Clayver versus Barrique4 min read

Chi  di voi si ricorda il Carosello del pianeta di Papalla? Chi lo ha presente  si farà velocemente l’idea di un contenitore Clayver, praticamente un “papallese” senza gli occhi.

 

Questi contenitori, di cui ha già parlato Roberto Giuliani qui, sono grosse palle bianche di gres che contengono 250 litri (quindi come una barrique) e sono una delle nuove frontiere per la vinificazione e la maturazione del vino.

Rispetto alle anfore sono naturalmente impermeabili, molto più robuste e (come una vasca di cemento vetrificato) dovrebbero risultare neutre  per quanto risulta la cessione di aromi al vino.

 

Dopo aver letto l’articolo di Roberto Giuliani mi ha scritto Jarkko Peränen, che assieme a sua moglie Josephin Cramer porta avanti l’azienda panzanese di Candialle. Mi ha detto che stava per imbottigliare il suo primo vino in clayver e mi ha chiesto se volevo andare ad assaggiarlo. Ho risposto rincarando la dose e chiedendogli se era possibile fare un confronto in preimbottigliamento tra il campione in clayver e uno maturato in altro contenitore.

Così mi sono ritrovato alla vigilia di Pasqua in macchina verso Panzano, anzi verso Candialle.

 

Jarkko, credo uno dei pochissimi finlandesi ( o forse l’unico)  che produce vino in Chianti Classico, mi porta a vedere prima le vigne e poi la cantina. La particolarità dei vigneti è che la stragrande maggioranza sono allevati ad alberello, con una densità che arriva fino a 7000 piante per ettaro. In cantina niente di trascendentale: vasche in cemento per la vinificazione, contenitori inox e barrique di vari passaggi.

 Nella cantina di invecchiamento ci sono al centro quattro abitanti del pianeta Papalla, ovvero quattro clayver da 250 litri. Jarkko mi prepara i due campioni che mi porterò a casa per assaggiarli con calma. Si tratta di un sangiovese in purezza del 2013, vinificato in cemento che, dopo la malolattica è stato messo per una anno metà a maturare nei quattro clayver e  metà in barrique di secondo passaggio.

 

Arrivo a casa ed inizio la prova mettendo i due vini in altrettanti bicchieri.

 

Per prima cosa guardo il colore e mi sembra (ma ripeto mi sembra) che quello in barrique sia leggermente più concentrato anche se l’intensità sull’unghia è la stessa. Arrivo a mettere i due vini sotto la naso e penso a quanto mi aveva detto Jarkko sul fatto che il campione in legno potesse “sapere” troppo di legno. In realtà la nota di legno non è per niente marcata, mentre l’altro campione mostra un buon fruttato ma non certamente molto lontano dal “fratello”. In bocca quello in argilla sembra leggermente più fresco ma le differenze sono veramente minime.

 

A questo punto penso che entrambi i vini abbiano bisogno di riposarsi dallo stress del viaggetto Poggibonsi-Panzano e così li verso nei bicchieri, li copro con un tovagliolo di carta e me li scordo lì.

Per 24 ore sono andato almeno 5-6 volte ad assaggiare i due vini e sinceramente non ho trovato (a parte un po’ di sentore di legno) grandissime diversità.  In bocca il campione in clayver era leggermente più fresco ma quasi sempre quello in legno risultava più complesso e profondo.

Anche i cambiamenti che ha fatto il vino in barrique nel bicchiere sono stati molto più marcati di quello nel gres. Per esempio c’è stato un momento in cui il legno si sentiva di più e addirittura dopo 24 ore il campione in barrique è andato leggermente in riduzione. L’altro è rimasto invece sempre uguale a se stesso. Ad un certo punto mi sono anche divertito a fare dei blend, aggiungendo un 10-15% di vino in barrique all’altro. Questo “campione” è stato quello che mi è piaciuto di più, mentre un 30% di barrique lo ha reso praticamente uguale al vino originario in legno.

In definitiva quello in clayver, per quanto riguarda il sangiovese, mi sembra un contenitore molto adatto (anche se un po’ scomodo da usare) per la conservazione del vino, per mantenerlo leggermente più giovane rispetto alla maturazione in legno e senza i problemi che i rossi possono avere (leggi riduzione) se stazionano in acciaio. Mi sembra però che tenda leggermente ad “immobilizzare” il vino e forse svolgerebbe meglio il suo compito in contenitori più grandi o forse rimanendo nel "papallese" per più tempo. Comunque Lo vedo bene per “tagliare e rinfrescare” vini usciti dal legno.

Comunque ne riparleremo con altri vini e altri contenitori. Intanto un grazie a Jarkko e a Candialle che ci hanno dato (last but not least) due ottimi sangiovese dell’annata 2013 su cui riflettere.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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