Dal deserto di Prowein cosa impariamo?4 min read

Si è appena conclusa Prowein,  l’ennesima fiera dedicata al trade dall’inizio dell’anno: quindi tre fiere in soli due mesi e mezzo. Metà febbraio Wine Paris, fine febbraio Slow Wine Fair Bologna, metà marzo Prowein e ci aspetta tra un mese il Vinitaly, ancora indiscusso leader per i vini italiani.

Come già dicevo in un precedente articolo “tutte fiere con l’ambizione di avere un respiro più o meno internazionale, di essere indirizzate ai buyers e alla stampa specializzata oltre che al circuito HORECA. Inviti a importatori e giornalisti in alcuni casi anche offrendo viaggio e soggiorno. Rimango dell’idea, maturata da qualche anno, che un minimo di ordine logico si dovrà prima o poi iniziare a darlo, pena la svalutazione eccessiva di questi appuntamenti che li svilirà sempre di più, riducendo la presenza dei produttori ma anche e soprattutto degli operatori.”.

Purtroppo quanto ipotizzato solo pochi giorni fa si sta realizzando con preoccupante rapidità dato che anche Prowein, fino a qualche anno fa considerata una fiera organizzata molto bene e in grande crescita, per il secondo anno consecutivo sembra essere in rapidissima discesa, sia messa in confronto con Wine Paris che, presenze alla mano, presa da sola. Oramai non si contano i produttori che si sono lamentati delle “non-presenze” e le foto che corredano questo articolo, fatte non la mattina presto ma nel normale orario della fiera, lo dimostrano chiaramente.

Torno un attimo sulla fiera di Parigi che, a mio parere, per l’importatore che deve venire dall’altro capo del mondo ha un suo perché. Mi si dice che non ha strutture fieristiche che possano espandersi a piacimento, ma è di sicuro la fiera dove i produttori francesi sono presenti in maniera massiccia e questo non è secondario. Inoltre, parafrasando, Parigi val bene una fiera.

Qualche malpensante ha anche ipotizzato che la minor presenza a Prowein di produttori francesi rispetto agli anni scorsi sia frutto di un’intesa tra i cugini d’oltralpe per togliere valore alla fiera tedesca e acquisirne in casa propria. Non so se è vero, ma data la capacità dei francesi di essere uniti nella valorizzazione delle loro produzioni, la cosa è perlomeno credibile.

Quindi come si presenta la futura scacchiera delle fiere europee? Tra i produttori l’opinione comune mi sembra essere quella che Wine Paris resti l’unica davvero internazionale, anche perché da Prowein sono quasi completamente scomparsi gli operatori asiatici e americani e qualcuno dice pure i piccoli importatori e l’horeca tedesco, che è sempre stato un bel mercato per il vino italiano. Risultato: qualche produttore dice che farà senz’altro Wine Paris mentre Prowein solo  su richiesta dell’importatore tedesco: cosa che, se dovesse essere la scelta di molte aziende, la renderebbe una fiera ad indirizzo prevalentemente nazionale.

Altri hanno espresso l’opinione che Prowein manterrà importanza in funzione di quanto riuscirà a continuare a coinvolgere cantine oltreoceano, che oggi rappresentano un forte richiamo per gli importatori europei: anche in questo caso credo che le stesse potrebbero facilmente decidere di spostarsi a Wine Paris e comunque non darebbe soluzione alla necessità di avere il trade americano e asiatico. Così si trasformerebbe  in una fiera prettamente europea, che non è poco, ma non risolverebbe il problema di come raggiungere gli altri mercati.

A me pare che, seguendo un vecchio detto locale, “come si fa ne manca un pezzo!” Questo mi fa sorgere un’altra domanda: non sarà che è tramontata l’epoca delle fiere così come sono impostate oggi? E se fosse l’ora di pensare a qualcosa di diverso? Utopico pensare che le grandi fiere europee si accordino, non dico per farne una sola, ma almeno per una rotazione tra le maggiori unendosi per la promozione e gli inviti con l’obiettivo di convogliare massicciamente il mercato ogni anno in un luogo. Forse pure i giornalisti potrebbero a quel punto decidere di tornare in fiera (ce ne sono sempre meno) perché troverebbero tanto da scoprire e raccontare. Non accadrà mai, ne sono consapevole, anche se credo sarebbe la miglior soluzione.

Non resta che cominciare a ragionare su come economizzare soldi ed energie, selezionando le fiere più interessanti a seconda del proprio mercato e le metodologie con cui partecipare (meno spazi singoli e più collettivi).

Iniziamo anche a tenere presente che spedire campioni in tutto il mondo è di sicuro più facile e meno costoso che partecipare a 4 fiere in pochi mesi. Come mettere in contatto le aziende e gli importatori resterebbe il problema più importante da risolvere lo so, ma… non posso pensare a tutto io!

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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