Bianchi siciliani: alcuni diamanti in un mondo troppo omologato3 min read

Assaggiare vini siciliani è sempre affascinante, specie se è estate e sono bianchi. Questo perché la Sicilia del vino è forse la regione più “estremista” d’Italia, perché vi nascono prodotti che definire diametralmente opposti è dire poco. Se lasciamo da parte le grandi masse (si parla del 70%) che emigrano verso altre realtà a prezzi stracciati, fondamentalmente i vini siciliani si dividono in due categorie: da una parte quelli prodotti con quasi tutti i vitigni possibili immaginabili ma che si assomigliano molto e non spiccano per caratterizzazione anche qualitativa, dall’altra vini assolutamente varietali e territoriali, che ti fanno innamorare per solare semplicità o per nobiliare complessità, insomma per caratteristiche uniche e indimenticabili. Sopra a tutto questo si pone la vendemmia 2016, di ottimo livello.

Il nostro assaggio ha spaziato tra vari vitigni e territori: in alcuni casi però i vini giunti sono stati talmente pochi da non permetterci una valutazione generale, come nel caso dei vini dell’Etna dove una sola cantina  ci ha inviato i vini. Parleremo quindi solo dei vitigni con una certa “massa critica”

Grillo 2016

Sembra che nessun produttore possa farne a meno, salvo interpretarlo in tanti modi e quasi nessuno convincente. Chi lo propone rotondo e basso d’acidità, chi filante e acido, chi con profumi di moscato, chi di malvasia, chi di ananas. Quindi il grillo ci è sembrato semplicemente un “vitigno scusa” nel senso che pare diventato una scusa per produrre vini di facile beva e poca profondità. Le eccezioni ci sono, per fortuna, ma sono eccezioni.

Inzolia o insolia 2016

Un consiglio preliminare: mettetevi d’accordo sul nome perché non è certo bello vedere produttori che usano la “s” e altri che usano la “z”. Le stesse DOC e IGT non aiutano nella chiarezza, utilizzando entrambi i termini. A parte il problema lessicale ci sembra che il vitigno esprima alcune “somiglianze” in più rispetto alla diaspora enoica del grillo. Alcune interessanti interpretazioni lo valorizzano ancora di più.

Catarratto 2016

Pochi ma buoni quelli assaggiati, vitigno che gioca molto sulla freschezza e su una linearità interpretativa. Se ci mettiamo anche alcune belle note sapide non possiamo che dirci soddisfatti.

Uvaggi 2016 e 2015

Qui troviamo veramente di tutto e quasi sempre incontriamo il cosiddetto “grande vino” aziendale, elevato a tale rango grazie ad una concentrazione superiore che spesso lo rende ostico alla beva, specie se affiancato da legni non certo aggraziati. Alcune eccezioni di altissimo livello non possono non farci paragonare i “super whites siciliani” a vini del passato, tanto marcati da legno, che speravamo non esistessero più.

Zibibbo-moscato 2016

Facile dire che zibibbo o moscato ti fanno innamorare facilmente, ma non tutti mostrano schiettezza aromatica e una buona profondità gustativa, attestandosi su uno svolgimento “corretto” del compito. Alcuni però ti lasciano a bocca aperta, portando in dote carrettate di frutti e di fiori assieme ad una struttura di livello.

In definitiva tra i bianchi abbiamo trovato una Sicilia “double face”, che però promuoviamo abbondantemente, non solo perché quasi il 50% (45.6%) dei vini ha ottenuto tre o più stelle, ma perché in questi vini, specie nei “diamanti” più preziosi, si ritrovano caratteristiche che vanno oltre il vino e colpiscono l’immaginazione: ti fanno sognare il mare di Salina al tramonto o le terre nere dell’Etna, da cui lo sguardo spazia su un mondo ventoso e silente.

Abbiamo ricevuto anche alcuni rosati, che troverete valutati in una scheda a loro dedicata. Sono solo sei e quindi troppo pochi per dare un giudizio, ma a braccio ci sembra che la Sicilia potrebbe essere una regione molto vocata per questa tipologia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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