Cina: si tratta di vendere vino o di vendere l’anima?2 min read

Altro regalo natalizio che ci arriva da un caro amico bolognese e ci fa riflettere su come il dio mercato ci abbia tutti imbambolati o stregati. Capiamo che i vignaioli non devono per forza essere i Robespierre o i Marat del mercato globale del vino, ma ogni tanto qualche domanda bisognerebbe porsela e qualche piccolo gesto ci farebbe sentire, magari quasi di nascosto a noi stessi, molto ma molto meglio. Buon Natale

Negli anni Settanta, in Uruguay, era proibito nominare la formazione politica che si opponeva al regime. Erano i Tupamaros, che avevano derivato il proprio nome da quello di un rivoluzionario discendente dall’ultimo imperatore inca Tupac Amaru. (Per la cronaca vale la pena ricordare che il poveretto, che scuoteva profondamente le fondamenta dell’impero coloniale, finì squartato pubblicamente nel 1781 assieme alla moglie e ai figli).
Oggi, in Tibet, è altrettanto proibito pronunciare il nome del Dalai Lama, quel simpatico signore vestito da monaco che ultimamente è stato in visita in Italia: guida spirituale di quel che rimane del suo Paese dopo l’invasione cinese nel 1950, ha oggi 72 anni di cui 48 li ha passati in esilio in giro per il mondo.
Però, mentre mi facevano sorridere i tronfi e arroganti politici uruguayani finiti poi nel nulla negli anni Ottanta, non trovo nulla di divertente nell’attuale classe politica cinese che tenta oggi di ricattare l’Europa basando tutti i rapporti di forza unicamente sulle opportunità di mercato.
Così, quando la politica ufficiale italiana (e pure i vertici della chiesa cattolica, ma questa è una cosa che non mi riguarda) si rifiuta di avere “incontri altrettanto ufficiali” con quel signore vestito da monaco per paura di alterare gli equilibri di scambio con Pechino e di pregiudicare nuove ipotesi di mercato per i prodotti italiani, invece di sorridere di compatimento mi indigno profondamente e mi vergogno di essere partecipe delle logiche mercantili.
Lui, il Dalai Lama, minimizza e si chiede: “Che ci posso fare se sono diventato tanto  ingombrante?” Noi dovremmo invece interrogarci proprio sul perché un uomo tanto mite e disarmato sia diventato così pericoloso per le nostre esigenze energetiche e per i nostri prodotti. Prodotti d’eccellenza compresi.
Pensiamoci, quando leggiamo dei successi di Vinitaly in Cina, quando imbastiamo strategie per il mercato asiatico, quando formiamo consorzi per l’esportazione mirata, quando facciamo i conti su quanti siano i Cinesi che, in quella marea umana, possono permettersi di acquistare il nostro vino per la loro tavola. La vita si vive qui e adesso: non sarà accettabile dire tra qualche anno che avremmo dovuto avere atteggiamenti e comportamenti diversi oggi.
Fermiamoci un attimo a guardare il viso di quell’ometto sereno e sorridente prima di decidere le strategie future delle nostre aziende. Non sarà facile, però è un’ipotesi estremamente gratificante.  

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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