Campania Stories 2022: possiamo definirla solo “Vitruviana”7 min read

Oramai il mare e Campania Stories hanno un legame (quasi) indissolubile e quest’anno è stata la volta dei Campi Flegrei a ospitare una  manifestazione per la quale non si trovano più aggettivi. Tiro così fuori dal cappello a cilindro  la definizione di “manifestazione vitruviana” ispirandomi al disegno di Leonardo dove il genio di Vinci cerca di dimostrare come si possa armoniosamente inserire la figura umana all’interno del cerchio  e del  quadrato.

Cerchio è quadrato rappresentano rispettivamente cielo e terra e Campania Stories, anche quest’anno ha cercato di armonizzare “ l’homo giornalisticus” ( in senso lato, comprensivo naturalmente del gentil sesso e, dopo due anni di pandemia, anche di molti arrivi dall’estero) con la terra e il cielo campano.

Lo ha fatto utilizzando anche un terzo elemento, il mare, quello che assieme alla terra vulcanica dei campi Flegrei stupisce ogni visitatore da che mondo è mondo. Le mie misere foto non rendono minimamente l’idea di cosa vuol dire affacciarsi ad un balcone dove hai Procida e Ischia quasi davanti, con Capo Miseno a corredo e una serie di baie e insenature che ti lasciano a bocca aperta.

Prima di chiudere la bocca per poter degustare ci sono altri motivi che, nei Campi Fegrei, ti lasciano a bocca aperta: in primo luogo alcuni vigneti, come quello ad anfiteatro di Cantine del Mare da me ridefinito “lo stadio perfetto per far giocare la Falanghina” perché questo vitigno è piantato sia sugli spalti che nel campo da gioco e l’insieme, considerando che il mare è a pochi metri, è  un’immagine indelebile nella memoria.

La vigna a anfiteatro di Cantine del Mare

Come rimarrà indelebile, purtroppo, la visita all’antico e famosissimo  Rione Terra di Pozzuoli, completamente ristrutturato da anni che attende solo di… essere ristrutturato nuovamente tra qualche anno . Infatti non ci abita nessuno perché il comune non sa cosa farne e così, piano piano si autodistruggerà, fino al prossimo restauro. Unica immagine triste di una manifestazione allegra e vivace, ma dovevo parlarne perché è incredibile quanto la burocrazia riesca a bloccare la voglia di fare e di vivere.

Arriviamo alla manifestazione e ai vini presentati, come sempre molti, moltissimi (quasi 350) che, con due soli giorni per gli assaggi diventano semplicemente troppi. Questo, nonostante un servizio impeccabile e un’organizzazione capillare, ti porta a dover scegliere cosa degustare e quindi a non poter avere un quadro completo dei vini campani.

I bravissimi organizzatori (con prole al seguito)

Ma campania Stories non è solo assaggi ma è soprattutto incontri con produttori e quindi conoscenza del territorio. Sotto questo punto di vista  la manifestazione, nonostante la Campania sia una regione grande e con una viabilità non certo semplice, cerca di soddisfare tutte le richieste. Così ho potuto conoscere un po’ meglio l’alto Casertano , visitare ancora l’Irpinia e, visto che giocavano in casa, avere il piacere di incontrare due bravissimi produttori dei Campi Flegrei.

Accoglienza irpina

Sei visite in tre giorni, con gli assaggi la mattina, non sono poche ma la cosa è possibile grazie all’organizzazione di Miriade & Partners, che meriterebbero veramente il Premio Nobel per la pazienza, visto che noi partecipanti li subissiamo di richieste spesso assurde, magari cambiando idea in itinere.

Ma veniamo ai vini degustati: visto quanto detto prima le mie scelte mi hanno portato, tra i bianchi  verso il  Fiano di Avellino e il Greco di Tufo, dovendo purtroppo “numericamente”sorvolare sulle altre uve e denominazioni in bianco della Campania. Tra i rossi ho dato spazio ai Piedirosso e naturalmente all’Aglianico.

Per quanto riguarda le due DOCG in bianco dell’Irpinia mi permetto di rimandarvi all’articolo che accompagnerà  la pubblicazione dei risultati degli assaggi, mentre sui rossi ho, come si usava dire nelle vecchie barzellette, una notizia buona e una cattiva.

La buona si chiama  Piedirosso: per me è oramai il vitigno in rosso di riferimento della Campania, e lo dimostra nei Campi Flegrei, nel Sannio, nel Casertano o sul Vesuvio. La sua è stata un’evoluzione lenta ma, partendo da comprimario e arrivato a gestire con sicurezza, da solo, la scena. In altre parole oramai il Piedirosso è un vitigno che ha aromi netti e particolari, ma anche corpo e freschezza: può quindi essere vinificato in purezza, e i Campi Flegrei lo dimostrano ampiamente, che assieme ad altre uve a cui conferisce spesso aromaticità e freschezza. Se prima poteva avere dei problemi in invecchiamento oggi sono superati e il bello è che lo ha fatto senza andare in iperconcentrazione o usando dosi industriali di legno.

Piedirosso

A proposito di iperconcentrazione e legno, la brutta notizia riguarda l’Aglianico e, di conseguenza il Taurasi. Oramai non so più come dirlo ma, per quanto riguarda questo vitigno la strada intrapresa dalla stragrande maggioranza dei produttori irpini è suicida. Oramai le estrazioni importanti, la tannicità belluina, i legni coprenti e i tempi lunghi o lunghissimi che (forse)  potrebbero ammorbidire tutto quanto non solo non vanno più di moda ma sono superati, anche in zone “cugine” come il Vulture, per non parlare di denominazione iperblasonate del centro e del nord.

La mia domanda, mettendo in bocca aglianico con tannini duri e ruvidi dovuti anche all’uso sbagliato del legno e dove si possono vendere vini come questi, quale mercato, se non quello formato da clienti affezionati e locali, possa giustificare caratteristiche che nel resto del mondo rifuggono.

Sono anni che dico queste cose e purtroppo sono anni che, a parte alcuni nomi (ne faccio due, Perillo e Tecce) la situazione non cambia di una virgola. Cambia di poco anche nei Campi Taurasini, denominazione di cui si capisce con difficoltà il posizionamento, se non che è un sotto al Taurasi. Detto questo ognuno la produce come meglio crede, in piena confusione stilistica.

Chiudo spiegando  quel “quasi” tra parentesi all’inizio dell’articolo: l’anno prossimo Campania Stories si svolgerà in Irpinia, ritornando nel territorio che l’aveva vista nascere. A parte il mare, panorami mozzafiato ci sono anche lì.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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