cesare, storica cantina piemontese. Data la freschezza del suo percepire il mondo del vino, seppur, come racconta, elemento da sempre nel suo DNA, abbiamo indagato se davvero la comunicazione del vino tanto sotto accusa in questo periodo, ha contribuito alla crisi del settore. La risposta che emerge è negativa, perché anche tra gli under 30, racconta Boffa, c’è chi vuole sapere qualcosa in più, aggiungendo il desiderio di conoscere il ‘dietro le quinte’ delle persone che immaginano un vino molto prima di vendemmiarlo e portarlo nel calice.
WineSurf – Da giovane consumatrice, qual è la tua visione del mondo del vino?
Federica Boffa – “La mia è una visione molto privilegiata sul mondo del vino. Non mi ritengo una giovane consumatrice da poter utilizzare come ‘campione’ esemplificativo, in quanto sono nata e cresciuta in una zona vitivinicola molto fortunata e sono stata cresciuta a ‘pane e vino’. C’è una bellissima foto del mio battesimo che mi ritrae nelle braccia di mia mamma mentre mio papà mi bagna le labbra con il Barolo. Il vino scorre quindi nelle mie vene da sempre ed è diventato un elemento imprescindibile della mia vita, non solo come lavoro ma anche come grande passione. Nella nostra regione, la maggior parte dei giovani con cui mi confronto condivide questo amore, siano essi produttori o semplici appassionati: ci si ritrova spesso intorno a una tavola apparecchiata con calici scelti con cura, perché anche l’occhio vuole la sua parte.”
WS – Parlando con i giovani (under 35), qualcosa va cambiato per mantenere appeal nel panorama del drinking?
FB – “Sicuramente va modificata la comunicazione. I giovani cercano informazioni semplici e autentiche, che li aiutino a comprendere e avvicinarsi a un mondo spesso percepito come complesso e lontano. Parlare di sesti d’impianto o PH può risultare respingente. Meglio puntare sul racconto: storie familiari, paesaggi, esperienze turistiche, aneddoti, e soprattutto suggerimenti gastronomici. Il vino non è un superalcolico: è cultura, è convivialità, è emozione condivisa.”

WS – La vostra azienda ha una storia importante: quando questo rappresenta un punto di forza e quando invece un limite?
FB – “La nostra lunga storia ci ha sempre garantito un vantaggio competitivo: è la nostra unicità. Visitare personalmente tutti i nostri mercati (oggi quasi 50 Paesi) senza intermediari, è il modo più diretto per trasmettere che dietro a ogni bottiglia c’è una famiglia. Ma essere storici implica anche una grande responsabilità: rappresentare un territorio, difendere un’identità. A volte veniamo percepiti come ‘polverosi’, troppo classici. In realtà siamo sempre stati pionieri. Il nostro Chardonnay Piodilei, uno dei primi in Piemonte, ne è la prova. Come anche l’attenzione ai cru o ai single vineyards, nonostante la nostra vocazione all’assemblaggio, che è la vera tradizione. La nostra è una tradizione viva, punto di partenza per innovare.”
WS – Tuo padre, Pio Boffa è scomparso prematuramente nel 2021 lasciando l’azienda a te, tua madre Nicoletta e a tuo cugino Cesare Benvenuto. Nel passaggio generazionale alla nuova visione: cosa mantieni e cosa vuoi cambiare?
FB – “Non è stato un passaggio naturale. Ma ho avuto il privilegio di essere formata direttamente da mio padre, che mi ha coinvolta fin da subito nelle attività commerciali, in vigna, in cantina. È stato un lancio senza paracadute, ma gli sono grata per quella fiducia. Dopo la sua scomparsa, ho capito che era fondamentale salvaguardare il nostro stile, la qualità e il patrimonio umano e viticolo. Ho introdotto maggiore attenzione alla comunicazione, più vicinanza al cliente, un focus sul mercato italiano e sulla valorizzazione delle vecchie annate. Abbiamo avviato un ampliamento della cantina ad Alba per una maggiore efficienza e per dare più spazio anche ai bianchi, come il Timorasso, su cui sto lavorando con entusiasmo. La tecnologia è al servizio dello stile, non il contrario.”
WS – È un settore in cui una giovane donna può trovare davvero spazio e voce?
FB – “Personalmente, ho incontrato persone che hanno creduto in me. Ma non è sempre così. Le donne oggi sono protagoniste nella produzione, nella comunicazione, nella promozione del vino. Eppure capita ancora spesso di non ricevere la carta dei vini a tavola o di essere l’unica donna a eventi e degustazioni. Non basta che le donne siano brillanti: serve anche un pubblico, soprattutto femminile, che le accolga e le sostenga. La strada è aperta, ma c’è ancora da percorrerla.”