Chianti Classico 2018: un’annata “Futurista”3 min read

La Stazione Leopolda è grande come una nave da crociera ma non lo è. Soprattutto non è ancorata in Giappone, come incubatrice di Corona virus. Però il Corona virus aleggia anche sopra ai nostri assaggi perché, come mi ha confidato Armando Castagno: “Sono arrivato stamani e tutti i tavoli di questa fila erano pieni, quattro persone per tavolo. L’unico con una sola persona seduta era quello dove mi sono messo io e prova a dire… il mio compagno di tavolo è cinese”.

Ma lasciamo stare il Corona Virus per dare la corona della degustazione a questa sala, che quest’anno però qualche pecca l’ha evidenziata: non nel servizio, sempre ineccepibile, ma in alcuni “optional” come la musica che si potrebbe anche evitare e soprattutto con un odore di minestrone (buono, per carità…) che ogni tanto faceva la sua comparsa nella sala.

Accanto al fuggevole “parfum de chou” c’erano però le stabilissime bottiglie di Chianti Classico: quasi 500 vini in assaggio di circa 200 cantine con un focus particolare sulle nuove entrate in commercio, cioè il Chianti Classico 2018  la Riserva e la Gran Selezione 2017.

Visto che l’unica vendemmia di cui ancora non abbiamo mai parlato è la 2018 i nostri assaggi hanno cercato di capirla e crediamo di avercela fatta grazie ad una cinquantina di campioni.

Le riflessioni possono essere molte ma il succo è che la 2018 è una vendemmia non eccezionale ma che ha portato, grazie alla bravura e a un discreto cambiamento di rotta dei produttori, a ottimi vini che era impensabile ottenere solo 10 anni fa.

I miglioramenti in vigna e in cantina si vedono nelle annate difficili e la 2018 non si può certo definire facile e se fosse arrivata 10 o 20 anni fa (penso alla 2007 e poi alla 2008, nonchè alla 1997 e alla 1998) i risultati sarebbero stati molto diversi. Le viti dovevano riprendersi da una vendemmia estrema come la 2017 e questa lenta ripresa ha in parte condizionato la 2018, annata non caldissima e incerta in estate. Quindi bisognava saper lavorare bene in vigna e poi avere le idee chiare in cantina.

La potremmo definire, con una frase di moda, una vendemmia in sottrazione, in realtà ci piace definirla Futurista perché nei vini  degustati abbiamo ritrovato la fiducia futurista nella tecnica (agronomica, enologica) che porta a vini più “veloci” nel senso di alleggeriti, immediati, fruibili ma assolutamente non semplici o scontati. Si abbandona il passatismo dei “vinoni” magari con tanto legno, per proporre vini più dinamici che, almeno in molti Chianti Classico “base”, prendono il meglio dell’annata.

La 2018 ci è piaciuta  fin dall’inizio grazie a colori rubino molto classici e ben poco spinti, nasi dove il legno è gentilmente in secondo piano, lasciando spazio a importanti note floreali e belle punte di frutta matura. In bocca la maggioranza è, appunto, dinamica, fresca, equilibrata, con tannini dolci e già maturi. Non ci sono grandi strutture, sostituite da una piacevolezza generale che non porta a vini esili ma a prodotti già equilibrati, profumati e di medio corpo, che potranno sicuramente migliorare nell’arco di 5-7 anni.

Una vendemmia che guarda ad un modo moderno e “futuro” di vedere il Chianti Classico, svincolato dalla voglia di “miracol mostrare” e finalmente (oserei dire definitivamente) sulla strada che la versatile finezza del sangiovese non poteva non imboccare.

Quindi  per la 2018 dobbiamo dare un voto alla vendemmia e uno all’interpretazione da parte dei produttori:  nel primo caso diamo 6.5  ma nel secondo arriviamo tranquillamente a 8.5.

I migliori? Non ve lo diremo fino a settembre, prima dovremo assaggiarli e riassaggiarli, tanto sin da stasera troverete un’infinità di persone che metterà i suoi voti ben in vista sul web. Del resto non si parlava di velocita e futurismo?

 

Foto di copertina. Di Umberto Boccioni – The Yorck Project (2002) 10.000 Meisterwerke der Malerei (DVD-ROM), distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH. ISBN: 3936122202., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=147920

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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