Bottiglia e bicchiere: archeologia o futuro?7 min read

Che la questione del vetro leggero sia la battaglia che come redazione abbiamo deciso di portare avanti per lasciare una traccia su questo pianeta lo sapete già. Comunque una rinfrescatina in merito ve la farà il collega Sandro Bosticco tra poche righe.

Certo è che quando  l’Università della Cucina Italiana ha inaugurato il 19 ottobre scorso l’anno accademico 2023/2024 con una lezione sul tema ‘Bottiglia e bicchiere: archeologia o futuro?’ siamo andati a curiosare. Che l’argomento esca dagli argini delle scelte di forniture dei singoli produttori, accende secondo noi una luce in fondo al tunnel.

Quattro interventi per altrettanti punti di vista diversi: Laura Ruggeri PR dell’azienda Carpineto, Sofia Taiti responsabile comunicazione web di ColleVilca, Angelo Minisci docente di Food Design, e Guido Mori direttore didattico dell’Università della Cucina Italiana.

Partiamo dalle tasche

L’Università della Cucina Italiana, ha raccontato Mori, produce alcune Private Label di Vermouth e Gin destinate alla mixology. Considerando che le accise su un litro di alcool ammontano a 7,48 euro, per abbattere i costi, hanno proposto ai clienti di utilizzare Bag in Box. La scelta è stata ben accolta dato che si è tradotta in 5 euro in meno ogni litro di Vermouth o Gin.

Quebec, Canada: dal 2022 il Monopolio statale ha imposto bottiglie da 750 ml di massimo 420 g per vini fermi entro i 19 euro di prezzo. A fronte di dazi e sanzioni, ci sono aziende che rinunciano alla spedizione in Canada. Il Nord Europa è risaputo che ha adottato le medesime logiche da tempo, premiando Bag in Box e sostenibilità.

E questo è solo un assaggio dell’intreccio “O sei sostenibile o ti faccio spendere di più” che però può essere la leva corretta verso chi è sordo alle proiezioni dei danni ambientali che stiamo raccogliendo e producendo, ma ha costantemente in mano solo il fatturato aziendale.

Appeal, trend, mode

Minisci, dal canto suo, ha affrontato l’argomento in modo pratico ed estetico, facendo intendere che esistono già soluzioni alternative al vetro, ma devono essere sostenute da un movimento, per intraprendere una logica produttiva che diventi sostenibile economicamente e accettata dalla filiera.

Mi viene in mente quello che oggi è un brand tedesco di grido, apparso perfino in lungometraggi simbolo di battaglie sociali (Barbie), scarpe nate come ortopediche, di dubbia estetica da sempre, oggi invece “Ma dove vai se il…. Non ce l’hai?”. Possiamo fare lo stesso con i bicchieri di vetro?

Si perché noi di Winesurf ci occupiamo sempre di bottiglie di vetro, ma anche i bicchieri hanno un impatto, soprattutto se acquistati a basso costo e utilizzati monouso perché più conveniente che lavarli, recuperarli, spostarli etc.

Dove sono finiti i bicchieri della nonna che si ereditavano e si molavano via via che uso e tempo ne ferivano l’estetica? Qui si apre la forbice: materiale a basso impatto ambientale o ‘riciclo’? Non so immaginarmi degustare un vino senza vetro, ma sono pronta a mettere in discussione la ‘tradizione’ se la tecnologia può abbracciare le esigenze di degustatori e pianeta.

Produrre vetro, spostare sabbia

E non so immaginare quante spiagge possano essere 50 miliardi di tonnellate di sabbia annue, quelle necessari per generare nuovo vetro ogni anno. Taiti di ColleVilca ha riportato le scelte che può fare chi produce, in questo caso, cristallo: recuperare il 100% dei materiali, sostituire l’ossido di piombo con il l’ossido di bario, produrre oggetti di alta qualità e resistenti. Scelte che abbracciano l’artigianato artistico e l’arte, come all’ultimo Festival del Cristallo, dove gli artisti Maria Chiara Viviani e Nelson Salvestrini hanno esposto alcune opere che hanno previsto l’impiego di parti in cristallo per declinare eternità artistica e nobiltà dei materiali.

