Borgogna: eccovi le vigne di Paperone!14 min read

E’ non senza stupore che Meadows e Barzelay, nel loro recente “Burgundy Vintages: 1845-2015”, annotano quanto semplici e apparentemente casuali fossero le vendite di vigne in Borgogna fino agli anni ’90, vista l’estrema competizione (e i prezzi) dei giorni attuali.

Passeggiando con Bernard Dugat-Py nella sua parcella di Fonteny (1er cru di Gevrey-Chambertin), il vigneron  raccontò di averla comperata nel 1992 avendone avuto notizia  da un semplice cartello con la scritta “Vigne à vendre” e un numero di telefono. Un colpo di telefono, una breve contrattazione, e la vigna era venduta. Ma oggi?

Anziché ricorrere ai consueti canali informali, si sarebbero subito contattati brokers e dirigenti di banche di investimento, che avrebbero immediatamente coinvolto gli acquirenti potenziali più ricchi, scatenando una vera e propria asta.

Racconta Jean-Louis Amiot, proprietario del Domaine Pierre Amiot e presidente dell’organismo di difesa e gestione dell’AOC Morey-Saint-Denis, che i vignerons di Morey appresero della vendita del Clos des Lambrays (grand cru di quel territorio) solo a vendita già effettuata. Avrebbero ben voluto essere coinvolti al tavolo delle trattative, ma nessuno di essi avrebbe potuto in alcun caso competere con la potenza di fuoco di Bernard Arnault e della LVMH (gruppo Vuitton).

Albéric Bichot, direttore generale della Maison Albert Bichot, esprime tutta la sua preoccupazione affermando in un’intervista  a “Le Monde” : “ Sono i prezzi più vertiginosi della storia della Borgogna. C’è una massa di denaro che cerca di collocarsi. E in questi ultimi  20 anni nessuno ha perduto investendo in Borgogna. Ma sono investimenti patrimoniali che non cercano un profitto. Ora, per i nostri viticultori o per la gente normale occorre una redditività economica”.

Sì, perché mentre il prezzo di una proprietà, anche di piccole dimensioni, può crescere illimitatamente, almeno  finché ci sono acquirenti interessati ad aggiudicarsi i pezzi più preziosi “costi quel che costi”, il prezzo delle bottiglie di vino che vi si producono non può aumentare di tanto quanto sarebbe necessario per assorbire in tempi ragionevoli l’investimento effettuato. Il riconoscimento dei climats borgognoni come patrimonio mondiale dell’umanità assegnato dall’UNESCO nel 2015 ha certamente accentuato il fenomeno, dando nuova linfa alla caccia ai siti più prestigiosi.

Com’è cominciato tutto ciò e perché i vignerons borgognoni sono preoccupati?

In fondo tutto sembrerebbe andare per il meglio in Borgogna. Nonostante la scarsità di volumi degli anni passati a causa delle gelate e delle grandinate (ma le ultime due vendemmie sono state piuttosto generose), l’aumento costante dei prezzi ha largamente compensato le perdite. I vini non sono mai stati così buoni e sono ricercati in tutti i mercati del mondo, come mostrano le esportazioni che continuano a crescere, anche in un contesto commerciale diventato assai più difficile per via delle sanzioni economiche incrociate che stanno ingessando i mercati .

L’ultima grande asta degli Hospices di Beaune , nel novembre scorso, grazie al favorevole andamento climatico del 2018, ha potuto mettere in vendita ben 828 pièces (cifra mai raggiunta nella storia dell’Asta) superando ampiamente il numero di quelle del 2017, anch’essa annata con volumi finalmente favorevoli, dopo più anni di seguito di magra: la metà di esse se l’è accaparrata la clientela asiatica, e gli   oltre 14 milioni di euro  ottenuti ne fanno l’annata più ricca di sempre. Non solo all’asta di  Beaune, ma in quelle  di tutto del mondo, i vini borgognoni , non più solo quelli del Domaine de la Romanée-Conti (lo scorso ottobre Sotheby ha aggiudicato un Romanée-Conti del 1945 per 558.000 euro, che partiva da una stima di 32.000), raggiungono quote da capogiro, avvicinate soltanto da quelle dei Premiers Crus di Bordeaux.

Angélique de Lencquesaing, in una recente intervista, cita una bottiglia di Corton-Charlemagne del 2010  di Coche-Dury aggiudicata 4.864 euro in una delle ultime vendite di Idealwine. La battuta d’arresto dell’asta dei vini degli Hospices di Nuits-Saint-Georges, nel marzo scorso  (-15%) è restata per il momento isolata. Di più: l’impressionante  crescita dei prezzi dei vini più pregiati dei grand cru si è riverberata sulle denonimazioni più semplici , accrescendo l’interesse dei consumatori e rendendone nel contempo i prezzi più remunerativi che nel passato.

