Birra divina o birra di vino?5 min read

Per dirla in gergo ciclistico, fra la birra e il vino è la prima ad inseguire il secondo. La birra, essendo per definizione una bevanda "costruita" miscelando ingredienti diversi in varie proporzioni,  risulta molto più flessibile e più  pilotata  dalla ricetta del produttore. In tempi recenti questa caratteristica è stata esasperata a livello quasi individuale dalla generazione dei giovani mastri birrai operanti nelle microbreweries, fucine di creatività.
Accade che all’interno di questo mondo il fascino del vino ha dato lo spunto – ideologico prima che tecnico – a molte etichette di nicchia, che hanno strizzato l’occhio ai dettagli enologici più intriganti. Adottare questi modelli appare importante per la comunicazione e per intercettare certe tendenze di mercato, almeno altrettanto che per i risultati organolettici. Abbiamo quindi assaggiato, da curiosi amanti del vino, la birra "millesimata"  e quella "spumantizzata", la "barriccata" e l’ "avvinata", per finire con una "liquorosa". Il settore è vasto e…in fermento. Il winesurfista troverà facilmente di che continuare l’esplorazione.
Panil è l’azienda italiana in testa al gruppetto degli inseguitori. Del resto parte con le credenziali migliori, nascendo nell’ambito di una famiglia  che è dedita da decenni alla produzione di vini tipici dei colli di Parma. Renzo Losi ha lanciato con successo la sua Barriquée (così in etichetta…). A tripla fermentazione (la seconda è quella in legno) è offerta in due versioni. Abbiamo assaggiato l’ottima Sour, cioè acida, prodotta con il concorso di batteri lattici presenti nella flora di certi fusti. Il bouquet è intrigante, con ricordi di fiori e verdure e un tocco di caramello. In bocca si rivela  consistente, con carbonicità contenuta e notevole corrispondenza aromatica. Non contento, Losi ha recentemente esteso la gamma a un prodotto assai diverso, la Enhanched, dove i lieviti caratteristici della spumantizzazione di vini, del genere Bayanus, la fanno da padrone. Anche qui grande equilibrio e piacevolezza di beva; dal punto di vista strettamente gustativo è il prodotto più "vinoso" che abbiamo assaggiato, almeno pensando al riferimento spumantistico.
Intanto quell’altro diavolo di Teo Musso ha studiato e lanciato la birra-sherry: il marchio Baladin infatti presenta recentemente anche le Xyaulù, prodotti davvero particolari dal momento che si presentano praticamente senza bollicine di sorta! In compenso offrono 13° di alcol e aromi da meditazione, che a detta dello stesso produttore le avvicinano a Vin Santo, Madera o Chateau-Chalon (a seconda delle etichette rame, oro e argento che le contraddistinguono). Presentate come "birre da divano", hanno un prezzo impressionante che tuttavia viene ammortizzato dalle dosi: non sono certo troppo beverine, e tra spezie, frutta secca e densità risultano tanto affascinanti quanto impegnative. Avevo assaggiato un anno fa la anche la cugina 30 e Lode, così chiamata perchè frutto della  collaborazione di Teo Musso con gli studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche. Era stata presentata a Cheese in abbinamento a formaggi che più puzzolenti non si può. Non è uno scherzo, erano i primi in classifica in base a un serissimo test effettuato col naso elettronico dai ricercatori della britannica Cranfeld University in collaborazione col CNR. Risultato? La 30 e lode gli teneva testa in qualche modo per la parte aromatica, ma poi non aveva le capacità sgrassanti fornite dall’acidità di un vino all’altezza del compito. Eh sì! Questo dell’acidità mancante è un  limite diffuso nell’inseguimento birra-vino…a meno che non ci trasferiamo in Belgio, la patria delle birre acide. La gloriosa Cantillon, domiciliata nella cintura urbana di Bruxelles, non contenta di aver lanciato (attenti ai nomi) la Gran Cru e la Vigneronne, ha pensato di utilizzare direttamente l’uva, da aggiungere ovviamente a una base di Lambic. Così un po’ di Merlot e Cabernet Franc provenienti dalla riva destra bordolese finiscono nelle barriques per dar luogo alla Saint Lamvinus. Di colore cerasuolo un po’ spento (non è filtrata), offre carbonicità molto contenuta ma profumi pimpanti della tipica gamma Lambic. Solo l’ impatto dolcino al gusto può ricordare l’uva, anche se viene subito ridimensionato dalla gagliarda freschezza acida che  marca un finale lunghissimo di timbro agrumato. L’ etichetta è d’artista, un altro dettaglio che spontaneamente ci riporta a Bordeaux. Lorenzo Dabove detto Kuaska, l’uomo con più birra che sangue nelle vene, segnala che alla Cantillon hanno prodotto addirittura una Gueuze, che riceve il contributo di uve affette da muffa nobile e del vino Beerenauslese forniti dall’austriaco Willy Opiz, il tutto sempre su base Lambic. Roba da far rivoltare nella tomba il povero Guglielmo IV di Baviera, che nel 1516 emise il famoso "Editto della purezza" per limitare gli ingredienti a malto d’orzo, acqua e luppolo! E poi, possiamo chiamarla ancora birra? Ma forse siamo solo invidiosi per non aver assaggiato il fantastico intruglio…
Piuttosto, per stare sul classico, abbiamo riprovato il prodotto che forse per primo, in tempi non sospetti, ha esibito in etichetta l’anno di produzione così come è prassi fra i vini: La Thomas Hardy’s Ale, dedicata al grande scrittore inglese. Appartiene a quel gruppo che nel Regno Unito viene tradizionalmente definito "Barley wines" (vini d’orzo) proprio per sottolinearne il carattere. La produzione è passata di mano e di luogo dal 1968 della prima uscita, ma il profilo organolettico non sembra averne risentito. La nostra bottiglietta conteneva un quartino con alcol al 11,7%. Era un 2007, e mentre vantava la possibilità di maturare "almeno fino a 25 anni", curiosamente una fascetta in italiano (ma era stata comprata in un negozio britannico!) ne raccomandava il consumo entro il 2016… Gran bel gusto in ogni caso, e densità cremosa da passito che si avvicina per sapore (e quasi anche per consistenza) a un bel Christmas pudding.
La liquorosa naturalmente in fondo: ecco quindi la Rader Ambrata (Ambrée sull’etichetta originale), che a dir la verità supera di poco i 10° nonostante l’iniezione alcolica. Viene prodotta in Belgio dalla Raderbacher, che è innanzi tutto una distilleria: quindi lo stesso malto è condiviso da  birra e acquavite. Quest’ultima, dopo un affinamento in fusti di legno, viene aggiunta al momento della seconda fermentazione. Nonostante la complessità, è molto bilanciata e anche troppo facile da bere, con note maltate in evidenza, come se la barrique fosse a tostatura elevata.
Certo, il vino si è assicurato il Gran Premio della Montagna. Ma anche la squadra USA sta facendosi sotto, e in discesa ne vedremo delle belle.  

 

 

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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