Degustazione Trento DOC: molte luci e alcune “ombreggiature”5 min read

Per la prima volta quest’anno ci siamo sentiti in dovere di suddividere in ben quattro parti la nostra degustazione dei Trento Doc, perché oramai i numeri in ballo meritano di essere gestiti con particolare attenzione.

A proposito di numeri, sempre rifacendosi allo studio del Consorzio Vini Trentini riusciamo a farci e a darvi un’idea precisa del reale peso di questa denominazione in forte crescita, che ormai si avvicina ai 12 milioni di bottiglie prodotte e vendute.

Partiamo dalle uve: la stragrande maggioranza di Trento Doc ha lo Chardonnay come prima o unica uva, dato che la seconda utilizzata, il pinot nero, è molto meno piantato in provincia di Trento. Considerate infatti che a fronte del 27% di chardonnay sul totale delle uve prodotte in Trentino,  il pinot nero si ritrova con il 3.9%.

Trentino, vigneti

Abbiamo fatto un veloce calcolo e, in soldoni  tra tutte le etichette di Trento Doc, di pinot nero in purezza ce ne saranno (tra vinificazioni in bianco e rosé) non più di 15-20, mentre i Trento Doc con chardonnay in purezza saranno più  del triplo e i blend tra le due uve più o meno altrettanti: questo  su un numero di etichette che oramai è vicino alle 150, provenienti da quasi 70 produttori.

In questo scenario la suddivisione in quattro gruppi, cioè Trento Doc senza annata, millesimati, millesimati riserva e Rosé crediamo sia il giusto modo per capire meglio la denominazione.

Senza annata

Partiamo dai senza annata: quasi tutti chardonnay in purezza con nasi ben espressi e piuttosto complessi e bocche con un certo corpo, in qualche caso non certo da “vini base”. Rispetto ad alcuni anni fa la tipologia ha cambiato faccia e da vini freschi e abbastanza austeri punta più su vini più rotondi e armonici. Questo non dipende molto dagli zuccheri residui (in media attestati nei brut su 6 gr/l) ma da uve ben mature e da una permanenza sui lieviti di almeno 36 mesi. Non per niente i due vini top sono dei  Pas Dosé, con lunghe permanenze sui lieviti, segno che gli zuccheri, se hai delle uve adeguate, servono a poco. In definitiva ci sono piaciuti  anche se solo il 50% di quelli degustati ha raggiunto almeno 80 punti (per  i nostri standard  80 punti non sono pochi, vogliamo precisare)

MIllesimati

Molto più complesso il panorama dei millesimati in quanto a uve:  qualche pinot nero in purezza ma le due grandi fette sono degli chardonnay in purezza e dei blend con percentuali basse (20/30%) di pinot nero. La prima cosa che abbiamo notato, anche nelle altre tipologie (senza annata compresi), è l’aumento delle fermentazioni in legno, che in qualche caso apportano solo pesantezza ai vini. I migliori li abbiamo trovati tra gli chardonnay in purezza,  ma crediamo che questo dipenda molto dai mesi di permanenza sui lieviti che in molti casi è attorno ai tre anni, quindi non molto protratta nel tempo, specie per dei millesimati che puntano ad andare avanti nel tempo.  Oggi crediamo sia basilare dare a questi vini sia lunghi affinamenti in bottiglia che soprattutto lunghi affinamenti dopo la sboccatura, specie se esci con un pinot nero in purezza . Tra i Millesimati, pur salendo al 60% la percentuale dei vini “over 80”, abbiamo avuto  qualche dubbio riguardante appunto i tempi di maturazione dei vini,  specie perché siamo di fronte a vini sia austeri che opulenti .

Millesimati Riserva

Qui sale la percentuale dei vini sopra agli 80 punti, toccando quasi il 70%, che è sicuramente un dato confortante per chi apre una Riserva Millesimata di Trento Doc.  Siamo però di fronte ad una qualità che si percepirà meglio tra uno o due anni, in quanto diversi vini sono un po’ bloccati da fermentazioni in legno e quindi ancora un po’ chiusi al naso e legati al palato. Anche qui gli chardonnay in purezza si mostrano più ampi e armonici al naso, e i migliori li abbiamo trovati tra i non dosati, ulteriore segno che in Trentino si trovano ottime uve che hanno  bisogno di pochi zuccheri residui.

Rosè

Forse la tipologia più controversa, dove si capisce meglio che ancora alcuni produttori devono digerire il pinot nero, anche se poi quelli buoni e buonissimi ci sono. Qui abbiamo infatti il miglior vino dei nostri assaggi ma la sensazione è che l’approccio al pinot nero sia ancora da sviluppare e soprattutto siano da allungare tempi di permanenza sui lieviti e  quelli dopo la sboccatura. In questi vini rivediamo un po’ l’austera chiusura dei primi Trento Doc e quindi siamo sicuri che col tempo i Rosé miglioreranno non poco.

In chiusura

Non possiamo che essere soddisfatti di questi assaggi, anche se il successo della denominazione porta alcuni produttori a entrare troppo presto sul mercato, con vini che pagano nettamente dazio. Crediamo che in questi casi una riflessione sia d’obbligo altrimenti il rischio è di perdere l’onda favorevole e una credibilità acquisita con anni di duro lavoro. Chiudiamo con un doveroso ringraziamento all’Istituto Trentodoc per averci ospitato e organizzato l’assaggio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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