Foto di Andrea Federici

Anche i vini dei villages e dei premier cru delle appellations meno conosciute della Côte de Beaune e della Côte Chalonnaise, infatti,  hanno ormai stabilmente superato la soglia dei 30 euro la bottiglia, giungendo a sfiorare  quella dei 50, mentre un premier cru di Saint-Aubin, denominazione da sempre oscurata da quelle più note  di Meursault,  Puligny e Chassagne-Montrachet , l’ha già superata da un pezzo, arrivando, per i climats più ricercati, anche a 80 e più. E allora?

Ma procediamo con ordine. Il primo Paperone approdato in Borgogna  è stato tal Louis Ng Chi Sing, proprietario miliardario di casinò a Macao. Innamorato della Francia, nel 2012, superando l’offerta di 5 milioni di euro fatta dai viticultori locali,  ha acquistato per  8 milioni (il 60% in più) il castello di Gevrey-Chambertin, con annessi due ettari di vigne (parte in premier e parte in grand cru) .

 La temuta invasione di cinesi, che a Bordeaux hanno rastrellato  in pochi anni oltre 150 piccoli châteaux, non è però avvenuta, e la scalata alle vigne borgognone è rimasta (per il momento) tutta in  mani occidentali,  maggioritariamente francesi e americane.

Intendiamoci: anche in passato c’erano state vendite importanti e per somme tutt’altro che trascurabili: basti citare l’acquisizione della Maison Louis Jadot, nel 1985, da parte del suo importatore Rudy Kopf, (fondatore del colosso  Kobrand Corporation)  e della Maison Bouchard Père et Fils, avvenuta dieci anni dopo, seguita nel 1998 dal Domaine William Fèvre, nome di primo piano a Chablis, da parte della Maison di Champagne Henriot.

Si trattava però di grandi marchi, nei quali la vecchia proprietà era ancora fortemente coinvolta nella conduzione dei Domaines e notevolmente più diluite nel tempo.

Due anni dopo Ng ,  nel 2014, era la volta di Bernard Arnault, Presidente del gruppo LVMH, già proprietario di Cheval Blanc a Bordeaux ( e molto altro) , a sborsare la cifra (fino a quel momento record) di 110 milioni di euro per acquistare gli 8.66 ettari di vigna del Clos des Lambrays , nella vicina Morey-Saint Denis.

Il Clos des Lambrays è separato da un semplice muretto di pietra dall’altro storico Clos di Morey, il Clos de Tart (7.53 ha.) ,  appartenuto per secoli alle monache di Notre Dame de Tart . Nell’ottobre del 2017 non ci ha pensato due volte a insediarvicisi un altro miliardario dell’Esagono, François Pinault (gruppo Artemis), già proprietario di un’altra icona bordolese, lo Château Latour, sborsando la bellezza di 220 milioni (ma alcuni dicono 250), di euro, quasi 30 per ettaro, sbarazzandosi della concorrenza di Frédéric Rouzaud  della Maison de Champagne Roederer , desideroso di seguire le orme  di Henriot, e quella ben più insidiosa  di Jack Ma, il fondatore di Alibaba.

Una somma enorme, ma ampiamente superabile: è appena il caso di ricordare che nel 2018  due famiglie borgognone si sono scambiate due ouvrées (ossia 0,0856 ettari)  di vigna nel  grand cru Musigny su una  base di oltre 60 milioni per ettaro, e che a detta di Jean-Luc Coupet (P-DG di Wine Bankers) in Borgogna ci sono vigne di diversi altri  climats (Chambertin e il Clos de Bèze, oltre a Musigny, per non parlare di Romanée-Conti o La Tache)  che potrebbero essere cedute a prezzi enormemente superiori.

Pinault aveva già fatto shopping nella Côte de Nuits, acquistando, nel 2006, il  Domaine Engel  (oggi Domaine d’Eugénie ) a Vosne-Romanée, sei ettari, di cui 2.5 grand cru (tra cui una generosa porzione del Clos de Vougeot), per “soli” 13 milioni di euro.

E’ infine  dell’ottobre scorso la notizia dell’ultimo acquisto importante, per una somma di 45 milioni di euro per il 51% , del Domaine Rebourseau (13.8 ha, tra Gevrey-Chambertin e  Vougeot, la metà in grand cru prestigiosi) da parte  di Martin e Olivier Bouygues. Già proprietari di châteaux prestigiosi, come Montrose a Saint-Estèphe e Tronquoy-Lalande a Saint-Émilion,  nel 2017 era loro riuscito l’insperato colpo di mettere le mani sul Clos Rougeard dei fratelli Foucault nel Saumurois.

