Bianchi trentini 2016: annata non eccelsa ma…attenti ai numeri5 min read

Iniziamo oggi a pubblicare i risultati degli assaggi trentini: come sempre partiamo dai bianchi per poi fra qualche tempo passare alle varietà rosse e poi alle bollicine del Trento DOC.

Prima di parlarvi dei risultati,  che troverete sia qui che nei link a fianco dell’articolo, vogliamo fare un discorso leggermente “più alto” e darvi qualche dato molto interessante. Li abbiamo ricavati da una pubblicazione  dal titolo “Profili evolutivi del settore vinicolo trentino” che ogni anno aggiorna e compendia i dati della viticoltura regionale: un’ opera chiara e semplice, fatta dal Consorzio tutela vini del Trentino,  per farsi velocemente un quadro chiaro delle viticoltura locale. Gli facciamo i complimenti e  lo sfrutteremo anche quando parleremo dei rossi e dei vini spumanti

 

Primo dato: quando si parla di vino Trentino oramai si parla quasi esclusivamente di uve bianche, che coprono il 72.7% della superficie vitata, mentre le rosse si attestano al 27.3%. Quindi il trentino è oramai regione da bianchi e da bollicine. Una regione che ha praticamente lo stesso numero di ettari vitati (poco più di 10.000) di 40 anni fa, ma completamente diversi in quanto alle uve piantate: la regina allora era la schiava (più del 40% del totale, oggi meno del 3%) mentre oggi comandano chardonnay (28%, 2809 He) e pinot grigio (27% , 2700 he).

Quindi due uve bianche fanno quasi il 60% del patrimonio viticolo, ma è interessantissimo vedere che pur coprendo quasi la stessa superficie le due uve stanno avendo un destino diverso: infatti lo chardonnay ha lo stesso numero  ettari del 2000 e già nel 1990 era attestato a quasi il 22% del totale, mentre il pinot grigio nel 1990 era appena al 6.4 % e da allora è in continua crescita. Anche con i reimpianti (pochi per la verità in tutta la regione) si vede che si espianta più chardonnay di quello che si pianta, mentre è l’opposto per il pinot grigio.  Insomma,  lo chardonnay oramai viene lentamente messo da parte coe bianco fermo e  punta solo verso il settore delle bollicine  (anche se molti, troppi vigneti sono in pianura) mentre il pinot grigio continua a conquistare ettari e mercato.

E le altre uve? E il müller thurgau di cui tanto si parla? E’ fermo da alcuni anni sotto il 9% (886 he) del totale, mentre il traminer aromatico non supera il 4% (380 he) e il sauvignon è poco del 1% (120 he) oramai da quasi 20 anni. Questi tre vitigni fanno sicuramente vini di qualità ma con questi pesi specifici difficilmente potranno  fare breccia sui mercati.

E con un peso specifico della cooperazione che supera l’ 85% della produzione vinicola difficilmente il trentino potrà avere  un grande sviluppo imprenditoriale da parte dei singoli. Pensate infatti che il rimanente 15%  si divide  per il 5%  in aziende agricole e per il 10% in attività commerciali o industriali. Insomma, il vignaiolo in Trentino produce l’uva ma certamente ha pochissima voce in capitolo nella sua commercializzazione.

Forse perché il vignaiolo trentino è vecchio, ma proprio vecchio: nemmeno il 15% di chi possiede e lavora la vigna è sotto ai 40 anni, tutto il resto (e si parla dell’85% ) e equamente sopra ai 40 e a i 60 anni. Con queste età medie non ci si meraviglia se nessuno pensi a fare impresa ma solo a coltivare la propria piccola parcella.

Questi dati per noi sono basilari per capire un certo immobilismo enoico, che è scosso forse solo dai numeri del Trento DOC, di cui però parleremo nell’articolo sulle bollicine .

Adesso veniamo ai risultati dei nostri assaggi.

Per quanto riguarda il müller thurgau il 2016 è stata una vendemmia molto “democratica” nel senso che  non ha avuto grandi picchi ma tanti vini buoni. Nasi precisi, intensi e bocche di buona struttura con belle venature sapide sono non dico all’ordine del giorno ma quasi. Oramai il  müller  non è più un vino “esotico” ma una certezza qualitativa, anche se, visto il territorio, sarà difficile possa  crescere quantitativamente in zone vocate . Inoltre ci sembra che il “minimo comun denominatore aromatico” si stia estendendo e questa riconoscibilità (nonché queste belle gamme aromatiche) servano ad affezionare la clientela.

I pinot grigio hanno dato discreti risultati ma fondamentalmente non si riesce ad uscire dal campo dei vini semplici, eppure con quasi tremila ettari si potrebbe anche puntare a dei pinot grigio che non siano solo da esportare a prezzi concorrenziali. Quasi stesso discorso per gli  chardonnay che oramai sembrano aspettare in massa una “riconversione” in bollicina: quasi sempre scontati, prevedibili e poco accattivanti.  I pochi sauvignon presentati sono affetti dal “morbo 2016” che si presenta con una mancanza di sostanza e concentrazione quasi generalizzata. Generalizzato è oramai anche l’abbandono della nosiola, oramai sempre più lasciata a pochi viticoltori (del resto copre meno del 1% della superficie vitata) .

Per fortuna abbiamo i Traminer Aromatico. Continuiamo a chiamarli all’italiana per differenziarli da quelli altoatesini, perché in realtà sono diversi: molto meno dolci, molto più piacevoli durante un pasto, molto più equilibrati senza rinunciare per niente alla meravigliosa e caratteristica gamma aromatica. Tra i 2016 ne abbiamo trovato qualcuno un po’ più dolce del normale ma mediamente non possiamo certo lamentarci. Gli uvaggi, more solito, non hanno un filo conduttore, mentre delle altre uve avevano talmente pochi campioni che è molto difficile parlarne in senso generale.

A proposito di generale:  ci piace constatare che la Val di Cembra non è solo Müller Thurgau, ma oramai un territorio dove anche vitigni particolari, come il riesling, (anche con lo chardonnay, ci vogliamo rovinare!) danno ottimi risultati.

In conclusione un’annata non entusiasmante e abbastanza simile al 2015.

Un grazie al Consorzio vini del Trentino per averci ospitato e organizzato le degustazioni.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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