Bianchi sardi 2022: annata gestita con attenzione, anche se…3 min read

L’assaggio dei vini bianchi sardi  in particolare del 2022 e ancor più in particolare dei Vermentino di Sardegna e dei Vermentino di Gallura ci ha portato a risultati di buon livello ma abbastanza contrastanti.

Prima però dei risultati voglio dire grazie al nostro Gianpaolo Giacomelli che si è attaccato al telefono, parlato e riparlato con molte cantine sarde e alla fine di questo lavoro sfibrante è riuscito a raccogliere quasi il doppio dei campioni dello scorso anno. Quando uno pensa che fare una guida sia solo assaggiare dei vini, magari serviti da sommelier, dovrebbe stare anche solo per un giorno dall’altra parte della barricata e capirebbe che la degustazione è un momento importantissimo ma rappresenta al massimo il 15-20% del lavoro totale.

Adesso veniamo ai vini, partendo dai Vermentino di Sardegna. Quello che ci ha colpito quest’anno, nel bene e nel male,  è stata la freschezza: le acidità ben evidenti ma magari non proprio “figlie dell’annata”, nel senso che forse qualche correzioncina finale in alcuni casi non potevamo non notarla.

Del resto in una vendemmia come la 2022 l’acidità era un dei parametri più difficili da tenere sotto controllo. Forse i migliori sono stati quelli che più che basarsi sull’acidità si mostravano più sapidi che freschi: erano anche quelli che avevano più grinta e potenza e alla fine ci hanno convinto di più.

Dal punto di vista degli aromi abbiamo trovato non tanta “agrumizzazione” segno che ancora in Sardegna si ragiona con la propria testa e non con i lieviti e i nutrimenti di lieviti che stanno spopolando da tante altre parti.

I Vermentino di Gallura si sono quasi tutti dimostrati più potenti e armonici, con un corpo certamente superiore, anche se in qualche caso il grammo o due di zucchero residuo probabilmente ha aiutato, pur non squilibrando o rendendo pesante il risultato finale. Sicuramente le uve di partenza erano di ottimo livello e lo abbiamo capito anche dai profumi, particolari e a metà strada tra il minerale e il fruttato, molto coerenti con il vitigno e il territorio.

Per quanto riguarda le altre uve i pochi campioni ricevuti non ci permettono di trarre conclusioni generali, cosa che invece ci sentiamo di fare per gli uvaggi, che forse in situazioni estreme come quelle di questi ultimi anni potrebbero rappresentare una via da seguire per creare vini equilibrati e di buon corpo, come tutti quelli che abbiamo degustato. Capiamo che la strada del monovitigno bianco è sicuramente quella che richiede il mercato e che la stragrande maggioranza dei produttori predilige, ma forse cominciare a pensare al “paracadute naturale” dell’uvaggio potrebbe portare enormi vantaggi in futuro.

Concludiamo con un’occhiata ai Vini Top, che sono solo tre ma molti altri ci sono arrivati molto vicini ( oramai conoscete la nostra proverbiale tirchieria). In effetti il quadro finale è indubbiamente positivo, tenendo ben conto delle difficoltà che comporta, nelle ultime annate, fare bianchi in zone estremamente calde e siccitose.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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