La Côte de Beaune  non è però restata fuori dal giro. Ad inizio  2017, Stanley Kroenke , miliardario d’Oltreoceano (7.7 miliardi di dollari secondo Forbes),  famoso in Europa per essere proprietario dell’Arsenal,  e di prestigiose winery in America, tra le quali  Screaming Eagle,  stregato dalla  collina di Corton , ha acquistato dalla famiglia Le Bault de la Morinière  l’80% del Domaine Bonneau de Martray: una proprietà mitica, con ben 11 ettari di vigne tutte grand cru concentrate  nel climat più prezioso, quello di Charlemagne. Come sempre le cifre ufficiali non sono note, ma  i vignerons locali “giurano” siano stati superati  i 100 milioni di euro, forse molti di più (alcuni parlano di 150-180).

La vendita del Domaine Bonneau de Martray è certo  l’acquisto più clamoroso della Côte de Beaune, ma non il solo, essendo  stato preceduto da altri acquisti importanti, anche se per somme inferiori.

Mi riferisco allo Château de Pommard,  acquistato alla fine del 2014  per 6.5 milioni di euro, da Michael Baum , un imprenditore della Silicon Valley, con progetti molto precisi nell’enoturismo: 21,5 ettari di vigna, per la maggior parte (18.70) Pommard  villages, chiusi da un muro di tre chilometri,  e soprattutto un  castello settecentesco.

Tre anni dopo, nel 2017, sempre a Pommard, una professoressa di Harvard, Denise Dupré,  e il  direttore di una società di fondi di investimento di Boston, Mark Nunnelly , già proprietari della Maison di Champagne Leclerc-Briant a Épernay, hanno stipulato con la proprietà Jaboulet- Vercherre un contratto di affitto a lungo termine, che praticamente consiste in una proprietà di fatto, di un premier cru monopole di circa  4 ettari, il Clos de la Commaraine, presso il quale progettano di creare un ristorante con hotel. La stessa coppia possiede inoltre a Rully, dove è circa la metà delle vigne,  il Domaine Belleville (22 ettari sparpagliati da Gevrey-Chambertin a Mercurey) e una Maison de négoce “haute-couture” a Meursault , Le Manoir murisaltien (già Les Parcellaires de Saulx), acquistati nel 2017, con un  investimento complessivo di circa 30 milioni di euro.

Ora non  vi sono più solo  Domaines borgognoni che acquistano vigne in Oregon, perché Ken e Grace Everstad , titolari del Domaine Serene nelle Dundee Hills , hanno comprato nel 2015 il Domaine de la Creé, a Santenay:  un gioiellino con 10 ettari di vigna (il 40% dei quali premier cru), con annesse parcelle anche a Volnay, Chassagne e Puligny-Montrachet, e un castello del XV secolo, appartenuto a Nicolas Rolin e Guigone de Salins, i mitici fondatori degli Hospices de Beaune. Altri passaggi di proprietà, sia pure meno clamorosi, sono intanto in corso (è di questi giorni la trattativa  della famiglia Boisset per l’acquisto del Domaine Alex Gambal).

Queste transazioni, in sé non numerosissime, hanno però la peculiarità di aver investito proprietà storiche di grande prestigio, in parte rilevante costituite da grand cru (si ricordi che solo l’1.3% del vigneto borgognone è classificato come tale),  mobilizzando  somme  di danaro mai viste prima, ma soprattutto sono state effettuate da attori esterni alla regione  che non sono vignerons. Anche se tutti non hanno mancato di coinvolgere i vecchi proprietari oppure viticultori ed enologi borgognoni di grande livello, si tratta comunque di un cambiamento importante, per il momento più qualitativo che quantitativo, ma in grado di alterare in modo permanente la struttura della proprietà viticola della regione.

Ogni anno, spiega Louis-Fabrice Latour, circa l’1.5% dei possedimenti vinicoli della Borgogna cambia proprietario al di fuori dell’ambito familiare in Borgogna. Non si tratta di una percentuale in sé altissima. La proprietà resta perciò ancora saldamente ancorata alle famiglie di vignerons. Esse non si limitano come un tempo a coltivare la terra e a produrre le uve per un ristretto numero di Maisons che provvedono a vinificare e imbottigliare, monopolizzando il mercato del vino.

Eppure,  agli inizi degli anni ’70 , i négociants trasformavano ancora  il 95% del vino dei produttori, nonostante la legge istitutiva delle AOC , alla metà degli anni ’30, ne avesse notevolmente indebolito il dominio. Ora il panorama è di maggior equilibrio, e sono nate delle figure miste. Da un lato le grandi Maison hanno consolidato le loro posizioni acquistando direttamente diverse  proprietà per mettersi al riparo dalle fluttuazioni del mercato delle uve, dovute al fatto che  un numero crescente di  produttori  aveva cominciato a rendersi, sia pure con difficoltà, autonomo.

