Benvenuta Yvonne, benvenuto Macagn!6 min read

Era l’ora che tra tanti impallinati di vino arrivasse qualcuna che invece ha dichiarato eterna fedeltà solo al formaggio. La nostra "Poetessa del cacio" (leggete e capirete il perchè del soprannome) è giovane, intraprendente e molto competente.  D’ora in avanti ci proporrà il meglio del meglio di questo mondo spesso poco considerato. Questa volta, pur parlandoci di un gran formaggio, ha ritenuto giusto prima presentarsi a tutti voi. Benvenuta Yvonne!

 

 


E’ l’alba e il sole sonnecchia ancora nascondendosi dietro una montagna la cui bellezza ammiro mentre salgo affannata, seguendo un piccolo sentiero che ad ogni passo mi sembra più ripido.

Il silenzio sembra farsi persona e compagna mentre mi avvicino alla meta, ma ad un tratto mi abbandona e mi lascia tra le braccia dei rumori confortanti e nello stesso tempo severi della malga che mi trovo di fronte. Mi fermo a qualche metro di distanza  per fissare quell’immagine, come un quadro zeppo di particolari che spesso la nostra fretta ci impedisce di cogliere.

Osservo il lento fluire di un ruscello che sembra nascere tra le mura della casa, gli zoccoli lasciati orfani di fronte al piccolo  laboratorio e i più disparati attrezzi abbandonati su una  terra ancora zeppa di rugiada. Tuttavia sono soprattutto i profumi a colpirmi, ad affascinarmi e a spingermi verso un mondo che anche all’olfatto è animale ma è altrettanto vero, forte, coraggioso e “storico”.

Pare infatti di osservare le fotografie e i film “imperfetti”   dell’inizio del Novecento quando il mondo (ho sempre pensato) fosse veramente color seppia tanto era angustiato da guerre terribili. Solo il suono di un’antipatico ma indispensabile gruppo elettrogeno mi riporta ai giorni nostri e mi spinge ad avvicinarmi alla vecchia casa ristrutturata, da dove il proprietario o l’affittuario, attento a ogni suono, compare guardandomi diffidente dalla porta.

Confesso,  sono intimidita e nel contempo irritata da quello sguardo che sembra giudicare senza pietà la donna di città. Ma la stretta di mano forte e sincera m’incoraggia a proseguire  un’incontro indispensabile per realizzare un sogno vissuto già in altre occasione ma portatore sempre di emozioni  nuove.

Sembra che la voce di questo uomo di montagna si sia persa tra i boschi rigogliosi che  circondano il pascolo e che mi debba bastare un solo suo cenno per farmi entrare in una stanza buia e fumosa dove tento di non inciampare sul  pavimento sconnesso.
Superata la caldaia, in cui al fuoco di legna si riscalda  il latte appena munto del mattino, mi appare in fondo una tavola così piena da disorientarmi, tanto stride con l’austerità del mio Cicerone. Degusto insieme a lui, che piano piano si racconta,  il suo latticello, il suo burro e il suo nuovo “business”, gli yogurt.
D’improvviso si alza come se fosse destato da una sveglia interiore per mettere il caglio nel latte che ha raggiunto la giusta temperatura. Io tento di scattare qualche foto per cogliere ogni passaggio che da qui in poi porterà a un prodotto unico in ogni suo forma: il formaggio di montagna.
Ma la fotografia è povera cosa di fronte al mare di sensazioni percepite in quella mattina anzi non solo è misera ma  “impoverente” perché distrae dalle percezioni del tatto, dell’olfatto e del gusto.


Il latte, cagliato e rotto fino a chicchi di riso  tra le mani è una carezza, un brivido che attraversa la schiena. Il profumo di un formaggio che si sta formando è un bouquet di erba, pietra bruciata dal sole, burro crudo e poi cotto, yogurt e  panna. In bocca la cagliata è velluto che accarezza il palato, è dolcezza che ricorda l’infanzia e freschezza che ricorda le sorgenti di questi monti.


Non chiedetemi perciò perché amo il formaggio e perché amo parlarne.

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Non so se ciò che vi ho narrato per parlare di me sia sogno o sia realtà. Forse conosco quel luogo ma di esso oggi non vorrei ancora parlarvi. Vi voglio invece far conoscere un formaggio che appartiene alla terra in cui sono nata, il Biellese e alle sue tradizioni gastronomiche. Nonostante il suo aspetto sia comune e un po’ banale questo cacio, il cui nome è Maccagno o Macagn, è dotato di caratteristiche rare e di una singolare personalità.

Nasce in un alpeggio della Valsesia circa cent’anni fa quando i vacharj biellesi raggiungevano queste zone per far pascolare prati ricchi di vegetazione alle loro vacche. Lontani dalla civiltà per circa tre mesi si nutrivano soprattutto di latte e dei suoi derivati.

Tra questi vi era il Maccagno il cui latte, intero e proveniente da una sola mungitura, veniva immediatamente trasformato in modo da sfruttarne la naturale temperatura di circa 36° C.
In questo modo era possibile risparmiare legna e di conseguenza fatica e, inconsapevolmente, si otteneva un prodotto che conservando tutte le proprietà del latte “materno”, risultava più digeribile e con elevate qualità organolettiche.

Questa opera “artigianale” oggi non è sempre facilmente reperibile a meno che non vi spingiate fin nella mia terra o in Valsesia. dove potrete acquistarlo o dai piccoli produttori come Livio Garbaccio oppure in alcune attente gastronomie come Mosca a  Biella o da Dario Torrione a Candelo (BI). Qui chiedete del Maccagno o Macagn rigorosamente a latte crudo, di piccoli artigiani, con una stagionatura di circa tre mesi e se possibile di alpeggio. Quando lo vedrete assicuratevi che la crosta sia liscia, sottile ed elastica se la forma è giovane, mentre cercatela rugosa, spessa e rigida se invecchiata.

La pasta dovrà essere priva di spaccature, possedere una modesta occhiatura e un colore che potrà andare dal bianco al giallo paglierino nelle forme più stagionate. Quando lo degusterete, sentitene innanzitutto i profumi che vi ricorderanno quelli del burro fresco, dei  minerale del terreno in cui gli animali pascolano e dei fiori. Giunto finalmente il momento dell’assaggio sarete conquistati dalla sua dolcezza e freschezza, dalla sua struttura solubile e da una sensazione finale floreale.

Dopo averlo assaporato in assolo vi invito a usarlo come ingrediente di alcune ricette legate a questo territorio come Ris an cagnon (riso mantecato con Macagn) o il fricc ëd boja ( piatto padre della polenta concia) o la gustosa fondùa.

Che squisitezza con un buon bicchiere di vino rosso nelle lunghe serate d’autunno.

 

 

Prezzo: da 7,5 a 15 euro al chilo (a secondo del periodo di produzione e del produttore)

 


Produttori

 

Livio Garbaccio
Località Pianai – Civiasco
0163 55785

 

Gastronomia Mosca
Via S. Filippo, 16
13900 Biella –
Tel. 015.23181 – Fax 015.33864
info@moscagastronomia.it

 

Dario Torrione
Via Iside Viana 48
13878 Candelo ( Biella)
GPS: 45.543071, 8.106030
Tel. 015.2538028

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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