Dolcetto d’Alba, Dogliani e Diano: buoni vini ma denominazioni con grossi problemi4 min read

Con un’ampia panoramica sui Dolcetto di Langa (Alba, Diano e Dogliani) iniziamo a pubblicare le nostre degustazioni su questa terra che tanto amiamo. Tra pochissimo pubblicheremo anche i risultati degli assaggi dei Barbaresco 2016 a cui seguirà dopo qualche giorno un focus sulla Barbera d’Alba (2018-2017-2016-2015), chiudendo con i risultati degli assaggi di quasi 200 Barolo 2015.

Per prima cosa dobbiamo dire grazie al Consorzio del Barolo Barbaresco Alba, Langhe e Dogliani, che non solo ha raccolto i campioni , ma ce li ha anche spediti e quando si tratta di far viaggiare tre giganteschi pallet le cose non sono né semplici né a buon mercato. Ai ringraziamenti bisogna aggiungere naturalmente Albeisa ma soprattutto i produttori, che quest’anno hanno aderito in maniera veramente massiccia alla nostra richiesta, riempiendo il nostro magazzino con oltre 550 vini da degustare.

Ma veniamo al dolcetto, un’uva che è sempre meno nel cuore dei produttori di Langa e addirittura anche dove era il primo vitigno, Diano e Dogliani, viene espiantata per fare posto al nebbiolo. Del resto ha fatto (e sta facendo) la stessa fine anche nelle terre del Barolo e del Barbaresco, però sentire da voci autorevoli che anche nelle due denominazioni dolcettistiche, dopo aver perso tragicamente quote di mercato, il vitigno cede spazio al nebbiolo mette tristezza e fa pensare ai molti, troppi, errori che hanno costellato gli ultimi 15-20 anni e che pare abbiano portato anche a “Vendere un ettaro a Barolo per comprare un’azienda con casa, cantina e 7-8 ettari di vigna a Dogliani”.

Errori che adesso portano con certezza a pagare un ottimo Dogliani o Diano sui 9-10 euro in enoteca (Il Dolcetto d’Alba costa più o meno lo stesso ma è il vino da prezzo più basso che c’è in Langa) e che speriamo non “contaminino” anche l’Ovadese, dove si sta cercando una nuova strada per questo particolare vitigno.

I nostri assaggi hanno riguardato quasi 120 Dolcetto, soprattutto d’Alba, ma troverete anche una interessante sezione dedicata ai Dogliani, mentre i pochissimi Diano sono stati messi assieme ai primi. Nelle degustazioni noterete che non li abbiamo divisi per annate, cosa che invece faremo in quest’articolo di commento.

I Dolcetto d’Alba 2018 ci hanno fatto capire due cose.

La prima è che l’annata non è stata certo molto positiva: in diversi casi manca freschezza e in altri un minimo di corpo e di “centro bocca” per poter rendere veramente ammalianti le caratteristiche del vitigno. La seconda è che, per fortuna, molti sono riusciti a lavorare con semplicità, così da ottenere fini freschi, dotati di buon corpo e soprattutto con un corredo aromatico di notevole livello. Corredo che troviamo in tanti vini ma che solo in una parte di questi è accompagnato da un palato di buon livello. Siamo comunque soddisfatti dei risultati e, come vedrete, la stragrande maggioranza dei nostir punteggi “top” vengono da questa vendemmia, che potrete degustare tranquillamente per almeno altri due anni.

I 2017 purtroppo sono stati figli di una vendemmia particolarissima e spesso squilibrata.

Squilibri che sono passati nel bicchiere o dal punto di vista di alcol molto alti o di tannicità presente e poco rotonda. Come sappiamo una delle caratteristiche dell’uva dolcetto è quella di avere tannini pungenti e spesso amari, che nei vini giovani vanno evitati e in quelli più importanti vanno domati. La vendemmia 2017 li ha fatti uscire allo scoperto senza che molti abbiano potuto correre ai ripari, specie perché l’alcol alto non aiuta certo l’equilibrio del vino. Alla fine dei salmi molti produttori hanno messo sul mercato buoni vini ma i 2018, secondo noi, sono più “malleabili” e godibili. A proposito di godibilità, anche i 2017 hanno davanti almeno altri 2 anni agli stessi livelli di adesso.

I Dolcetto d’Alba 2016 in degustazione erano troppo pochi per poter dare un parere, del resto ne abbiamo parlato QUI a suo tempo. Anche i Diano erano troppo pochi per poter dare un parere che comunque è per noi positivo, perché i profumi che esprimono sono sempre, anno dopo anno, molto accattivanti.

Veniamo ai Dogliani.

Per questa tipologia dobbiamo inserire il concetto di ricerca di longevità che cambia un po’ le carte in tavola, specie per la vendemmia 2017, dove gli squilibri (alcolici e tannici) sono stati gestiti nettamente meglio, portando a vini di buona struttura e lineare giovinezza, con un corredo tannico di buon livello. Vini che potranno maturare bene per almeno altri 5-6 anni ma che adesso sono secondo noi al loro top e potranno rimanerci per altri 2-3 anni, perché hanno la possibilità di mostrare al meglio la loro particolarissima e inconfondibile gamma aromatica.

Non per niente il migliore dei nostri assaggi è stato un 2016 e nessun 2018 è entrato tra i top, segno che la denominazione, pur non disprezzando i vini d’annata (a prezzi veramente incredibili, vogliamo ribadirlo!) punta comunque verso prodotti con maggiore potenzialità di invecchiamento, sempre naturalmente a prezzi molto bassi. Qui si gioca la differenza tra il Dogliani e il Dogliani Superiore quest’ultimo vino “croce e delizia” specie per i produttori che ci credono ma che riescono con grande difficoltà a far apprezzare come meriterebbe.

In definitiva i nostri assaggi ci hanno presentato un quadro positivo o molto positivo sul fronte degustativo, che però è una coperta corta e non riesce a nascondere i grossi problemi commerciali e strutturali che ha questo vitigno.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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