E’ significativo in proposito  l’esempio del DomaineFaiveley , che con i suoi 120 ettari di proprietà attuali ha ormai rovesciato il rapporto tra attività di négoce e di produttore diretto, ampiamente a favore di quest’ultima.

Dall’altro lato diversi piccoli produttori in crescita di capacità produttive,  ma con limiti di capitale e di opportunità di espansione, hanno aperto proprie attività di négoce spesso con caratteristiche premium per la reputazione acquisita dai winemakers, affiancandole alla vendita dei propri vini.

Ora però sembra essere cominciata una lenta erosione di questo equilibrio, a cui l’aumento dei prezzi delle vendite rischia di conferire una brusca accelerazione. “La Borgogna ha conosciuto in altre epoche degli aumenti consistenti del prezzo delle vigne, ma ora si tratta di una vera e propria esplosione”, spiega a Jérôme Baudoin un giovane vigneron di Pommard della CAVB (Confédération des appellations et des vignerons de Bourgogne), impegnata a mantenere una viticultura familiare.

Tradizionalmente, scrive Hélène Dupuy  su “Les Echos”,  gli acquirenti francesi di vigne erano négociants desiderosi di assicurarsi un approvvigionamento stabile di uve o vignerons alla ricerca di altre proprietà per  ampliare la propria gamma di prodotti o anche solo per gestire meglio dei problemi di successione e di suddivisione tra eredi . A questi si sono ora aggiunti imprenditori , che dopo aver ceduto la loro attività cercano una ricapitalizzazione, un nuovo posizionamento fiscale e patrimoniale in un’attività interessante, oppure imprenditori di tutti i tipi desiderosi di cambiare vita acquisendo  proprietà che abbiano prezzi ragionevoli di gestione ed offrano la possibilità di attività enoturistiche  e simili.

 Ma ciò che rappresenta un elemento del tutto nuovo e dirompente  è l’ingresso nel mondo delle transazioni dei terreni vinicoli più prestigiosi di attori economici estranei,  dotati di mezzi illimitati, tali da potersi permettersi di acquistare vigne come se fossero opere d’arte senza doversi preoccupare di rientrare rapidamente delle somme investite.

il Clos de Tart produce ogni anno 25.000 bottiglie in media, che, anche vendute a 400 euro l’una raggiungono la somma di 10 milioni, da cui occorre pur  detrarre i costi di produzione e commercializzazione. Quanti anni occorrerebbero per recuperare il capitale investito?

Il problema però non tocca solo quel patrimonio di poco più dell’1% di vigne a grand cru, perché , quasi per contagio, sono enormemente cresciuti anche i prezzi delle vigne vicine meno prestigiose. Secondo i dati della SAFER (Sociétés d’amenagement foncier et d’établissement rural), tra il 2012 e il 2017, il prezzo medio di una vigna nella Côte d’Or ( considerando tutte le denominazioni insieme, dai grand cru alle vigne di Bourgogne generico) è aumentato del 40% -da 492.000 a 684.000 euro-, a fronte di una relativa stabilità in tutte le altre regioni della Francia, incluso il bordolese.

Un ettaro di vigna da Bourgogne generico di  buona posizione è arrivato a costare nel 2018 fino a 73.000 euro, contro gli appena 5.000 in vigore  in diverse parti del Beaujolais, secondo i dati SAFER. L’aumento incontrollato dei prezzi della terra comporta conseguentemente un aumento notevole delle tasse di successione ereditaria, da sempre alte in Francia. Queste possono rapidamente (già lo sono) diventare insostenibili  per i giovani eredi , che sono spesso costretti a rinunciare proprio alle loro parcelle di famiglia più preziose, faticosamente acquisite dai loro padri o nonni in tempi nei quali il loro acquisto era accessibile o come dote matrimoniale.

Inoltre gli eredi che non sono primariamente interessati a coltivare la terra possono essere maggiormente attratti dalla possibilità di vendere a prezzi altissimi piuttosto che accontentarsi dei modesti  affitti dei mezzadri.  “Saremo tutti inghiottiti . Presto non saremo  che affittuari dei nostri Domaines  ha affermato con toni preoccupati un vigneron di Morey-Saint-Denis.

La Borgogna vitivinicola (è il timore dei vignerons) diventerà come quella americana, interamente nelle mani  delle banche, delle società finanziarie, dei fondi pensione, che dispongono di capitali immensi che un singolo proprietario coltivatore non potrà mai raggiungere. Cambiare la legge di successione è perciò diventato un obiettivo comune di tutti  rappresentanti locali,  deputati e senatori , anche della Champagne, Bordeaux e del Rodano, ugualmente interessati al problema. Recentemente, infatti,  la CAVB ha chiesto al governo di esonerare dall’imposta immobiliare le imprese familiari che si impegnino a conservare le loro terre per la durata di un affitto di 18 anni. Basterà?

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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