Cambiare si può: 800 g vs 380 g

Ruggeri di Carpineto ha infine documentato il cambiamento: l’azienda Carpineto di Montepulciano nel 1967 utilizzava bottiglie da 800 grammi. Oggi arriva a 380 anche per le Riserve, con il motto “Less Glas more Glamour”, grazie a un fine lavoro sulle etichette che attirano lo sguardo sullo scaffale, compensando il timore di essere anonimi. Si. Può. Fare.

E se facessimo le bottiglie da 1 litro?

Per operare il cambiamento, oltre a mettere mano alle tasche degli imprenditori, occorre concertare un tavolo di confronto, e su questo nulla di nuovo sotto il sole. Interessante una delle idee lanciate durante la lezione: e se facessimo bottiglie da 1 litro?

Barbara Amoroso Donatti

Se per il vetro

“vade retro” 

la lattina

 si avvicina?

Il dibattito suddetto, moderato dalla collega Nadia Fondelli, è stato anche una lezione, come si conviene in ambiente accademico. Angelo Minisci – anche lui mio collega, in questo caso come  docente – ha ben mostrato nel suo intervento quanto il tema del cibo sia interdisciplinare. Il suo punto di vista, il food design, può andare a toccare le discipline più varie. In questo caso il focus della lezione era il vetro con la sua tecnologia e la sua estetica, e subito ci è venuto da pensare alle alternative con le loro relative forme. La redazione di winesurf si accanisce a soppesare ogni bottiglia vetrosa prima di valutare con l’assaggio il valore del contenuto.

Ma vetro a parte circolano ormai diffusamente dignitosi bag-in-box con igp e pure doc. E addirittura – e qui il food design si fa casereccio – bottiglie riempite agli innumerevoli punti vendita dello sfuso, spesso con ammiccamenti geografici più o meno corretti anche se si smerciano più che altro “vini varietali”.  Intanto l’estate scorsa ho assistiito nel Regno Unito al trionfo delle lattine. il consumatore britannico, partito dalla freschezza inscatolata che accomuna da decenni tante birre e  soft drinks, sembra che stia finendo con l’apprezzare anche il vino, e si tratta spesso addirittura di qualche “indicazione geografica”. Ogni supermercato di medie dimensioni ha un angolo delicato con diversi formati e prezzi altini, a conti fatti.

Immancabili gli italian sounding magari addizionati di CO2: ma non ci sono solo Prosecco & C: dall’alluminio ho bevuto diversi igt nostrali e perfino un Malbec di Mendoza millesimato niente male. Naturalmente il vino viene ben protetto all’interno delle lattine da una sottile pellicola di qualche tipo di plastica, cosa che accade per tutte le bevande. Ci sconsigliano infatti di cuocere il pomodoro nelle padelle di alluminio perchè l’acidità del frutto lo attacca e il metallo finisce nello stomaco e poi chissà dove.

Come sarebbe possibile, per esempio, contenere la mitica aggressività della coca-cola? Ci vuole la pellicola anche perchè il tempo di contatto conta, quindi senza la sua presenza dovremmo rinunciare a maturare il vino in lattina per qualche anno… Viva le plastiche, dunque? Un leggerissimo contenitore di questo tipo sta anche all’interno della sbarazzina paper bottle, la “bottiglia di cartone”: uno dei produttori vanta 83 grammi totali. Quella piena però l’ho contemplata solo online. Si trattava di Pecorino, Terre di Chieti IGT.

Alessandro Bosticco

Barbara Amoroso Donatti

Appassionatissima di vino e soprattutto “liquidi con qualche grado in più”. Punto di riferimento del giornale per tutto quanto riguarda il mondo dei superalcolici.


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